PUNJAB ’70

Oggi era in programma una serata per ricordare a cinquant’anni la spedizione PUNJAB’70. Avrebbero dovuto partecipare alcuni dei protagonisti: Corradino Rabbi, capo spedizione, Alberto Re e Bruno China

Purtroppo questa emergenza dovuta al coronavirus non l’ha resa possibile, ma noi vogliamo rimediare proponendovela in modo virtuale con il racconto della spedizione dall’articolo di Alberto Re pubblicato sulla nostra rivista LIBERI CIELI nel 1970.
Comunque appena possibile la serata verrà riproposta e potremo sentire il racconta dalla voce dei protagonisti.
Buona lettura!

Il 26 settembre per via aerea raggiungemmo Nuova Delhi, dove ci fermammo due giorni per acquistare viveri e vettovagliamenti. Con le due jeeps messeci a disposizione dalla «Premiers Automobiles», per gentile interessamento della Fiat, iniziammo il viaggio verso le montagne su un percorso di circa 800 chilometri.
… «Sotto un sole cocente percorriamo i primi 400 chilometri in una pianura sconfinata, dove l’incontro con i mezzi di trasporto locali, quali elefanti e dromedari, rompe la monotonia di un paesaggio senza alternativa. Quindi la strada affronta le prime montagne, sbarramento naturale delle stupende valli himalayane. Il percorso, molto pittoresco, si snoda a saliscendi tra lussureggianti foreste di conifere, del tutto simili a quelle delle nostre Alpi.
Dopo circa 14 ore di viaggio, sostiamo per trascorrere la notte in una curiosa cittadina posta sulle sponde di un lago. Il giorno se­guente riprendiamo ancora il viaggio e questo tratto di percorso si rivela sempre più interessante, in netto contrasto con la staticità in cui si trova la vasta pianura. Percorriamo ora alcune valli, a volte molto incassate, costeggiando torrenti impetuosi, a volte molto ampie coltivate a riso e granoturco con sistemi molto arcaici. Dopo una veloce carrellata attraverso villaggi sempre più caratteristici, raggiungiamo finalmente Manali, un pittoresco paesino posto a 1900 metri. Qui ha termine la parte automobilistica del viaggio.
Era nelle nostre intenzioni tentare la scalata dell’inviolata cima del Dibibokri Pyramid, nella valle del Parbati, ma le speranze di mesi di lavoro purtroppo si infransero sugli scogli della burocrazia, che disdegnando ogni precedente promessa, ci vietò l’accesso a questa zona. Ci troviamo così a risalire, con scarsa documentazione, la Valle Solang, unica alternativa concessa alle nostre richieste. Con due giorni e mezzo di marcia, accompagnati da una trentina di portatori, attraverso stupende foreste prima e lungo grandi morene poi, trasportiamo i 700 kg di materiali e poniamo il Campo Base in una bella conca a circa 3500 metri di quota.
La cima più elevata di questa zona è il Mukarbeh, alto 6100 metri: per ora non riusciamo a vederla, in quanto è nascosta da alte creste. Questa bella vetta fu salita per la prima volta nel 1968 da una spedizione americana. Noi ora tentiamo la prima ripetizione.
Il giorno 7 ottobre, discesi i portatori e rimasti con noi solamente i tre sherpa Chi­rijng, Zangbò e Wangijal, dopo aver percorso una ripida morena, superiamo circa 1000 metri di dislivello e poniamo il campo Ia quota 4500. Un ripido canalino tra ghiaccio e roccette ci permette poi di raggiungere una cresta nevosa a quota 5100: ora finalmente possiamo vedere il Mukarbeh, bella montagna di ghiaccio, al di là di una lunga cresta che s’impenna a formare la vetta del Manali Peak, per abbassarsi poi ripidamente e quindi innalzarsi con un ultimo balzo di 800 metri fino alla vetta. Percorriamo il ghiacciaio pianeggiante, lungo più di un chilometro, e poniamo il campo II alla base del Ladaki Peak.
