Bartolomeo Peyrot, il primo italiano sul Monviso (4 luglio 1862)

Grazie all’amico Marco Fraschia, past president del CAI UGET Valpellice, per questo bellissimo racconto che ricorda l’impresa di un uomo che la storia ufficiale ha presto dimenticato.

Centocinquant’anni fa il bobbiese Bartolomeo Peyrot fu il primo italiano a salire sul Monviso accompagnando come portatore l’inglese Francis Fox Tuckett con le due guide Michel Croz di Chamonix e Peter Perren di Zermatt.
Il Cai Uget Val Pellice, per ricordare l’impresa e il personaggio, nel 2012 ha allestito una mostra e girato un film. Questo articolo ne è il dovuto completamento.

«Finalmente un buon diavolo, piccolo, ma di buona volontà, accettò di accompagnarci […]. Egli si chiama Bartolomeo Peyrotte[1] e si obbligò a rimanere con noi per quanto tempo avessimo voluto» (Francis Fox Tuckett)

Un’ora e mezza

Tanto bastò a Bartolomeo Peyrot per cambiare la sua vita ed entrare, suo malgrado, nella storia dell’alpinismo. Tanto passò tra l’arrivo in calesse a Bobbio Pellice, alle 6.30, di Francis Fox Tuckett e delle sue due guide, Michel Croz di Chamonix e Peter Perren di Zermatt, e la partenza a piedi alle 8.00 dal paese assieme a Peyrot, assoldato come portatore («il teodolite, il sacco da dormire, le provvisioni per due giorni formavano un peso davvero alquanto considerevole»[2]) alla «mercede di 2 franchi e 45 centesimi al giorno, oltre il vitto». I tre arrivavano da Torre Pellice – dove avevano pernottato all’Hôtel de l’Ours, «eccellente, pulitissimo e condotto molto bene da gente cordialissima» – raggiunta con l’omnibus in due ore e un quarto da Pinerolo. Si erano fermati due giorni a Torino, il 30 giugno e il 1 luglio, dopo un’escursione nel gruppo del Gran Paradiso e nelle valli di Lanzo.

Bartolomeo Peyrot ormai anziano nella foto d’epoca conservata presso la sede del Cai Uget val Pellice

Non ci è dato sapere come fece Tuckett a trovare Peyrot, né che cosa stesse facendo il giovane bobbiese quel mattino alle 6.30. Possiamo immaginare che l’alpinista inglese e le sue guide non abbiano avuto problemi a comunicare con la gente del posto in francese, lingua ufficiale della chiesa valdese, per il catechismo e il culto domenicale, ma ci piace pensare che, come i viaggiatori inglesi dell’Ottocento in visita alle valli valdesi, si sia rivolto direttamente al pastore della comunità locale, che all’epoca era Barthèlemy Davit, per avere indicazioni su un possibile portatore. Quanto a Peyrot, come tutti i montanari dell’epoca, sarà stato intento a uno dei tanti lavori estivi: accudire le bestie, tagliare erba, allargare il fieno, zappare l’orto o le patate. Oppure, se è vero, come risulta da fonti orali non verificate, che facesse il calzolaio, sarà stato alle prese con scarpe o zoccoli da realizzare o aggiustare.

Poco importa; quel che colpisce sono i tempi ristretti a disposizione per una decisione così radicale e immediata: ascoltare la proposta, contrattare eventualmente il prezzo, decidere, avvisare a casa, prepararsi e partire. Verso l’ignoto. Perché tale era senza dubbio il Monviso all’epoca, e non solo per un «buon diavolo» di Bobbio Pellice!

La salita: primo giorno, 3 luglio 1862

«Alle otto fummo in grado di riprendere il nostro pellegrinaggio. Una deliziosa passeggiata di tre ore di passo moderato, a cagione delle gambe straordinariamente corte del nostro nuovo compagno di viaggio, ci mise ai piedi del colle della Croce. Trovammo ivi un’osteria decente la quale trae il suo sostentamento dal passaggio abbastanza vivo tra La Torre e la valle del Queyraz , dacché la strada è molto praticata. La solerte ostessa ci preparò un buonissimo pasto, e giacché avevamo poca speranza di trovar altro più avanti, pensammo essere prudente cosa il profittarne.

La mensa era stata imbandita all’aria aperta, cosa che stuzzicava vie maggiore l’appetito. Quando ci levammo era già un’ora dopo mezzogiorno. Peyrotte, durante tutto il pasto, si palesò un divoratore prodigioso. Io penso che in questo incontro egli volle altrettanto indennizzarsi della passate privazioni, quanto provvedersi contro le incertezze dell’indomani.

«Là ad un tratto, ci si presentò la magnifica veduta del Monviso» (foto Marco Fraschia)

La discesa dalla parte della valle di Vallanta è rapidissima, ma senza difficoltà. Trovammo i più alti chalets abitati, ma sia per inospitalità degli abitanti, sia perché sospettassero della nostra apparenza, essi non vollero darci ricovero e nemmeno venderci una goccia di latte. Ma quando, circa alle 8, arrivammo al prossimo gruppo di case, indicato vicino alla lettera A della carta che accompagna il giornale del signor Mathews (Peaks, passes and glaciers – serie 2a, vol II, pag. 132), a un’ora circa sotto il colle, trovammo negli abitanti una squisita cordialità.

