Storia di un soccorso in Romania

In questi tempi pandemici è difficile immaginarsi il futuro ed allora riemerge il passato col proprio vissuto e coi propri ricordi. Ecco dunque un episodio un po’ particolare relativo ad un trekking in Romania.

Questo racconto vuole semplicemente essere un omaggio ed un ringraziamento agli amici rumeni di Salvamont, l’organizzazione del soccorso in montagna, che opera sulla catena dei Carpazi, in Transilvania nel cuore della Romania. Tanto per capire: i Carpazi, a dispetto delle loro altezze non vertiginose, sono un gruppo di montagne impervie e niente affatto banali. Eravamo partiti per la traversata dei Monti Fagaras, il gruppo di montagne e cuore dei Carpazi che comprendo le più alte cime della Romania, il Negoiu 2537 m ed il Moldoveanu 2543 m. Il gruppo di escursionisti era composto da 18 persone del CAI di San Vito al Tagliamento e del CAI UGET di Torino; iniziò il trekking con una prima tappa da Cabana Poiana Neamtului a Cabana Negoiu. L’ambiente è quello di vaste foreste di conifere sovrastate da impervie e rocciose vette: contrasto tra silvestri radure e monti severi.

Il giorno successivo dovevamo traversare da Cabana Negoiu a Bilea Lac, luogo quest’ultimo tra i più noti dell’orografia rumena, dove, sulle rive di un lago si trova un albergo-rifugio e baite sparpagliate nei dintorni. Dopo un tratto prevalentemente in piano e a mezzacosta su pendii scoscesi, con passerelle che aiutavano a superare precipiti canali, giungemmo ai piedi di un primo colle, Strunga Ciobanului a 2300 m. Su entrambi i versanti il colle si presenta con due ripidi canali rocciosi, attrezzati con catene. Il tempo non era per nulla rassicurante e una nevicata notturna aveva già provveduto a spruzzare di neve e rendere scivolose le rocce. Con le opportune precauzioni il gruppo superò questo impervio tratto. Oltre proseguimmo su un terreno pietroso in piano, posto alla testata di un vallone nel quale già risalivano nubi minacciose. Proseguimmo velocemente in direzione di un bivacco che, per ogni eventualità sarebbe stato un punto di riparo. Mentre attraversavamo la facile “ciaplera” accadde il fattaccio. Uno di noi, Vittorio, in seguito ad una banale scivolata su una pietra, ebbe la sfortuna di incastrare il piede in una fessura. In questo caso fessura fa rima con frattura: le prime empiriche analisi affermarono trattavasi della rottura di tibia e perone, diagnosi che fu poi confermata in ospedale. Ciò che subito comprendemmo fu che era necessario organizzarsi per un soccorso il più rapido possibile, facile da pensare difficile da realizzare. Il luogo dell’incidente si trovava in un luogo impervio da raggiungere e inoltre ben lontano da rifugi e con sentieri malagevoli. Come accennavo prima ci trovavamo alla testata di una valle selvaggia, priva di sentieri e di riferimenti di fondovalle, sotto gli speroni rocciosi del Negoiu. Il tempo alternava qualche schiarita a nebbie fitte, ma ben presto volse decisamente al brutto fino ad avere vere e proprie bufere di neve, anche se si era in estate e ad altezze non eccessive (2100 m).

Erano le 2 del pomeriggio; organizzammo subito la sistemazione del ferito, adagiandolo e coprendolo con sacchi a pelo e con il montaggio di una tenda che seppur sbilenca dava un minimo di protezione. Cercammo di contattare con il GSM alcuni indirizzi nella città di Sibiu, ma il segnale era debole e l’epoca degli smartphone ancora distante. Lasciammo a guardia del ferito Michele e due ragazzi rumeni, che ci stavano accompagnando in questo giro.

Senza perdere tempo il resto del gruppo si incamminò verso il bivacco, che raggiungemmo quando già incominciavano a svolazzare i primi fiocchi di neve. Il tempo brutto fece sì che il gruppo rimanesse e pernottasse nel bivacco, spazioso sì ma molto basico. Di questa permanenza passò alla storia un fatto divertente: nel preparare caffettiere su caffettiere per errore si confusero le bottiglie dell’acqua con quelle della grappa, ne sortì un caffè piuttosto corretto. Che però ebbe grande successo anche da parte di una coppia rumena che condivise il bivacco con noi. Al sottoscritto toccò invece il compito di raggiungere Bilea e, non si sa bene come, trovare dei soccorsi.

