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L’intervista: MARCO BERNARDI

Per ricordare ed apprezzare, ecco che rispolveriamo dalla rivista della montagna di ottobre 1992 una bellissima intervista di Roberto Mantovani a Marco Bernardi

Dalle grandi solitarie sulle pareti alpine alle short climbs delle falesie. Un cammino in discesa o, piuttosto, una strada diversa? I torinesi sono gente strana: tentazioni e fallimenti, lampi e crepuscoli, amori, riconoscimento e impegno sociale, difficilmente scivolano come in un film nella loro vita. Piuttosto si contraddicono, si urtano, compressi nei crogioli della fabbrica del mito

Marco Bernardi, trentaquattro anni (nel 1992 ndr), consulente informatico, un viso da ragazzino che denuncia a malapena l’età. Ex alpinista solitario, ex guida alpina, ex primo della classe in arrampicata libera (fino a qualche anno fa si chiamava ancora così), è stato uno degli inventori del free climbing di casa nostra e ha aperto la strada all’arrampicata sportiva va dell’ultima generazione. Persino i climber “sintetici” e i patiti dell’indoor gli devono qualcosa. A lui, però, il ruolo del maestro sta stretto ed è convinto di non avere nulla da insegnare.

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Carlo Crovella: Climbomat

In questo racconto (che risale a venticinque anni fa, ma che sembra scritto ai giorni nostri) Carlo Crovella metteva già in guardia dal rischio che la tecnologia potesse costituire il Cavallo di Troia per uno stretto monitoraggio individuale, in montagna e non solo. Il progresso tecnologico ha perfino sopravanzato le valutazioni di allora: app, Big Data, social media hanno costruito una gabbia stile Grande Fratello che, anziché evolvere la nostra esistenza, ci imprigiona tutti quanti.
(pubblicato su ALP agosto 1994 e poi confluito nel volume La Mangiatrice di uomini, Vivalda Editori, 2011)

Arrivarono alla base della parete proprio con il primo sole.

Saltarono fuori dall’automobile e, guardando in alto, concentrarono l’attenzione sul lungo diedro che costituisce il passaggio chiave della salita.

“Speriamo che sia chiodato!” dichiarò Luciano.

“E ci mancherebbe!” gli rispose Rodolfo.

Era solo una battuta scaramantica, ma sapevano tutti e due che la via era ottimamente attrezzata. D’altra parte non poteva che essere così: uno sperone di roccia saldissima, che, partendo dal parcheggio, si impenna come la prua di un transatlantico, a fianco di un coreografico ghiacciaio. C’erano tutti gli ingredienti perché la via fosse molto frequentata, quindi perfettamente attrezzata.

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‘Na Via c’an Pia ovvero ”Una Via Campia”

Dopo un articolo di escursionismo, uno di scialpinismo, ecco qua dall’amico ugetino Lorenzo Barbiè uno di alpinismo.
L’articolo è già apparso su Alpidoc, la rivista delle sezioni CAI del Cuneese.

E’ un omaggio al grande alpinista cuneese Matteo Campia, che aprì numerose vie, soprattutto sulle Alpi Marittime. Più modestamente io con altri otto amici abbiamo scalato la Cresta Nord-Ovest all’Asta Sottana, in uno degli angoli remoti delle Marittime. E questo è il racconto della salita.

‘Na Via c’an Pia ovvero ”Una Via Campia”

Tre cordate in contemporanea lungo una via decisamente fuori moda: la cresta nordovest dell’Asta Sottana. Un record di presenze per il quale è facile prevedere un lungo periodo d’imbattibilità.

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Prima invernale via Mellano-Perego al Becco di Valsoera                 

Dopo aver vissuto la sua impresa sulla NORD DEL CERVINO nel racconto di Andrea Mellano, ecco che l’amico Beppe Castelli  ci regala un suo bellissimo contributo inedito che  racconta un’altra sua bella ed epica impresa.  Buona lettura …  

Era il gennaio del 1967 e dopo avere fatto sette prime invernali negli anni precedenti dove avevo constatato che il congelamento rimediato sulla nord del Cervino non mi aveva lasciato dei postumi che mi impedisse questa attività invernale, con gli amici Antonio Balmamion e Ennio Cristiano puntammo alla prima salita invernale dello sperone ovest del Becco di Valsoera per la via Cavalieri-Mellano-Perego molto ambita dal mondo alpinistico Piemontese e non solo.

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L’arte di guardare le montagne dalla finestra di una cucina

Grazie all’amico Nino Malavenda, gestore del rifugio Vaccarone in alta Val di Susa, per questo bellissimo racconto autobiografico …

Mi piace pensare che il mio amore per le montagne sia nato “nel” mare, come le Alpi che si sono innalzate dai fondali marini.

La mia storia è iniziata a più di mille chilometri di distanza dalle Terre Alte di cui sono diventato abitante senza che nulla lasciasse presagire che un giorno avrei fatto un simile cambiamento.

É iniziata imparando a nuotare prima ancora che a camminare e poi di seguito a pescare, remare e a fare ogni altro genere di attività marina. Senza sosta estate e inverno… una passione lunga tutta l’adolescenza.

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