Archivi categoria: Alpinismo

L’arte di guardare le montagne dalla finestra di una cucina

Grazie all’amico Nino Malavenda, gestore del rifugio Vaccarone in alta Val di Susa, per questo bellissimo racconto autobiografico …

Mi piace pensare che il mio amore per le montagne sia nato “nel” mare, come le Alpi che si sono innalzate dai fondali marini.

La mia storia è iniziata a più di mille chilometri di distanza dalle Terre Alte di cui sono diventato abitante senza che nulla lasciasse presagire che un giorno avrei fatto un simile cambiamento.

É iniziata imparando a nuotare prima ancora che a camminare e poi di seguito a pescare, remare e a fare ogni altro genere di attività marina. Senza sosta estate e inverno… una passione lunga tutta l’adolescenza.

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Donne e alpinismo: il valore della cordata femminile

Dopo gli importanti contributi di Anna Torretta e di Linda Cottino ecco quello dell’amica ugetina Simona Depaoli con l’estratto della sua tesi di Master del 2018 che ha per tema
              “Donne e alpinismo: il valore della cordata femminile”

[…] Nel 1909 Mary Crawford, una viaggiatrice americana, scriveva sui benefici del viaggiare in montagna: «Per una donna che svolge una vita sedentaria e passa tutto il suo tempo in ufficio, a scuola, in ospedale a dare tutte le sue energie agli altri, la montagna è l’attività migliore per conoscere se stessa come non mai. Man mano che salirà, crescerà la sua sicurezza, e quando arriverà in cima scoprirà un mondo nuovo. Guardare le cose dall’alto cambia sempre la prospettiva.» (López Marugán 2003, 21)

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Bartolomeo Peyrot, il primo italiano sul Monviso (4 luglio 1862)

Grazie all’amico Marco Fraschia, past president del CAI UGET Valpellice, per questo bellissimo racconto che ricorda l’impresa di un uomo che la storia ufficiale ha presto dimenticato.

Centocinquant’anni fa il bobbiese Bartolomeo Peyrot fu il primo italiano a salire sul Monviso accompagnando come portatore l’inglese Francis Fox Tuckett con le due guide Michel Croz di Chamonix e Peter Perren di Zermatt.
Il Cai Uget Val Pellice, per ricordare l’impresa e il personaggio, nel 2012 ha allestito una mostra e girato un film. Questo articolo ne è il dovuto completamento.

«Finalmente un buon diavolo, piccolo, ma di buona volontà, accettò di accompagnarci […]. Egli si chiama Bartolomeo Peyrotte[1] e si obbligò a rimanere con noi per quanto tempo avessimo voluto» (Francis Fox Tuckett)

Un’ora e mezza

Tanto bastò a Bartolomeo Peyrot per cambiare la sua vita ed entrare, suo malgrado, nella storia dell’alpinismo. Tanto passò tra l’arrivo in calesse a Bobbio Pellice, alle 6.30, di Francis Fox Tuckett e delle sue due guide, Michel Croz di Chamonix e Peter Perren di Zermatt, e la partenza a piedi alle 8.00 dal paese assieme a Peyrot, assoldato come portatore («il teodolite, il sacco da dormire, le provvisioni per due giorni formavano un peso davvero alquanto considerevole»[2]) alla «mercede di 2 franchi e 45 centesimi al giorno, oltre il vitto». I tre arrivavano da Torre Pellice – dove avevano pernottato all’Hôtel de l’Ours, «eccellente, pulitissimo e condotto molto bene da gente cordialissima» – raggiunta con l’omnibus in due ore e un quarto da Pinerolo. Si erano fermati due giorni a Torino, il 30 giugno e il 1 luglio, dopo un’escursione nel gruppo del Gran Paradiso e nelle valli di Lanzo. Continua la lettura di Bartolomeo Peyrot, il primo italiano sul Monviso (4 luglio 1862)

Franco Perlotto: Le campane di Sant’Andrea

Anche l’amico Franco Perlotto,  alpinista scrittore e tanto di più, ci regala alcuni racconti per trascorrere piacevolmente questi momenti in cui #IoRestoaCasa  … Ecco qui il primo, buona lettura!

Franco Perlotto

Il sole picchiava a perpendicolo sulle teste ricurve degli uomini, ricoperte dai cappelli di paglia, come in ognuna delle estati degli ultimi dieci anni. Sui campi in pendenza a luglio di solito c’era poco da fare. Passato il raccolto del grano, non restava che attendere la vendemmia che lassù era comunque tardiva. Il sole era così forte in quei giorni che gli uomini furono costretti ad uscire fino al pozzo vecchio, che sprofondava per trenta metri in mezzo agli arbusti di sorgo, rinsecchiti dalla canicola. Le crepe nella terra disegnavano fulmini tra nubi marroni di un temporale che tutti attendevano come un dono del cielo. Ma in quell’estate nulla fece supporre che si volesse assopire l’angoscia dell’esasperante lentezza dell’erba che ormai non poteva più crescere. Il sudore scivolava lento dentro ai solchi scavati sui volti tesi dei montanari, oppressi dallo sforzo di caricare in schiena i tubi dell’acqua, attraverso l’arso dei campi, su fino agli orti, dove perfino le zucche avevano tentato di appassire.

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Accadde in settembre

L’amico Andrea Mellano ci ha regalato questo bell’articolo scritto per la rivista del CAI, Scandere, nel 1964. Un articolo già ripreso lo scorso anno da Alessandro sul suo quotidiano online Gognablog

Cosa ci vuole per compiere la scalata di una famosa parete? Innanzi tutto ci vuole la parete. E questa c’era perbacco: nientemeno che la Nord-est del Pizzo Badile.

Poi ci vogliono almeno un paio di individui muniti di una capoccia che riesca a ragionare e di gambe e braccia che al momento opportuno riescano abbastanza utili. E anche questi c’erano (forse non corrispondenti ai requisiti richiesti, ma c’erano) e non solo due ma tre, anzi, quattro. Infine una macchina super veloce, un po’ di materiale, un pizzico di fortuna, due etti di bel tempo e: «voilà», la parete è fatta. Facile no? Bene, sentite un po’ come andò a finire. Continua la lettura di Accadde in settembre