L’arte di guardare le montagne dalla finestra di una cucina

Grazie all’amico Nino Malavenda, gestore del rifugio Vaccarone in alta Val di Susa, per questo bellissimo racconto autobiografico …

Mi piace pensare che il mio amore per le montagne sia nato “nel” mare, come le Alpi che si sono innalzate dai fondali marini.

La mia storia è iniziata a più di mille chilometri di distanza dalle Terre Alte di cui sono diventato abitante senza che nulla lasciasse presagire che un giorno avrei fatto un simile cambiamento.

É iniziata imparando a nuotare prima ancora che a camminare e poi di seguito a pescare, remare e a fare ogni altro genere di attività marina. Senza sosta estate e inverno… una passione lunga tutta l’adolescenza.

Durante una vacanza andai a camminare con lo zaino e la tenda, provai sensazioni uniche scoprendo così la mia vocazione: l’escursionismo.

Dunque abbandono il mare e non tolgo più gli scarponi dai piedi, scopro le Alpi, le percorro in lungo e in largo.

Per poter vivere e lavorare in mezzo alla natura inizio ad accompagnare bimbi e ragazzi su e giù per i monti, spinto da un grande camminatore che risponde al nome di Elio De Micheli, che come organizzatore di trekking mi da dà fiducia fin da subito e continua a darmene ancora oggi, dopo ventidue anni.

Frequento tanti rifugi,  sulle Alpi, in Corsica, in Germania. Capirò successivamente che in quel periodo, osservando senza scopo tutti questi rifugisti, in me nasceva una chiara idea su come far stare bene i propri ospiti e anche su come non fare.

Il mio cammino mi porta in Val D’Angrogna dove trovo un lavoro al Rifugio Jumarre a condurre campi estivi e lavare piatti. L’idea è quella di fermarmi giusto il tempo dell’estate, in realtà non me ne sono più andato. Alla Jumarre c’è Paola detta “il Capo” che ha dato spazio e supporto ai miei progetti tanto che la Val D’Angrogna con la sua magica atmosfera diventa per me Casa con la C maiuscola.

Dalla Jumarre ogni tanto prendo piccole pause per fare qualche esperimento di gestione mia personale di piccoli rifugi qua e là. Giusto per provare sulla mia pelle quello che ho visto fare agli altri.

Sono tutte esperienze brevi e alla fine torno sempre al mio Rifugio in Val D’Angrogna e ai miei trekking.

É in questo modo, lentamente e senza forzare i tempi del fato, che sono diventato uno di quelli che la montagna la vede dalle finestre della cucina, per dirla nel modo scherzoso con cui definisco il mio essere custode di un rifugio.

Da una di queste finestre mentre lavo piatti vedo per molti giorni consecutivi il Monte Niblè e quando finalmente a settembre arriva il momento di un giorno libero decido di salirci. Bella gita, ambiente wild e quando ormai sei lassù un giro veloce alla Rocca d’Ambin non vuoi farlo? Ma certo e già che ci sei scendi ai Denti di Chiomonte… capita sempre così quando la gabbia si apre, che ne inventi di tutti i colori prima che si richiuda.

Scendendo arrivo al Lago dell’Agnello e al Rifugio Vaccarone. Non mi capacito del fatto che quel rifugio sia chiuso e abbandonato, inizio a immaginarmi lassù a dare la colazione agli alpinisti che partono al mattino presto. Perchè proprio la colazione? Perchè per me è il momento della giornata più duro e più appagante allo stesso tempo, faccio fatica a svegliarmi presto ma poi mi godo ogni istante a partire dal primo caffè mentre tutti dormono.

In linea con il resto della mia vita anche stavolta non accade nulla sul momento. Serviranno ancora un paio di anni di vita vissuta e un po’ di incontri di quelli che la vita vissuta ti mette a disposizione per avverare i desideri, prima che io abbia la possibilità di diventare custode di quel selvaggio angolo delle Alpi.

Tra gli incontri che mi porteranno lassù, tanti veramente tanti, i due riferimenti istituzionali sono Vilmer (Jacob allora presidente del Cai Chiomonte) e Marco (Rey allora assessore del Comune  di Giaglione, oggi sindaco) con cui iniziamo a parlare del Vaccarone ancora prima che i lavori necessari a riaprire il rifugio dopo gli anni di chiusura siano terminati.

Il tempo se ti volti a guardare indietro sembra passare fin troppo in fretta. Gia da otto anni custodisco il Vaccarone assieme alla mia famiglia e assieme a molte altre persone che meritano di essere ringraziati per il supporto e l’affetto.

Riempirei dieci pagine a nominarli tutti e farei torto a qualcuno.

Colleghi rifugisti, ospiti assidui, amici, soci del Cai, Abitanti di Giaglione; siamo circondati da premura e affetto.

Posso contare sulle dita di una mano gli sgarbi e gli atteggiamenti maleducati, le ore di cammino ci proteggono dagli intolleranti che raramente riescono ad affacciarsi alla porta del rifugio.

Non è proprio tutto idilliaco, ci sono dei momenti in cui quello intollerante sono io, per esempio al telefono quando ricevo alcune richieste, quando sono troppo stanco e provo rabbia verso quella faticosissima vita.

Di aneddoti ne ho migliaia ma uno in particolare spiega come i racconti alcune volte diventino parte della nostra vita fino a non sapere più se sono stati realmente vissuti.

Ho raccontato talmente tante volte del giorno in cui fui chiamato dalla mia compagna che stava per partorire e della mia discesa, che molte persone hanno iniziato a credere di essere stati in rifugio quel giorno. L’affetto con cui hanno vissuto quel momento della nostra vita è entrato a far parte anche della loro.

Di sicuro a settembre quando chiudo non voglio neanche sentirlo nominare il rifugio e questo mi accade per qualche mese… ma verso maggio, in modo inspiegabile, mi assale la nostalgia e sento fortissima l’esigenza di tornare lassù.

Non sempre riesco a vedermi come “presidio culturale e guardiano delle montagne”, come richiesto da alcune correnti di pensiero, mi sembra una responsabilità troppo grande e cerco di non prendermi troppo sul serio in questo.

Mi sento Custode del mio minuscolo rifugio e delle persone che ci sono in giro, che si fermino o meno da me.

Custode dell’esperienza che l’umanità fa passando lassù, dell’accoglienza che posso dare loro, della loro incolumità, del loro appetito che cerco di colmare servendo cibo di qualità cucinato come meglio posso, della pulizia, dell’opportunità di dare loro indicazioni chiare e corrette.

Quanto a custodire le montagne non fa per me e lo lascio ad altri. Credo piuttosto che siano loro a custodirmi, dandomi la possibilità di vivere seguendo la mia forte e confusa passione per l’arte di osservare le montagne dalle finestre di una cucina.

Nino Malavenda, Custode del Rifugio Vaccarone
(foto di Nino Malavenda)

Per quando finirà questa emergenza ecco una bella proposta del Rifugio Vaccarone con il Tour dell’Ambin: scarica  QUI  la brochure.

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