Assemblea dei soci rinviata a data da destinarsi

Carissime amiche ed amici del CAI UGET Torino,

come già ben sapete, a seguito dell’aggravarsi dello stato della pandemia la nostra regione è rientrata nella «Zona Rossa» quindi interessata da ulteriori provvedimenti restrittivi.
In questo momento di emergenza e di difficoltà, volevo con il Direttivo, i Gruppi, le Scuole, la Sottosezione di Trofarello ed il Coro inviarvi un messaggio di vicinanza e di incoraggiamento.
Fino a quando Torino non tornerà in zona arancione la Segreteria lavorerà a distanza con gli orari in calce indicati, continuando ad offrire un servizio di informazione.

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TSEUCCA MIA

Ovvero scialpinismo nel magico mondo di Otemma

 Carissimi e fortissimi Alpiniste e Alpinisti,
per degnamente commemorare la grandiosa impresa testé conclusa, vi invio qui in calce il testo integrale della canzone “Tseucca Mia” nella mia traduzione originale dal patois du Valais. Spero vi ricordiate l’aria, per poterla canticchiare, ripensando alla bella cima e al romantico bivacco:

TSEUCCA MIA
Tseucca mia, amata ci-ima
sei la più ambita, con ogni cli-ima,
se io ti guardo, dal mio biva-acco
non mi sento, per nulla stra-acco.
Saliamo insieme, in sei auda-aci
ma a chi riposa, tu pure pia-aci;
sulla farina, e sul tuo fi-irn
con i miei sci, feci la fi-irm
Tseucca mia, amata ci-ima
Tseucca mia, amata ci-ima
ti ho posseduta! deh, che autosti-ima
ti ho posseduta! deh, che autosti-ima.

Ho ripreso una email che Paolo-Popino o Popi-Paolino, che dir si voglia, inviò all’allegro gruppetto di scialpinisti, da poco reduci da un giro in sci di tre giorni a cavallo tra Italia e Svizzera, più precisamente tra Valpelline e Vallese. Le note scherzose e la sonorità straziante di questa “canzone-inno” composta da Paolo sono focalizzate su una delle montagne salite in quei giorni, la Tseucca appunto. Ancorché questa cima fosse, prima di questo giro, sconosciuta ai più, già mi aveva attratto alcuni anni addietro, quando ebbi l’opportunità di conoscerla e di salirla durante un altro, quasi analogo, raid scialpinistico. Continua la lettura di TSEUCCA MIA

Il nostro “falso” Nuovo Mattino

La primavera è alle porte ma, aihmè,  siamo diventati ROSSI!
L’amico scrittore Carlo Crovella  ci regala un bel racconto già pubblicato su GognaBlog il 27 marzo 2017. Buona lettura …

Conobbi così i californiani della città più distante da Frisco che esista al mondo: Motti, Grassi, Galante e i loro colorati compagni… tra Kerouac e Pavese, fra la voglia di diventare dei “grandi” riconosciuti e quella di vivere nuove avventure, di vedere nuove cose, o rivedere quelle vecchie in maniera diversa, meno asfissiante…
(
Andrea Gobetti, Una frontiera da immaginare)

È oramai storicamente conclamato che la conclusione del Nuovo Mattino coincida con la scomparsa di Danilo Galante (Gran Mantì, maggio 1975). Questa indiscutibile affermazione va però riferita al “vero” Nuovo Mattino, quello dei big, dei personaggi di spicco. In realtà è esistito, almeno nell’ambiente torinese, un altro Nuovo Mattino, un movimento parallelo, una specie di sottobosco costituito da una moltitudine di 18-20enni che, come il sottoscritto, si sono affacciati all’arrampicata nella seconda metà degli anni ’70. Il “nostro” Nuovo Mattino è quindi durato ben oltre il maggio del ’75, anzi per certi versi si è innescato proprio quando il Nuovo Mattino vero si stava spegnendo.

Una storica copertina di Scàndere: Marco Camanni sulle placche finali di Itaca nel sole (Caporal, Valle dell’Orco). Si noti la contemporanea presenza di elementi “classici” (la staffa, il casco Galibier, la camicia a scacchi) e di novità tecnico-comportamentali  (le varappes, la tuta, i primi chiodi a pressione)

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Il rifugio che accoglie

Ecco un bell’editoriale dell’amico Enrico Camanni tratto dall’ultimo numero del web magazine Dislivelli (febbraio-marzo 2021)

La distinzione tra rifugio o albergo si fa sempre più labile. Oggi il rifugio è un luogo che accoglie e rifocilla l’escursionista, ma è anche un crocevia d’incontro di scambio. E come sempre, più la città è distante, più il rifugio acquista senso.

Spesso ci si chiede: ma quello è un rifugio o un albergo? La domanda è legittima perché la distinzione appare sempre più aleatoria, ma un modo per distinguerli esiste. Se le parole hanno un senso, anche il più solido rifugio di montagna dovrebbe essere un ricovero provvisorio. Un rifugio è sé stesso nella bufera, nel temporale, nella notte, nel bisogno. Per qualcuno nella catastrofe. Quando il 21 dicembre 2012 la profezia Maya paventò la fine del mondo, ci fu chi si preparò a fuggire in un rifugio di alta montagna.

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Storia di un soccorso in Romania

In questi tempi pandemici è difficile immaginarsi il futuro ed allora riemerge il passato col proprio vissuto e coi propri ricordi. Ecco dunque un episodio un po’ particolare relativo ad un trekking in Romania.

Questo racconto vuole semplicemente essere un omaggio ed un ringraziamento agli amici rumeni di Salvamont, l’organizzazione del soccorso in montagna, che opera sulla catena dei Carpazi, in Transilvania nel cuore della Romania. Tanto per capire: i Carpazi, a dispetto delle loro altezze non vertiginose, sono un gruppo di montagne impervie e niente affatto banali. Eravamo partiti per la traversata dei Monti Fagaras, il gruppo di montagne e cuore dei Carpazi che comprendo le più alte cime della Romania, il Negoiu 2537 m ed il Moldoveanu 2543 m. Il gruppo di escursionisti era composto da 18 persone del CAI di San Vito al Tagliamento e del CAI UGET di Torino; iniziò il trekking con una prima tappa da Cabana Poiana Neamtului a Cabana Negoiu. L’ambiente è quello di vaste foreste di conifere sovrastate da impervie e rocciose vette: contrasto tra silvestri radure e monti severi.

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