Dopo aver scalato per 200 metri la cresta sud-est del Ladaki Peak, con un’esposta traversata sul versante orientale di questa montagna, raggiungiamo la cresta nord e la percorriamo fin quando questa non si innesta sul versante sud del Manali Peak. Un ripido pendio ghiacciato alto circa 400 metri, poi un breve tratto di roccette e siamo in vetta al Manali Peak, 5670 metri.
Per oggi è più che sufficiente, ridiscendiamo al campo II dopo aver lasciato il materiale per attrezzare il campo III. Un paio di giorni di riposo, quindi risaliamo fino in vetta al Manali Peak, da dove siamo costretti a scendere una ripida parete di circa 300 metri: lasciamo numerose corde fisse, che sicuramente ci saranno di grande utilità per il ritorno. Sul filo di un’aerea crestina di neve poniamo il campo III.
Il giorno 14 ottobre partiamo per la vetta divisi in due cordate: la prima leggera, composta da Rabbi e China, la seconda più pesante con compiti d’appoggio, composta da Agnolotti, Wangijal e me…
Ecco le impressioni di Pino Agnolotti su quella giornata:
«… Alba del 14 ottobre: mi sveglio e vedo sopra di me uno spesso strato di ghiaccio che incrosta l’interno della tendina. È stata una notte freddissima ma, avvolti nei nostri sacchi piuma, abbiamo riposato bene ugualmente. Dino e Bruno sono già che tentano di sgelare gli scarponi servendosi del fornelletto: siamo a quota 5500 su un piccolo ripiano della cresta che va dal Manali Peak, scalato ieri, al Mukarbeh, che tenteremo oggi.
Verso est, dietro centinaia di vette, il sole che sta per sorgere dipinge con colori inimitabili cielo e montagne; un mondo poderoso di cime e ghiacciai circonda il nostro aereo ballatoio, grandioso eccezionale modo dell’Himalaya … «espressione di quanto più alto, più bello, più arduo, più affascinante un alpinista possa desiderare e concepire» …
Dino e Bruno filano via veloci sulla cresta e ben presto noi li seguiamo. Al termine della cresta aggiriamo sulla destra un grande seracco pensile e proseguiamo su per pendii ripidi coperti da ottima neve. È Wangijal, il nostro solerte e meraviglioso portatore Ladaky, che guida la cordata tirando a tutta velocità; poco prima, vedendolo un po’ mogio, ho promesso di regalargli il mio duvet al termine della spedizione. Subito è ritornato allegro, ha innestato la quarta ed ora noi siamo qui che arranchiamo alle sue calcagna. Attraversiamo a sinistra al termine del grande pendio di ghiaccio e ci portiamo sotto il salto finale, mentre Dino e Bruno sono già molto alti nei pressi della vetta. Wangijal sale senza preoccuparsi minimamente delle più elementari norme di sicurezza, forse non le conosce neppure, con il risultato che al termine di ogni lunghezza di corda Alberto ed io siamo alla disperata ricerca di un qualsiasi spuntone per autoassicurarci.
Ecco, lassù Dino e Bruno hanno raggiunto la vetta. Mentre il cielo va a mano a mano coprendosi anche noi raggiungiamo la cima. Poi, giù lungo le corde fisse, accompagnati dalla tormenta e dal vento che intanto si sono scatenati. Con tutta calma, badando alla sicurezza, a sera siamo alle tendine del campo III: anche se i viveri sono pochi, la soddisfazione è grande e non manca certo l’allegria. Finalmente vedo Bruno ridere per la prima volta dall’inizio della spedizione’
Il giorno seguente risaliamo al Manali Peak e rientriamo al campo III, dove una frittata di alcune dozzine di uova ed alcuni pezzi di capra più o meno decentemente arrostiti, appagano un po’ il nostro appetito … Smontiamo tutto e giù. È notte quando rientriamo al Campo Base ...».
