Trilogia delle Valli Sperdute … prologo

Ecco qui un articolo sperimentale, nel senso che è scritto a quattro mani dall’amico Lorenzo Barbiè e da Mario Ogliengo, guida alpina. E’ multimediale perché durante la lettura sono da attivare i link a brani musicali. La narrazione, nell’intento degli autori, dovrebbe essere un po’ scanzonatoria ed autoironica, da non prendersi troppo sul serio. Non so se ci sono  riusciti … a voi il giudizio
“Trilogia delle Valli Sperdute” fa riferimento a 3 gite un po’ speciali,  su montagne “minori”; al tempo in cui sono state fatte erano decisamente sconosciute (forse delle prime scialpinistiche!).
Le pubblicheremo in quattro parti: qui il prologo ed a seguire nei prossimi giorni le 3 gite … Buona lettura!


Prefazione

‘The Big Chill’ (Il Grande Freddo) è un film americano del 1983 per la regia di Lawrence Kasdan con Glenn Close, Kevin Kline, Jeff Goldblum, William Hurt ed altri. Il titolo è evocativo e bene si coniuga con le nostre storie. La colonna sonora di questo film ci ha accompagnato e cullato nel corso di quegli anni. Ogni storia raccontata si intreccia con queste musiche, citate in ogni capitolo. Atmosfera dejà vu. Buona lettura e buon ascolto

 Prologo

Una bella giornata d’inverno, i cristalli di neve enormi si sfarinano al nostro passaggio. La neve è soffice e la traccia scompare dietro di noi, quasi una scia sul mare. Questa Valle è magnifica e non ci stancheremo mai di sciarla. L’atmosfera che si sta creando tra di noi, vecchie pellacce, ogni anno più lente e arrugginite, diventa nostalgica.  Ovunque intorno a noi, su tutti i versanti vediamo solo tracce, tutti i pendii e i canali sono percorsi e ci sono pendenze cattive. Sorridiamo e un po’ di invidia la coviamo per chi ha lasciato queste firme. Non più pane per i nostri denti, un gran peccato … ma se ritorniamo indietro solo di un po’ ci viene da pensare ai nostri ‘Giorni Grandi’, scusa Walter, ai giorni sulla neve, alla nostra passione che compensava la tecnica scarsa, alla noia del lavoro in ufficio che forniva la benzina per evadere. Anche noi, a nostro modo eravamo estremi: senza pale, senza sonde e Arva. Senza Goretex o previsioni meteo. No Gps, no barrette o integratori. Eravamo sicuramente incoscienti. Temerari, forse, fortunati di sicuro. Ci piaceva da morire l’avventura. Oggi possiamo togliere un po’ di ragnatele e di polvere ai ricordi e rivivere il film di una quarantina di anni fa.

Non ci potevamo lamentare. Eravamo giovani, chi già lavorava, chi occupava scuole. Vestivamo l’eschimo, avevamo basettoni o capelli scompigliati, pure quelli se ne sono andati! Ci incazzavamo ma non ci lamentavamo perché Torino impastata di nebbie e di smog in inverno a volte ci sorprendeva.  Certe mattine dai finestrini sporchi del tranvai l’orizzonte era terso e le montagne bianche potevi acchiapparle con la fantasia. E noi eravamo pronti. Pronti ad evadere, a scappare, a sfiancarci in montagna per stare bene, per raccontarla alle ragazze, per raccontarla a noi stessi, per sentirci un po’ migliori anche se solo per poche ore. Piaceva alzarci il sabato alle quattro dopo una notte passata “a giocare a carte e bere vino”.  Schiacciati nella Dyane o in una Seicento, come sardine in scatola, si partiva alla ricerca del Walhalla.

La nostra psiche funzionava strana. L’unica certezza era questa: ‘nessuno è passato di lì’, perché nessuno era così svitato da risalire dei Valloni dimenticati da Dio e dagli uomini con mulattiere scassate e abbandonate e sottoboschi selvaggi. Trovavamo sempre cento buoni motivi per farci del male   Di neve ne scendeva tanta nel secolo scorso. Inverno e primavera erano un pozzo senza fine di belle gite e belle nevi.  Succedeva che una volta in cima ci lasciavamo conquistare dal primo pendio che ci trovavamo di fronte. Era lì che avremmo lasciato le prossime tracce e poi fidatevi: di sicuro nessuno c’era stato.  Questo fu l’inizio di un modestissimo ‘Wild Bunch’ subalpino che non si accontentava di mettere croci sull’Aruga-Poma appena sfornato[1]. Noi dovevamo sollevare tutti i tombini per vedere cosa si nascondeva sotto. Inseguivamo galeoni spagnoli da assaltare, miglia su mari in tempesta, e scoprivamo angoli meravigliosi. A ben vedere gli svitati e potenzialmente pericolosi eravamo noi due, ci supportavamo e spronavamo a vicenda. Poi, come in tutte le crociate che si rispettino, ingaggiavamo guerrieri che non necessariamente offrivano grandi garanzie.

Fu allora che decidemmo di scantonare dalle tracce battute, non ci bastava il bel pendio accanto a tracce usate. Eravamo egoisti e così a volte i giochi si complicavano.


[1] Aruga-Poma è il riferimento al libro grande classico dello scialpinismo “Dal Monviso al Sempione” di Roberto Aruga e Cesare Poma, Ed.CDA

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