IL “GIALLO” DELLA BICICLETTA SUL MONVISO

Cosa ci fa un telaio di bicicletta sotto la vetta del Monviso, a 3500 metri? Chi ce l’ha portata? E, soprattutto, tra le varie versioni dell’accaduto, qual’è quella vera?

Un telaio di bicicletta di color arancione, arrugginito, senza ruote né manubrio, a quasi 3500 metri di altitudine, non è propriamente un ritrovamento normale, anche per chi pratica alpinismo ed è abituato a veder le cose da un “alto” punto di vista.

Sta di fatto che il telaio in questione si trova da molti anni tra le rocce della cresta est, sotto la vetta del Monviso (3841 mt.), in un punto che non è percorso da un vero e proprio sentiero e per questo fuori dalla vista di molti che salgono da lì.

La sua presenza, tuttavia, è cosa nota e risaputa e quando Giovanni Giustetto da Villafranca Piemonte, classe 1980, alpinista per passione, ci si è imbattuto quest’estate in occasione della sua ultima ascensione al “gigante di pietra”, ha pensato che sarebbe stato interessante saperne di più e ne ha parlato con alcuni funzionari del Parco del Monviso, con cui da tempo collabora fornendo foto e spunti interessanti.

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La segnaletica del ciclista: educazione e sicurezza

Tantissimi tra i nostri soci conciliano l’amore per la montagna con quello per la bici. Molti hanno (ri)scoperto quest’amore durante il periodo di chiusura per l’emergenza pandemica.
Si pratica all’aperto, a contatto con la natura e lontano dagli assembramenti: pedalare in sella ad una bici è dunque una delle attività motorie più apprezzate del momento. 

I “vecchi ciclisti” lo sanno: andando in gruppo è buona educazione dare continuamente segnalazioni a chi sta seguendo. Le indicazioni non sono mai troppe, visto che si sta parlando di sicurezza, ed è bene sapere quali sono i gesti non scritti ma conosciuti da tutti che aiutano gli altri a capire cosa succede davanti.

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Lo speciale di Meridiani Montagne svela il Sentiero Italia CAI

Il racconto in anteprima e il “Best of” in 12 reportage inediti

Uno Speciale di Meridiani Montagne in uscita martedì prossimo celebra, in anteprima, la nascita del Sentiero Italia CAI.

Una storia italiana lunga e bellissima, nata agli inizi degli anni ottanta dalla visione sognatrice di un gruppo di camminatori esperti, che ha purtroppo rischiato di finire nel dimenticatoio. A “salvarla” i soci e i volontari del Club alpino italiano che, come per le migliori invenzioni, si sono prodigati per trasformare un’eccezionale idea in un patrimonio collettivo da lasciare alle generazioni future. Il risultato è un tracciato completo, da nord a sud e isole comprese, segnalato e mantenuto con cura: “un’autostrada verde” di oltre 7 mila chilometri con circa 500 tappe in 20 regioni.

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La rinascita dei Monti della Luna

Ieri abbiamo fatto una gita scialpinistica ai Monti della Luna. Chiamarla gita è eccessivo: una piccola escursione con le pelli, adattissima ad una corta giornata invernale.
La montagna era intonsa: nella notte era nevicato abbondantemente e in giornata il tempo era ancora incerto, qualche sprazzo di azzurro si alternava a foschi nuvoloni neri.
Qualcuno era salito con le pelli di mattina presto e così abbiamo sfruttato la sua traccia. È l’unico segnale di vita in un mondo che pare cristallizzato, fra la neve fresca e il freddo pungente.
I Monti della Luna divennero famosi agli albori dell’epopea sciistica, praticamente 100 anni fa. Credo di non sbagliare ad affermare che le dolci dorsali ammantate per la neve abbiano ispirato questo toponimo. Terreno ideale per lo sci, anzi per lo ski come si diceva allora. Si trovano in alta Val Susa, incardinati fra Clavière, Bousson e Cesana Torinese.
Da Clavière a porta d’ingresso per i Monti della Luna è la Val Gimont, che si insinua fra questi dolci dorsali, generando, nella sua sezione superiore, una serie continua di plateaux ottimi per lo sci.
Negli anni ‘20 e ‘30 del Novecento a Clavière si sviluppò un importante polo di diffusione dello ski. Anche nei decenni successici l’epicentro di questo movimento era costituito dall’Albergo Santi, gestito dai tre fratelli Santi, veri pionieri dell’arte sciatoria. In particolare Ettore Santi pubblicò alcuni testi fra cui un importante manuale di tecnica sciistica.

La Val Gimont negli anni ’30 del Novecento. Foto di repertorio.

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