Il pastore ci accolse, insieme con sua moglie, assai di buon cuore. E quella povera gente non finiva più di dirci i bene arrivati e di chiederci scusa del loro stato che non permetteva di usarci tutta l’accoglienza che avrebbero voluto. Le oneste offerte furono accettate con grato animo e qualche istante dopo, davanti al fuoco, bolliva allegramente una bella pentola di latte con dentro del cioccolatte [sic] che noi vi aggiungemmo. Ci ristorammo con un po’ di cena e, stanchi già abbastanza per non essere difficili intorno al letto, ci sdraiammo sopra il fieno. Non eravamo ancora coricati che già viaggiavamo nel regno dei sogni.»

« Trovammo negli abitanti una squisita cordialità», dal film Bartolomeo Peyrot, primo italiano sul Monviso (4 luglio1862) (Foto Marco Fraschia)

Ciò che colpisce del resoconto del primo giorno di cammino sono la distanza, il dislivello e i tempi. Da Bobbio Pellice agli chalets dove il gruppo passa la notte, che presumibilmente corrispondono alle Grange del Rio, 1988 metri sul livello del mare, all’imbocco del vallone delle Forciolline, ci saranno almeno 35 – 40 chilometri, di sicuro 2500 metri di dislivello, solo in salita. Oggigiorno una gita in montagna si aggira tra i 1000 e i 1800 metri di dislivello in salita; molto raramente si superano i 2000 metri di dislivello in un solo giorno. Pertanto i 2500 metri di dislivello su una distanza approssimativa di 35 – 40 chilometri restano un’impresa di per sé ancora oggi e, pur essendo un tempo più abituati a camminare, lo erano anche all’epoca di Peyrot, soprattutto in relazione all’attrezzatura a disposizione.

Chi conosce e frequenta la zona sa bene che andare da Bobbio Pellice al Prà non è propriamente «una deliziosa passeggiata di tre ore di passo moderato», così come per andare dalla Ciabota del Prà al Colle Sellier in tre ore non bisogna certo fermarsi a guardare il panorama o contemplare i fiori. Insomma: Bobbio Pellice – Grange del Rio in 12 ore con due ore di sosta al Prà e un’ora al Sellier è un exploit degno delle moderne corse in montagna.

La salita: secondo giorno, 4 luglio 1862

Si gira la scena della partenza dall’alpeggio (foto Marco Fraschia)

«Io mi proponeva di passare la notte sulla cima del Monviso; con questo intendimento era chiaro che, dal luogo dove eravamo giunti, rimaneva avanti a noi assai meno d’una giornata di cammino. Ciò era confermato anche dalle indicazioni del signor Mathews (Peaks, passes and glaciers) nonché dalle nozioni della nostra guida Croz, compagno del signor Mathews nella sua salita. Ad ogni modo, alle 8.15 del mattino del 4 luglio, dopo una buona colazione di pane e latte, abbandonammo il Châlet e cominciammo a salire le falde del monte che si stende verso mezzodì dal piccolo Monviso tra la valle di Vallanta e quella delle Forciolline. Dopo un’ora di salita tra la selva di pini cembri, questa si dirada ed infine scompare. Entrammo allora nella regione alpina tutta sassosa con qualche intervallo erboso. Alle 9.45 ci riposammo alquanto; poi attraversato un dorso del monte, ci trovammo alle 10.30 in mezzo ad un gruppo di laghi o stagni che giacciono proprio nel seno della montagna, presso a poco dove comincia l’erta del colle delle Sagnette. Questi laghi si formano dallo scioglimento delle nevi più alte, e si scaricano per una gola che scende nella vallata delle Forciolline.

Posa eroica ai piedi del Viso; da sinistra a destra: Peyrot, Croz, Perren e Tuckett (foto Marco Fraschia)

Questo sito, dove le rocce gigantesche si riflettono nelle tranquille acque dei piccoli laghi, è assai interessante e ci invitò a riposarci una mezz’ora. Passando di sotto ai pendii sassosi che stanno all’Est sotto il colle delle Sagnette e dall’altra parte evitando l’errore dei miei amici predecessori, Mathews e Jacomb, che furono quasi condotti fino alla cima del Piccolo Viso, alle 11.45 guadagnammo la base della cima principale della montagna. Siccome dovevamo salire con pendenze nevose ponemmo le uose [ghette, n.d.a.]che non saranno più richieste nella stagione più avanzata. Salimmo con passo regolare e senza fretta per un’altra ora e 3|4 più spesso in mezzo alle rocce, oppure per couloirs e talvolta sopra pendii di ghiaccio dove fu d’uopo tagliarci i marciapiedi coll’ascia.

All’1.45 ci trovammo sulla vetta della cresta che discende dalla sommità S.S.E. nella direzione del colle delle Sagnette e probabilmente non lontani dal punto che si trova indicato al termine della linea punteggiata nello schizzo del signor Mathews, a pag. 157 del II vol. di Peaks, Passes and Glaciers. Le cose sin qui andavano in perfetto ordine; e siccome non avevamo penuria di tempo, risolvemmo di arrestarci qui per desinare piuttosto che aspettare l’arrivo alla cima. Dal punto in cui ci trovavamo, l’occhio spaziava sopra la vallata della Lenta e del Po. Più lungi scorgevamo le spaziosissime pianure del Piemonte, e sopra di noi torreggiava maestosa la cima del Monviso.