Qui comincia la mia personale avventura. Con lo zaino scarico, mi avviai verso Bilea Lac, Teoricamente il percorso avrebbe dovuto essere in discesa, invece questo si sviluppò con una serie di saliscendi su creste rocciose ed esposte, con tratti attrezzati con catene. Sperando di essere nella giusta direzione superai questo tratto delicato avvolto dalle nebbie e dall’inizio della nevicata. Era pomeriggio avanzato e già il cielo era scuro, saturo com’era di nubi. A un certo punto iniziò finalmente la discesa. Erano passate le 5 pomeridiane quando raggiunsi Bilea, che scorsi solo all’ultimo momento.  Sulla sinistra intravidi una baita. Talvolta la fortuna aiuta gli audaci: in questo caso la baita in questione era un rifugio contrassegnato da una ben evidente croce rossa disegnata sul tetto: era la base di Salvamon. Non ebbi alcun dubbio ed andai a bussare. Aprì la porta una graziosa ragazza. Subito cercai di spiegare dell’incidente in un inglese zoppicante farcito di gramelot neolatino.

In questa fase un po’ concitata ripetei più volte la storia man mano che affluirono altri ragazzi. Tutti compresero la situazione; in brevissimo tempo si radunò un gruppo di persone, che si organizzò per il soccorso in ancor più breve tempo. Formatosi il gruppo dei soccorritori, questi partirono subito per cercare di raggiungere il ferito prima del buio. La salita e la lunga cavalcata di cresta furono compiute in tempi rapidi, nonostante la neve ed il vento imperversassero in più punti. A stento cercavo di stare loro dietro. Giunti al bivacco il mio compito terminò, passai il testimone a Natale che subito si accodò ai soccorritori per accompagnarli nel luogo in cui stava l’infermo. Verso le 8 di sera arrivarono sul luogo dell’incidente.

Da qui iniziò l’operazione di recupero e trasporto del ferito con il brutto tempo, la notte ormai giunta ed il terreno disagevole. L’opera dei soccorritori durò fino al mattino del giorno successivo, quando arrivarono ad una strada dove già un’ambulanza era pronta per raggiungere l’ospedale di Sibiu e poi quello di Bucarest. Le prime cure ed un rapido rimpatrio via aerea in Italia completarono il soccorso.

Sono Michele, quello che era rimasto accanto al ferito. Il mio racconto inizia con l’attesa dei soccorsi assieme al mio amico Vittorio. La tenda sbilenca si era nel frattempo riempita di acqua e così dovetti cercare un precario rifugio sotto una grande roccia che almeno mi consentiva di ripararmi dalla neve. Nel buio, che nel frattempo era calato, si udiva solamente il mormorio di un torrente nelle vicinanze. Quando avevo, ormai perso le speranze di un veloce arrivo dei soccorsi, mi parve di sentire risuonare il mio nome. Forse era un’allucinazione, invece era Natale che mi stava chiamando. Con lui giunsero insperatamente e inaspettatamente i soccorritori. Questi adagiarono Vittorio in un toboga e ripartirono velocemente, ed io con loro, seguendo a ritroso il percorso del mattino verso il rifugio Cabana Negoiu. Nonostante le due torce in loro possesso il buio era praticamente assoluto.

Si arrivò così al famigerato passo Strunga Ciobanului attrezzato sui due versanti da passaggi con catene che nella luce diurna rendevano più agevole il transito; ma al buio …. I ragazzi del soccorso, forse conoscendo meglio i passaggi, abilmente riuscirono a far valicare il toboga. Personalmente in discesa chiesi di calarmi aggrappato al cavo che lo sosteneva non vedendo assolutamente dove poter posare i piedi in sicurezza.

Finalmente al termine del canalone iniziò un sentiero più abbordabile e quindi riuscimmo a procedere più speditamente. Ma non tutto fu così facile perché le batterie delle loro torce, risalenti ancora all’era Ceausescu, si esaurirono in fretta; si procedette unicamente con la mia frontale.