Sovente dal Campo Base ed ancor più dal campo II avevamo ammirato la stupenda piramide dell’Hanuman Tibba ed in particolare la cresta nord. Sulla sua fattibilità i pareri erano unanimi fino agli ultimi 400 metri, dove la cresta proseguiva esile verso la vetta, protendendo enormi cornici di neve rivolte ad oriente. Decidemmo comunque di attaccare la cresta, prevedendo due bivacchi nel corso della salita. Il giorno 18 ottobre salimmo al Solang Pass 4900 metri, superando 1400 metri di dislivello lungo un ripido canale di ghiaccio, quindi una cresta, preferibile al canale, che nelle ore calde convogliava pietre di tutte le dimensioni. Installammo un campo leggero dove Agnolotti, indisposto, rimase ad attenderci fino al nostro ritorno.
… Wangijal ha perso il suo solito sorriso ed appare preoccupato, cerca in tutti i modi di dissuaderci dai nostri propositi. Ma noi, con promesse di ogni genere, riusciamo a convincerlo a seguirei e soprattutto ci assicuriamo le sue preziose spalle!
Siamo divisi in due cordate: Rabbi e Campiglia davanti, Wangijal tra China ed il sottoscritto, che con l’inseparabile «Rollei» ha il compito di documentare la salita. Fa freddo, il tempo è splendido.
Incontriamo molta neve polverosa su roccia malsicura, poi a mano a mano la cresta si raddrizza e con il crescere della quota i passaggi difficili si fanno particolarmente «sentire». Superati due caratteristici nevai, che per la loro forma abbiamo chiamato «la clessidra», raggiungiamo una sella nevosa che ci conduce ai piedi del secondo grande salto della cresta. L’esposizione verso nord è notevole.
Sempre nella neve polverosa, con grande fatica, raggiungiamo le rocce dell’ultimo grande bastione che precede le eleganti crestine di neve terminali. Forziamo l’andatura ed eccoci a risalire le prime crestine, di una inclinazione impressionante; ma il sole ormai sta per tramontare e siamo costretti a bivaccare in posizione esposta e disagevole. Foriamo la cornice e discendiamo sul versante est, dove intagliamo nel ghiaccio un piccolo ballatoio sospeso sopra i mille metri dalla parete est…
«… Le ore sono volate, il sole sta tramontando. Non ho mai staccato lo sguardo dalla cresta, ma ora li ho persi di vista mentre attaccano il breve salto roccioso, forse bivaccheranno su di un terrazzino. No, proseguono a ritmo più che sostenuto. Penso: sta per divenire buio, potevano fermarsi su quelle rocce, adesso la cresta è tutta di neve e ghiaccio fino in vetta. Ma eccoli che con un ultimo bagliore di luce si fermano a bivaccare su un piccolo intaglio nevoso a circa duecento metri dalla vetta. È notte…»
… La notte è freddissima, infilati nei sacchi a piuma lasciamo trascorrere lentamente le ore. La sensazione di solitudine e di immensità è meravigliosa, solo i brividi di freddo ogni tanto rompono l’incanto che stiamo vivendo. All’alba riprendiamo la salita percorrendo la fantastica crestina finale: le difficoltà tecniche vanno diminuendo, ma in compenso il procedere diviene estremamente faticoso. La neve inconsistente e polverosa ci obbliga a tranciare la superficie della cresta per uno spessore di quasi un metro, fin quando non incontriamo neve più sicura. Con progressione lenta, ma continua, raggiungiamo la vetta dell’Hanuman Tibba alle 13: siamo a 5950 metri, felici e soddisfatti per questa bella vittoria …
«… Eccoli, cinque puntini avanzano uno dopo l’altro sul filo vertiginoso della cresta. Procedono bene, forse hanno trascorso una notte discreta. Alle 13 il Gagliardetto del Gruppo Alta Montagna del C.A.I. Uget sventola sulla vetta dell’Hanuman Tibba, conquistato per l’inviolata cresta nord alla «maniera alpina» …
… Sul versante sud, tra grandi crepacci e seracchi, discendiamo a lungo percorrendo un ghiacciaio pianeggiante per una decina di chilometri. Siamo ancora costretti a bivaccare su una morena, mentre nella notte stellata ammiriamo il profilo nitido della «nostra» cresta. La morena non ha mai fine, ma il giorno dopo ci ricongiungiamo con Agnolotti che ci ha atteso trepidante al Solang Pass…
«… Arrivano, hanno bivaccato nel vallone nord. Facce stravolte, stanchi ma sempre pronti alla battuta scherzosa. Il Giambo ha perso parecchio della sua aria di studentello in vacanza, Wangijal ora ride a squarciagola, forse per rifarsi dei momenti di paura passati. Sulla cresta dell’Hanuman Tibba non ha mai nemmeno sorriso. Ad Alberto, il ribelle, è passata completamente la voglia di contestare, mentre Dino è sempre lui, cascasse il mondo non si emoziona o per lo meno non lo dà a vedere. E, fatto straordinario, per la seconda ed ultima volta in 35 giorni, Bruno, il Vice, sorride debolmente e non è agitato..»