Sul nevaio ai piedi del Monviso (foto Marco Fraschia)

Seguitammo ad ascendere senza incidenti notabili; la strada che ci restava a percorrere era quella indicata con molta esattezza dal signor Mathews. Trovammo alcune rocce coperte di ghiaccio duro; la qual cosa ci obbligò a usare molta cura e qualche volta servirci dell’ascia. Un’altra ora e mezzo di salita sempre ardua ci condusse alla sommità, così che la salita dal Chalet di Vallanta, durò sette ore ed un quarto, dalle quali però si deve dedurne 1 1|2 spese in fermate.

La cresta che congiunge le due cime orientale ed occidentale, era coperta di neve recentemente caduta, e perciò molto pericolosa e fu consiglio prudente di contentarci della cima orientale la quale essendo pure coperta di neve ci parve la più alta delle due. Dopo aver cercato inutilmente il termometro a minimo che doveva trovarsi nel mucchio di pietre eretto dai signori Mathews e Jacomb, e che era in buono stato, pensai a sospendere il barometro, distendere le calzette che erano alquanto bagnate, perché si asciugassero ed esaminare la vista, mentre le guide si occupavano esse pure di alcune cose loro, delle loro pipe e di cercare possibilmente un ricovero per la notte. […]

Ippolito Rollier, “Versante Sud del Monviso e Punta Sella (sulla destra) dal vecchio Rif. Sella” (29 luglio 1908), Archivio Fotografico Roberto Rollier

Il tramonto fu meraviglioso. L’ombra del Monviso si stese vasta e pomposa sopra il velo di nebbia leggera che copriva la pianura del Piemonte. […] Di quando in quando il rumore prodotto dai sassi che cadevano dimostrava la molta attività delle guide che si ingegnavano a procurarci un riparo per la notte, ma avendoli raggiunti, mi accorsi che poco aveano potuto fare per il bivacco della notte. L’apparenza del tempo non era punto rassicurante; di quando in quando il vento muggiva in mezzo ai dirupi ed alle balze. Un vapore grigio che s’alzava dalle sottoposte vallate, avviluppava l’altura. In verità, io cominciava a dubitare della saggezza del nostro procedere. Ma oramai non v’era più mezzo di far diversamente; l’oscurità crescente ci circondava. Bisognava prepararsi per la notte. Prima d’ogni cosa pensai a far bollire una bottiglia di vino, mediante il mio apparato, per ristorarci e metterci in grado di affrontare quello che di peggio poteva accadere. Poscia Peyrotte si avviluppò nel sacco che portava seco. Croz si coprì la testa con una maglia di lana. Perrn pose un buon berretto di pelle di Foca con lunghe ali che scendevano sopra le orecchie, che io gli prestai. Si unirono tutti ben serrati, stesero sopra di loro una coperta che avevano preso ad imprestito nel Chalet, e vi soprapposero ad efficace riparo la coperta mia di makintosh. Io, alla mia volta, mettendomi dentro il mio sacco, coi piedi contro la roccia, in modo che mi fosse difficile di scivolare, cercai di prendere riposo.»

Una notte in cima al Monviso: 5 luglio 1862

Alle 2.30 Tuckett si sveglia:

«Apersi gli occhi, e con molta sorpresa osservai che tutto a noi d’intorno era bianco. Era caduto più di un pollice di neve, e seguitava a cadere a larghi fiocchi in mezzo alla nebbia. La prospettiva non era davvero molto rallegrante, ed il mio spirito era così vicino al prostra mento, che il pensiero di dover rimanere in quello stato per qualche ora ancora, mi si presentava molto molesto. Faceva molto freddo, ma mi sentii in grado di sfidare un tempo anche più crudo. Mi confortava la maniera con cui sopportava sì difficili prove il mio sacco. […]

Io ho paura che diversamente volgessero le cose per i miei compagni. Sebbene fossero passabilmente riparati; ed avessero, stando uniti tra di loro, il calore naturale, non erano tuttavia naturalmente sorretti dal mio vivo entusiasmo. Infatti dal sacco specialmente del povero Peyrotte, uscivano dei gemiti dolorosi. Io mi proposi di incoraggiarlo, cercai in particolare modo di rialzargli il morale facendogli riflettere avanti tutto come egli fosse il primo, tra i sudditi del re d’Italia che avesse asceso il Monviso, e, per sopra mercato, vi si fosse fermato una notte. Una notte di cui gli sarebbe durata la memoria per tutta la vita, e che lo avrebbe reso famoso fra i presenti ed i venturi di Bobbio. E tutta questa gloria in cambio di poche ore di freddo e di neve. E venendo a cose più umili, ma più utili, gli feci toccare con mano che il disagio presente l’avrebbe giovato ne’ suoi interessi, giacché, dopo una simile escursione, i viaggiatori l’avrebbero chiesto di preferenza a qualunque altro per guida esperimentata. Ma la mia eloquenza andò quasi perduta. Mi parve che dalle sue risposte apparisse ben chiaro, che egli avrebbe di buon grado rinunciato alle più brillanti prospettive avvenire, per isfuggire il presente che lo travagliava forse troppo.»