Tuttavia, giunti all’ultima scivolosa passerella, uno dei soccorritori davanti a me sparì giù nel vuoto sottostante. Attimo di suspense …. Dopo pochi istanti lo rividi arrampicarsi sano e salvo e riprendere il sentiero.

Finalmente arrivammo al rifugio che era quasi l’alba. Nell’attesa del giorno i gestori mi offrirono una colazione che ben volentieri accettai. Arrivò una bella tazza fumante … peccato che contenesse un qualche intruglio ‘torcibudella’ con una gradazione vicina all’alcool denaturato.

Finalmente, fattosi giorno e col mio stomaco che gridava vendetta, ripartimmo per il fondo valle dove trovammo un’ambulanza ad attenderci. Come fu possibile che fosse giunta sino in quel luogo resta tuttora un mistero. La strada, una via di mezzo tra una mulattiera ed il greto del torrente, avrebbe posto problemi anche alla UAZ del nostro amico Mario.

Alla fine si giunse ad una strada asfaltata e, inserita la sirena, ci lanciammo a tutta velocità verso l’ospedale di Sibiu schivando in senso contrario veicoli, che non sempre cedevano il passo.

Giunti all’ospedale, l’impresa fu quella di evitare giornalisti importuni, che ovviamente cercavano di fare il loro lavoro. Qui iniziò una seconda fase mirata a fare arrivare in Italia Vittorio. Dovetti concordare le sue dimissioni; nel frattempo Gino e Frediano, che si stavano occupando di alcuni problemi meccanici ai furgoni, avevano prenotato il volo da Bucarest per il giorno successivo. Questo fu possibile solo dopo che un gentilissimo e scrupoloso medico dell’ospedale, che per fortuna parlava correttamente francese, ebbe eseguito tutti gli esami del caso. Dopo un periodo di osservazione per scongiurare eventuali conseguenze negative, finalmente nella notte lo prelevai con uno dei nostri furgoni e dopo una breve sosta in albergo partimmo alla volta dell’aeroporto di Bucarest.

A questo punto non mi rimane che elogiare i soccorritori, perché veramente hanno dimostrato, pur disponendo quasi unicamente del loro materiale umano, di essere super-efficienti e ben preparati, affrontando ogni imprevisto capitatoci nel percorso di ritorno.

Ha ragione Michele nell’elogio ai soccorritori. Molti sono stati gli spunti e gli insegnamenti tratti da questa vicenda; essi si sono accumulati al bagaglio che ciascuno di noi, frequentatore di montagne, in Italia o nel mondo, ha come parte integrante del proprio vissuto e della propria esperienza. Ma ciò che più mi preme è rimarcare la sollecitudine, la prontezza, la tempestività e la bravura degli uomini del soccorso rumeno, dei quali abbiamo poi potuto apprezzarne il lato umano, la disponibilità, la cortesia e la simpatia. Abbiamo avuto la consapevolezza di cogliere un’appartenenza di fondo ad un mondo di valori che sta alla base di chi frequenta le montagne, al di là della quotidianità.

Il giorno successivo al soccorso, Virgilio, il capo del soccorso, e altri ragazzi ci raggiunsero nell’ambiente molto più rilassante del Rifugio-Albergo di Bilea Lac. Nel corso di un lauto pranzo ci raccontarono in dettaglio come si sviluppò il soccorso e il suo esito finale; ci parlarono delle loro montagne e della loro struttura organizzativa, autonoma ed efficiente. Peraltro non ci fu chiesto alcun rimborso, e, solo insistendo, riuscimmo a fare accettare loro una offerta per Salvamont.

Salvamont è anche una fonte di informazioni precisa e competente sulle montagne rumene, sulle loro condizioni, metereologiche e di    innevamento. Per saperne di più ci si può connettere al loro sito www.salvamont.ro

Desidero alfine ringraziare, a nome di tutto il gruppo, le persone che sono intervenute nel soccorso, scusandomi con chi ho sicuramente tralasciato, non per volontà ma solo perché non ne conosco il nome:

Virgil Grosaru
     Corina Tarcea
     Dorin Bogdan
     Costantin Puiu
     Teodor (Fane) Tulpan
     Teodor Lupu
     Cristian Petre

                                                        Lorenzo Barbiè  e  Michele Bordone