… Insieme discendiamo al Campo Base. Grandi nuvoloni preannunciano il monsone. Mentre scendiamo a valle con la carovana dei portatori, comincia a nevicare.
NOTE TECNICHE
Zona
A circa 8 km ad Ovest di Manali ha inizio una lunga e bella valle che porta ad un vasto pianoro, circondato da imponenti montagne. L’ultimo villaggio è Dhundi e consiste in una capanna semicadente posta su una altura al sicuro dalle piene del torrente. Numerosi i pastori con greggi, utili per l’approvvigionamento della carne.
Alpinisticamente la zona è ormai sfruttata, ciò nonostante rimangono da salire alcune belle vette minori, per altitudine, ma non certo per bellezza. Inoltre non occorrono permessi.
Si può giungere da New Delhi a Buntar in aereo, di qui a Manali per strada (circa 40 km).
Manali Peak – 5.670 m
Bella cuspide rocciosa che si eleva di fronte al Mukarbeh. Sulla cresta sud di quest’ultimo un unico pendio glaciale porta dai piedi del Ladakhi Peak alla vetta del Manali, 45° circa, facile.
Magnifica vista sulle montagne del Chandra e sull’intera catena del Shigri, Parachio e Parbati.
Salitori:
domenica 11 ottobre Rabbi Corradino – Re Alberto – Agnolotti Giuseppe · China Bruno
giovedì 15 ottobre Campiglia G. Battista · Strani Paolo.

Mukarbeh · 6.100 m
Imponente montagna: scalata sinora solo la sua cresta Sud che ha inizio dal colle dopo il Manali Peak. Dal colle dopo una facile cresta superare una seraccata pensile aggirandola sulla destra-est. Proseguire poi per la cresta lungo tratto di misto sino a finire sotto la cuspide finale sbarrata da un salto di rocce compatto (IV ramponi) in seguito per colatoi di neve e ghiaccio alla vetta.
Salitori: mercoledì 14 ottobre Rabbi C. – China B. · Re A. – Agnolotti G. – Niangial
3^ ascensione.

Hanuman Tibba · 5.950 m
Bella piramide che gli inglesi hanno ribattezzato con il nome di Solang Weisshorn – domina interamente la valle. Salita sinora dal suo versante Sud otto volte è stata da noi scalata per l’imponente cresta Nord che ha origine dal Solang Pass o Bruce’S Pass. Dislivello della cresta 1.000 m circa. Difficoltà di sempre su terreno misto (ramponi) per circa 1/3. Il rimanente è costituito da un susseguirsi di aeree creste glaciali di una arditezza non comune.
Salitori: 19-20 ottobre dal Solang Pass – Rabbi – Re- China – Campiglia – Niangial
9^ ripetizione – 1^ salita per la cresta nord

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