Alle 5.15 i quattro si alzano e dopo un boccone di colazione, «avendo perso ogni speranza di adoperare il teodolite, che era stato trasportato con tanta fatica» alle 6 iniziano la discesa, resa delicata dalla neve caduta nella notte, e alle 10.15 raggiungono l’alpeggio della prima notte. «Al Chalet, una liberale libazione di latte fresco, fu accettata con molto piacere; e subito dopo ci ponemmo entro il fieno per 3 o 4 ore, onde riguadagnare quanto avevamo perduto di sonno e di riposo la notte scorsa». Alle 14.30 il gruppo riprende la discesa verso Castello in val Varaita, che viene raggiunto alle 15.30, dopo avere incontrato «tre o quattro preposti di finanza, armati di carabina, i quali con modi non garbati ci fermarono e sottoposero tutto il nostro povero bagaglio ad una visita rigorosissima». Alle 16.50 sono a Chianale dove passano la notte in un «un albergo di non molto incoraggiante apparenza». Qui termina la relazione pubblicata sul quotidiano torinese dell’epoca, non senza l’annotazione finale: «Così ebbe termine una interessantissima escursione di cui mi rammenterò ognora come delle più piacevoli da me intraprese fra le montagne».

Il rientro: 6 luglio 1862

Dal seguito del racconto pubblicato da Tuckett su «The Alpine Journal» e dai diari di Tuckett[3] stesso sappiamo che il 6 luglio, dopo la sveglia alle 4 e partenza alle 5, il gruppo raggiunge il colle dell’Agnello alle 7.15 per scendere in Francia nel Queyras dove alle 14.30, a Chateau Queyras, Tuckett, Croz e Perren si separano da Peyrot – che presumibilmente rientra a Bobbio passando, forse, dal Colle della Croce – per proseguire verso il Delfinato dove effettueranno altre importanti salite nel massiccio degli Ecrins.

[1]    Tale è la grafia originaria nei testi di Tuckett, ripresa anche da Quintino Sella, dettata probabilmente dalla pronuncia francese del nome. In realtà già nei dati anagrafici riportati nei documenti d’archivio il cognome è scritto correttamente Peyrot. Analogamente Tuckett scrive Perrn il nome della sua guida svizzera tenendo conto della pronuncia tedesca del nome che andrebbe scritto correttamente Perren.

[2]    Salvo indicazioni diverse tutte le citazioni del resoconto della salita sono tratte da Francis Fox Tuckett, Una notte sulla cima del Monviso (4 luglio 1862) in «Gazzetta di Torino», 18 e 19 marzo 1863. Lo stesso racconto, leggermente modificato e un po’ più breve, compare anche in inglese col titolo A night on the summit of Monte Viso in «The Alpine Journal», vol I, 1863-1864, pp. 23-33 (marzo 1863), mentre il seguito del resoconto si trova in Francis Fox Tuckett, Explorations in the Alps of Dauphinè during the month of July, 1862. Read at the meeting of the Alpine Club, June, 9 th. 1863 in «The Alpine Journal», vol I, 1863-1864, pp. 145-183 (dicembre 1863). Una traduzione italiana di A night on the summit of Monte Viso si trova anche in Marco Albino Ferrari (a cura di), Racconti di pareti e scalatori, Torino, Einaudi, 2011, pp. 5-14.

[3]    Francis Fox Tuckett, Explorations in the Alps of Dauphinè during the month of July, 1862. Read at the meeting of the Alpine Club, June, 9 th. 1863 in «The Alpine Journal», vol I, 1863-1864, pp. 145-183 (dicembre 1863); A pioneer in the high Alps. Alpine diaries and letters of F. F. Tuckett 1856 – 1874, London, Edward Arnold, 1920, pp.372 (nello specifico pp. 124-127 e 143-145).

I protagonisti

Francis Fox Tuckett nacque a Frenchay in Inghilterra il 10 febbraio 1834 dove morì il 20 giugno 1913. Figlio di una famiglia benestante di Bristol, ebbe la fortuna di avere una notevole disponibilità di tempo e denaro che gli consentì di viaggiare molto. Avviato alla montagna dal padre durante una vacanza a Chamonix, nel 1856 diede inizio alla sua intensa carriera d’esplorazione montana, salendo numerosi 4000 delle Alpi (Aletschorn, Breithorn da Zermatt, Punta Gnifetti, Gran Paradiso, Monte Bianco passando per l’Aiguille e il Dome du Gouter) prima di salire al Monviso passando dalla Val Pellice. Divenne ben presto un alpinista di notevole fama. Dal 1863 dedicò la sua attenzione alle Alpi Orientali (Adamello, Gran Zebrù, Monte Disgrazia, Civetta, Cevedale, Pizzo Bernina, Monte Cristallo, Antelao, Ortler, Weisskugel, Presanella, Marmolada). Fu universalmente riconosciuto come un’autorità indiscussa dell’alpinismo mondiale, tanto da potersi dedicare anche all’escursionismo scientifico, compiendo molti viaggi alla scoperta delle montagne statunitensi (1884), norvegesi (1886-1887), greche e balcaniche (1880), spagnole e nordafricane (1888). Tra una esplorazione e l’altra, finirono nello straordinario palmares di Tuckett, anche il Lyskamm, la Tour Ronde da Courmayeur, il Rutor.

Francis Fox Tuckett nel 1868 da A pioneer in the high Alps. Alpine diaries and letters of F. F. Tuckett 1856 – 1874, London, Edward Arnold, 1920

Michel Auguste Croz (Chamonix-Mont-Blanc, 22 aprile 1830 – Cervino, 14 luglio 1865), guida alpina assai apprezzata, accompagnò molti dei pionieri dell’alpinismo inglese tra il 1859 ed il 1865, partecipando a numerose prime ascensioni, tra cui il Monviso, il Mont Dolent ed il Cervino: nel corso di quest’ultima impresa trovò la morte in un incidente.

Nato a La Tour, una frazione di Chamonix, Croz iniziò ad operare come guida alpina nel 1859, quando fu assunto da William Mathews per un’ascensione sul Monte Bianco. Insieme al fratello Jean Baptiste accompagnò Mathews anche nelle due successive campagne del 1860 e del 1861, culminate con la prima ascensione del Monviso. Successivamente, si unì come guida ad altri alpinisti del calibro di Francis Fox Tuckett e Edward Whymper, compiendo, oltre a numerose prime ascensioni (tra cui si possono citare, oltre al già detto Monviso, la Grande Casse, la Barre des Ecrins e la Aiguille d’Argentiere), anche diverse prime traversate di colli precedentemente inviolati, come il Col des Ecrins, il col du Sélé ed il col du Glacier Blanc nel Massiccio degli Ecrins (1862, con Tuckett e Peter Perren).

Nel 1865 Michel Croz si unì alla spedizione guidata da Edward Whymper che tentava la prima salita al Cervino dalla Cresta dell’Hörnli. Della spedizione facevano parte, oltre a Croz e Whymper, Charles Hudson, Lord Francis Douglas, Douglas Robert Hadow, e le due guide di Zermatt Peter Taugwalder padre e figlio. La spedizione raggiunse con successo la vetta il 14 luglio 1865. Sulla via del ritorno, Hadow, secondo di cordata, scivolò, investendo Croz, che era in testa, spingendolo lungo la strapiombante parete nord del Cervino; i due trascinarono nella loro caduta anche Lord Douglas e Hudson, poi la corda che univa i sette si spezzò salvando la vita a Whymper e ai due Taugwalder. Il corpo di Michel Croz, recuperato pochi giorni dopo, fu sepolto nel cimitero della chiesa di Zermatt

Michel Auguste Croz da A pioneer in the high Alps. Alpine diaries and letters of F. F. Tuckett 1856 – 1874, London, Edward Arnold, 1920

Peter Hans Perren era guida di Zermatt di alto spessore tecnico. Tra le sue ascensioni si ricordano:

Alphubel (m. 4.206) prima salita il 9 agosto 1860 con i clienti T.W. Hinchliff e Leslie Stephen e il collega guida Melchior Anderegg;

Lyskamm (m. 4.527) prima salita il 19 agosto 1861 con William Edward Hall, Jean-Pierre Cachat, Josef-Marie Perren, J.F. Hardy, J.A. Hudson, C.H. Pilkington, A.C. Ramsay, T. Rennison, F. Sibson, R.M. Stephenson, Franz Lochmatter, Karl Herr e Stefan Zumtaugwald;

Cervino (m. 4.478) tentativo invernale nel gennaio 1862 con il cliente Thomas Stuart Kennedy e il collega guida Peter Taugwalder senior;

Dent D’Herens (m. 4.171), prima salita il 12 agosto 1863 con Florence Crauford Grove, William Edward Hall, Reginald Somerled Macdonald, Montagu Woodmass, Melchior Anderegg, Jean-Pierre Cachat;

Monte Rosa Punta Parrot (m. 4.634) prima salita il 16 agosto 1863 con i clienti Reginald S. Macdonald, Florence Crauford Grove, Montagu Woodmass e il collega Melchior Anderegg;

Cervino (m. 4.478) prima salita femminile il 22 luglio 1871 assieme ai clienti Lucy Walker, Frederick Gardiner, Frank Walker e i colleghi Heinrich Anderegg, Melchior Anderegg, Nicholas Knubel, Peter Knubel.

Peter Perren da A pioneer in the high Alps. Alpine diaries and letters of F. F. Tuckett 1856 – 1874, London, Edward Arnold, 1920

Di Bartolomeo Peyrot (Barthélemy nei documenti d’archivio e Peyrotte nella relazione di Tuckett, Sella e altri contemporanei) conosciamo ben poco. Da ricerche d’archivio e articoli di giornale sappiamo che nasce a Bobbio Pellice il 2 novembre 1836 da David Peyrot (1801 – 1879) e Jeanne Allio (1804 – ?) e il 13 dello stesso mese viene battezzato valdese con Paul Artus e Catherine Bertin, sua moglie, come padrino e madrina. Molto probabilmente partecipa alle guerre d’indipendenza ottenendo anche delle medaglie. Dopo la salita al Monviso con Tuckett nel 1862 accompagna ancora un gruppo nell’agosto del 1863, ma non arrivano in cima. Il 24 settembre 1871 si sposa nel tempio di Bobbio Pellice con Bonjour Constance; celebra il matrimonio il pastore Matthieu Gay. Dopo pochi mesi nasce il primogenito David (12 dicembre 1871) cui segue quattro anni dopo la figlia Jeanne (10 maggio 1875). Muore all’età di 84 anni il 17 novembre 1920 alla borgata Giaime di Luserna San Giovanni. Dal registro dei funerali della chiesa valdese di San Giovanni sappiamo che era vedovo e operaio (ouvrier) di professione.

Il sacco a pelo

Nelle sue due relazioni, in inglese e italiano, Tuckett si sofferma parecchio a descrivere il suo «sacco ossia letto di campagna», uno dei primi sacchi a pelo della storia dell’alpinismo. Dopo un primo esemplare testato nel 1861 e realizzato ad imitazione di quello di un suo amico «il signor Galton, il distintissimo viaggiatore dell’Africa e segretario onorario della Società reale di geografia», il quale lo «fece fare sopra il modello di quelli adoperati nei Pirenei dai preposti francesi». Tuckett fece apportare alcune modifiche dai «signori Heyes e C. fabbricatori di oggetti a prova d’acqua a Bristol» ed ebbe un nuovo «sacco di campagna» al costo di «lire sterline 3.8.6»:

«Coperto di makintosh nella parte inferiore; nella parte superiore, alla distanza di circa 15 pollici dai piedi, comincia ad essere semplicemente come un sacco, fatto di quella istessa stoffa con cui si fabbricano generalmente le coperte di lana rossa, chiamata in commercio col nome di pelle di cigno. Si apre come il davanti di una camicia, per lasciar adito ad entrare comodamente il corpo e dai lati vi sono due fori per far passare le braccia: così si facilita molto ogni movimento della persona. Dove finisce il makintosh, superiormente, comincia una specie di copertina, o di grembiale della stessa stoffa di lana del sacco. Questo grembiale può essere rovesciato all’in giù sopra i piedi, se si sente freddo, o tirato su sino al collo, ed assicurato alle spalle con due bottoni, se si ha desiderio di aver più caldo alla parte superiore del corpo. Un cappuccio anch’esso di lana, ma privo affatto di makintosh, per lasciar libera la circolazione dell’aria e quindi la traspirazione fa compiuto l’apparecchio».

Il film

Sabato 18 agosto 2012, ore 20: un urlo liberatorio echeggia sui pascoli della Roussa lungo la strada che porta al colle Barant. Iniziate mercoledì 8 agosto, sono finalmente terminate le riprese del film Bartolomeo Peyrot, primo italiano sul Monviso (4 luglio 1862). Undici giorni particolarmente impegnativi per troupe e attori in azione a volte fin dalle quattro del mattino e fino alle undici di sera. Ma anche giorni ricchi di aneddoti e ricordi destinati a restare nel cuore di quanti hanno partecipato anche in minima parte alle varie fasi delle riprese. Come non ricordare le risate con le comparse durante le riprese al ristorante Centro di Bobbio Pellice, la luce diffusa del tramonto sul Viso al colle Sellier, le riprese aeree dall’elicottero sul Viso, la vocina del piccolo Stefano nell’ormai assonnato «e poi?» ripetuto un’infinità di volte, le “dimenticanze” di Giorgio Benigno (la sveglia, la canna, la camicia, la barba…), la pazienza dell’ultra ottuagenario Valdo Bellion rimasto a Bobbio Pellice dalle sei di mattina alle otto di sera per le riprese, l’accento “franscese” di Bepi Pividori nel pronunciare le sue proverbiali “Forscioline” e “Prè du lac”, la faccia di Ermanno Aglì alla quindicesima volta che si girava una particolare inquadratura della sua scena e il corno svizzero del telefonino di Paolo Colleoni che suona nel bel mezzo di una ripresa («Mi è arrivato un messaggino…»).

Nato come spettacolo teatrale, il soggetto è stato leggermente modificato per adattarsi meglio alle esigenze cinematografiche: in sostanza Peyrot non sogna più, addormentato in punta al Viso, le varie fasi della salita, ma le racconta al figlio piccolo nel cortile di casa alcuni anni dopo l’impresa. Il film è stato preferito allo spettacolo teatrale dal direttivo del Cai Uget Val Pellice per supplire alle difficoltà e all’imbarazzo di calcare la scena di un teatro. Il Cai Uget Val Pellice oltre ad assumersi l’onere dei costi – circa 8000 euro in tutto – ha fornito anche un nutrito numero di attori.

Questi i dati tecnici del film: soggetto: Marco Fraschia; sceneggiatura: Marco Fraschia, Leopoldo Medugno, Emanuele Pasquet; regia: Leopoldo Medugno e Emanuele Pasquet (Patroclo Film), costumi: Federica Pasquet; scenografia: Francesca Giai; fonico: Arianna De Luca; montaggio: Vincenzo Di Natale; consulenze linguistiche: francese: Micaela Fenoglio, patouà: Tatiana Barolin, piemontese: Franco Pasquet. Personaggi: Bartolomeo Peyrot/Giorgio Benigno; Francis Fox Tuckett/Alessandro Plavan; Michel Crox/Bepi Pividori; Peter Perren/Paolo Colleoni; Mamma Peyrot/Dilva Castagno; Figlio Peyrot/Stefano Benech; Constance Bonjour (cameriera e moglie di Peyrot)/Valentina Cesan; Pierin/Ermanno Aglì; coppia di pastori/Claudio ed Elisabetta Pasquet; pastore valdese/Valdo Bellion; oste/Roberto Pontet; cocchiere/Eric Charbonnier; giocatori di morra: Giovanni Charbonnier, Piero Garnier; Riccardo Davit; Roberto Charbonnier; Paolo Michelin Salomon; Paolo Geymonat.

Prima assoluta nazionale: giovedì 29 venerdì 30 novembre 2012 alle ore 21 presso il teatro del Forte di Torre Pellice nell’ambito della rassegna MontagnArt.

Bartolomeo Peyrot nella storia

Al momento di congedarsi da Peyrot, Tuckett rilascia al portatore di Bobbio Pellice una lettera di accompagnamento da presentare come credenziale ai futuri clienti:

«Je certifie que Bartolomeo Peyrotte m’a accompagné de Bobbio à cet endroit par Pra, le col de Seylières, le col de Vallanta, Ponte Castello, Chianale et le Col de l’Agnello, et je suis très content de lui.
Des Chalets entre le col de Vallanta et Ponte Castello nous sommes montés avec les guides Michel Croz de Chamonix et Pierre Perrin de Zermatt à la dernière cime du Monviso, sur laquelle nous avons passé la nuit du 4 en jouissant de la plus belle vue sur la plaine d’Italie, les montagnes de la France, les Alpes Maritimes etc.
Je trouve qu’il faut remarquer que B. Peyrotte est le premier piémontais qui à mis le pied sur cette montagne.
Queyras, 6 juillet 1862
Francis Fox Tuckett
de Bristol en Angleterre»

L’anno seguente infatti a Sampeyre il 5 agosto1863 Peyrot fa leggere la sua credenziale ad un gruppo di alpinisti di ritorno da un tentativo di salita al Viso. Egli sta accompagnando al Viso, passando dalla val Varaita, «un’altra carovana di viaggiatori […] della quale faceva parte una non meno elegante e gentile che coraggiosa signora torinese». Si tratta di Alessandra Boarelli che darà nome al pianoro nel vallone delle Forciolline dove la comitiva passa la notte senza riuscire, il giorno dopo, a raggiungere la cima[1].

Forte di questo fallimento Quintino Sella nel raccontare la propria salita, effettuata il 12 agosto 1863, non si risparmia di denigrare il buon Peyrot al quale, secondo lo statista, nel tentativo di poco precedente alla sua salita, «venne talmente meno ogni specie di animo, che dopo molte difficoltà e tentennamenti finì di rifiutarsi affatto a condurre la comitiva sulla vetta del Monviso. Io non mi meraviglio troppo del poco entusiasmo del primo italiano che fu sul Monviso, perché dalle frasi della relazione del Tuckett che lo riguardano, arguisco come già allora molto rimpiangesse di essersi posto in cosifatta impresa, tanto che il Tuckett l’ebbe a motteggiare non poco. Ma tornando alla comitiva, essa non poteva non perder animo per l’avvilimento del Peyrotte, e quindi rinunciò all’impresa»[2].

Miglior trattamento riservano a Peyrot gli alpinisti inglesi. Oltre alla credenziale rilasciata da Tuckett, John Ball, primo presidente dell’Alpine Club dal 1857 al 1860 cita Peyrot nella sua guida delle Alpi occidentali relativamente a Bobbio Pellice: «Bartolomè Peyrotte, of this village, accompanied Mr. Tuckett in the ascent of Monte Viso, as a porter. He was found active and useful, and his terms moderate»[3]. La stessa citazione compare anche nella traduzione italiana della guida ed il cognome del portatore viene scritto, finalmente, in modo corretto: «Un certo Bartolomeo Peyrot di questo villaggio, accompagnò il signor Tuckett, come portatore, nella sua ascensione sul Monviso. Egli era attivo e intelligente, e discreto riguardo ai prezzi»[4].

Bisogna aspettare il 1928 perché, per iniziativa dell’Uget val Pellice, venga posta sul municipio di Bobbio Pellice una lapide che ricorda il «Primo italiano scalatore del Monviso», come titola «La voce del Pellice» del 4 maggio nel fare il resoconto della manifestazione:

«Malgrado la violenta bufera che imperversò su tutta la valle […] una numerosa schiera di alpinisti, rappresentanze e valligiani, volle presenziare la modesta cerimonia. […] Dopo brevi parole del sig. Alessandro Pasquet, il prof. Ubaldo Valbusa, presidente del Cai di Ivrea, tenne il discorso ufficiale, e con la sua calda e dotta parola seppe rievocare in brevi tratti la figura dell’umile Bobbiese, accomunandola a quella di Quintino Sella. […] In prima fila, ed in costume valdese, spiccava la signora Giovanna Peyrot in Bertin, figlia di Bartolomeo Peyrot, con sul petto appuntate le medaglie guadagnate dal padre suo nelle guerre per l’indipendenza».

La lapide posta sul municipio di Bobbio Pellice a ricordo di Bartolomeo Peyrot (Foto Bepi Pividori)

La cerimonia termina con «amichevole thè» presso l’Hôtel Flora e la «vendita di un elegante ricordo di Bartolomeo Peyrot».

Dopo la triste parentesi della guerra bisogna aspettare gli anni Sessanta del Novecento per avere altre iniziative legate alla figura di Bartolomeo Peyrot. Il 30 dicembre 1965 il consiglio comunale di Bobbio Pellice, presieduto dal sindaco Giovanni Baridon, riconosce ufficialmente l’intitolazione di una via Peyrot «dedicata all’alpinista bobbiese che con una spedizione inglese raggiunse in prima scalata la vetta del Monviso»[5].

la via Peyrot a Bobbio Pellice

Pochi anni dopo il giornale locale «Il Pellice» del 23 febbraio 1968 annuncia per domenica 25 febbraio una «gara sciistica riservata alla terza categoria. Sono in palio il trofeo Peyrot, coppe offerte da vari enti, medaglie e premi in natura»[6]. L’organizzazione è dello Sci Club Bobbio Pellice con la collaborazione di Pro Loco e amministrazione comunale. Siccome nel trafiletto si sottolinea che «sarà indispensabile la presenza di un po’ di neve» è probabile che non sia venuta, visto che sui numeri successivi non c’è nessun resoconto della manifestazione.

Infatti nello stesso anno 1968, il 22 dicembre, organizzata dallo Sci Club Bobbio Pellice, si svolge «sulle nevi del Garneud […] una gara di fondo individuale intitolata al trofeo Bartolomeo Peyrot». Vi partecipano 39 concorrenti, suddivisi in quattro categorie: seniores, juniores, allievi e veterani. Il trofeo triennale Bartolomeo Peyrot viene assegnato allo Sci Club Angrogna[7].

Dopo una pausa nel 1969, dovuta forse all’assenza di neve, la manifestazione riprende nel 1970 e prosegue ogni anno fino al 1974 – con una partecipazione media di 70 – 80 concorrenti e una punta di 130 nel 1974 – per concludersi definitivamente nel 1977 con 156 partecipanti, quando il trofeo Peyrot viene «definitivamente assegnato allo Sci Club Prali per merito di Martinat Livio, Pascal Gino e Genre Mauro» dopo essere passato per due anni consecutivi nelle mani dello Sci Club Nordico di Torino (1973 e 1974) [8].

Dovranno passare altri quarant’anni circa perché vi siano altre manifestazioni a ricordo di Bartolomeo Peyrot. Nel 2012 infatti il Cai Uget Val Pellice in occasione dei 150 anni dalla salita ha realizzato una mostra e un film sul primo italiano sul Monviso.

La mostra, che consiste in sette pannelli illustrativi sull’itinerario, il resoconto della salita, i protagonisti e Bartolomeo Peyrot nella storia, dopo essere stata esposta presso i locali della dogana reale di Bobbio Pellice dal 12 maggio al 31 luglio, è salita nei rifugi del Cai Uget Val Pellice: ad agosto al rifugio Granero, a settembre al rifugio Barbara e ad ottobre al rifugio Jervis. In seguito è stata presentata presso varie sezioni del Cai in giro per il nord Italia (fino a San Daniele in Friuli e Bordighera in Liguria).

Il film invece, girato dall’8 al 18 di agosto, dopo la fase di montaggio, venne presentato ufficialmente nei giorni 29 e 30 novembre 2012 alle ore 21 presso il teatro del Forte di Torre Pellice, nell’ambito della rassegna MontagnArt, alla presenza degli eredi di Bartolomeo Peyrot, residenti in Francia a Marsiglia. Seguirono altre 57 proiezioni e la realizzazione di un dvd in doppia ristampa.

[1]    Citazioni e notizie tratte da Vittorio Grimaldi, Una settimana al Monviso in «Rivista Mensile del Club Alpino Italiano», n.1-2, Gennaio – Febbraio 1963, pp. 23 – 35

[2]    Quintino Sella, Una salita al Monviso. Lettera di Quintino Sella a B. Gastaldi segretario della scuola per gli ingegneri, Torino, Tipografia dell’Opinione, 1863, pp.7-8.

[3]    John Ball, A guide to the Western Alps, New Edition, London, Longmans, Green and Co., 1877, p.35.

[4]    Id, Guida delle Alpi Cozie (distretto del Viso – distretto valdese), con note e aggiunte del Cav. V. Buffa e Dott. E. Rostan, Pinerolo, Chiantore e Mascarellli, 1879, p.44.

[5]    Dal verbale del consiglio pare di capire che la via esistesse già, ma che vi fosse «la necessità di regolarizzare con un provvedimento» la sua denominazione.

[6]    Notizie da Bobbio Pellice in «Il Pellice», 23 febbraio 1968.

[7]    Disputato a Bobbio Pellice il Trofeo Bartolomeo Peyrot in «Il Pellice», 27 dicembre 1968.

[8]    Gara di Fondo a Bobbio Pellice in «Il Pellice», 28 gennaio 1977; per gli anni precedenti si veda: Gare di sci a Bobbio Pellice in «Il Pellice, 6 febbraio 1970; Gara di sci a Bobbio Pellice in «Il Pellice», 26 febbraio 1971; Sci – Trofeo Peyrot e Baridon in «Il Pellice», 28 gennaio 1972; Gara sciistica in alta val Pellice in «Il Pellice» 9 febbraio 1973; Sport invernali a Bobbio Pellice in «Il Pellice», 22 febbraio 1974.

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