Oggi, 19 aprile 2020, l’amico ed accompagnatore della nostra Commissione Gite, Emilio Botto, vuole farci vivere in modo virtuale la sua gita che solo la situazione emergenziale per il corona virus ha costretto al rinvio …
IVREA VIVERONE IVREA in 45Km DI NATURA e STORIA
Ai piedi della più grande morena d’Europa con vista sullo spettacolare panorama del lago di Viverone crocevia di sentieri antichi e cammini più recenti
Partenza da: Ivrea
Dislivello: quasi nullo
Lunghezza del percorso: circa 45 Km
Tempo: ore 10 più soste
Difficolta: T
Attrezzatura da escursionismo leggero
Ore 4:30 del mattino suona la sveglia.
E’ suonata un po’ prima del solito, non tanto, ma quanto basta per far sembrare questa alzataccia come una salita impegnativa su una cima del gruppo del monte Rosa. Però oggi niente ramponi, piccozza e corda nello zaino. Oggi si cammina con zaino leggero. Anzi il più leggero possibile. La partenza è fissata per le 7:00 del mattino. La partenza è partenza. Puntuali. Si incomincia a camminare e non ci si fermerà più fintantoché non saremo di ritorno. Qualche pausa qua e là solamente per qualche bisogno che non può essere rimandato e si riparte immediatamente. Inutile fermarsi a riposare. In queste camminate ci si riposa passo dopo passo.
E’ ancora buio. Solo da qualche settimana è entrato in vigore l’orario legale e quindi la sveglia suona quando ancora non è albeggiato. Guardo fuori la finestra. La giornata promette bel tempo.
Il ritrovo è alla stazione ferroviaria di Ivrea. Alle 7 della mattino non c’è gente per le strade e la stazione è ancora uno dei luoghi più frequentati. Per quanto frequentata possa dirsi una stazione che non ha certamente i passaggi di una città metropolitana. Però i treni in arrivo da Aosta ed in partenza per Torino oppure quelli che percorrono il tragitto inverso nella piccola stazione di Ivrea “la bella” (per citare G. Carducci) si scambiano i passeggeri. Varrebbe la pena spendere qualche parola su questa linea ferroviaria, che fino al 2001 è stata gestita da una battaglione del Genio Ferrovieri e la sua storia si perde nel tempo quando ancora il Piemonte era parte del Regno Sabaudo. Arrivando in auto dalla autostrada qualcuno avrà notato il piccolo edificio in mattoni rossi che costeggia la strada che perpendicolare termina proprio in prossimità della stazione (per la cronaca via Guglielmo Jervis – ingegnere, partigiano, alpinista). E’ il piccolo stabilimento dove l’avventura degli Olivetti ha avuto inizio. Tutti gli altri palazzi sono stati costruiti negli anni successivi con la crescita della azienda di famiglia. Sono il segno di una imprenditoria industriale che ha fatto storia nel nostro paese. Ci attarderemmo veramente troppo a parlarne, non ci siamo ancora mossi e la strada da percorrere è lunga. Gli ultimi arrivati hanno terminato di legarsi gli scarponcini quindi partiamo. L’aria fresca delle giornate di primavera ci accompagna. Ero indeciso se percorrere il ponte che attraversa la Dora Baltea, percorrere il lungo Dora, passare sotto il Botta, attraversare la piazza del Sirio e giungere al naviglio. Ho preferito tagliare direttamente sul cavalcavia sopra la ferrovia ed attraversare la Dora sulla passerella Cappellaro e da qui proseguire spedito verso Cascinette lasciandomi Ivrea “la bella” alle spalle prima che si svegliasse.
Lungo la strada che porta a Cascinette, forse c’è modo di fare colazione. Forse. Non sempre i bar e le pasticcerie la domenica mattina sono aperte fin dalla buon ora. Se c’è modo bene diversamente faremo come si potrà lungo la strada. Oggi va così. Ancora qualche bivio ed ecco il primo prato verde della giornata poi improvvisamente subito dopo appare un lago che praticamente è incuneato nella città. E’ risaputo. Qui i laghi sono di casa. Non è il lago di Viverone ma il lago San Michele. Gli passiamo accanto. C’è uno scorcio bellissimo sui monti della valle Sacra tenete pronte le macchine fotografiche. Subito dopo la strada ci si addentra nei boschi che ci conducono fino a Burolo. Non è raro poter scorgere i segni del passaggio di qualche cinghiale. Io in tutte le mie camminate fatte in zona non ne ho mai visti però di cacciatori parecchi nella stagione della caccia. In quella circostanza è bene percorrere qualche sentiero alternativo e non tanto per i cinghiali. A Burolo la strada inizia a salire non perché si debba raggiungere la cima di una montagna bensì perché siamo giunti ai piedi della serra morenica e qui la traccia ci conduce a camminare un po’ più in alto rispetto la strada che percorre la pianura. Meglio così ci lasceremo da parte qualche macchina in più. La traccia ufficiale della via Francigena è questa. In realtà in questa zona sono molti i sentieri che percorrono la serra morenica nella direzione nord – sud est. Poco sopra Burolo dove noi passiamo un altro sentiero giunge da Arona, passando da Oropa, Sordevolo e Graglia poi sale sulla morena e svalica nel Canavese. Questi sentieri corrono tutti paralleli fra loro e convergono a Viverone. Non illudiamoci poiché per arrivare a Viverone manca ancora un po’ e d’altronde noi siamo appena appena partiti. Se tutto procederà come immaginato arriveremo per l’ora del pranzo. Ci separano ancora alcuni paesi e non meno importanti alcuni luoghi meritevoli di essere visti. Il primo in ordine di percorrenza è la chiesetta romanica dei santi Pietro e Paolo a Bollengo. La si incrocia dopo una breve salita usciti dal paese. La sua costruzione si fa risalire intorno all’anno 1000 dove sorgeva il villaggio di Pessano che, insieme a Paerno, formava nel 1250 il borgo di Bollengo. All’interno vi sono resti di affreschi risalenti al XV secolo. Mi piace pensare che questa chiesa vide passare il cardinale inglese Sigeric di ritorno a Canterbury da Roma, quando con i suoi scritti ci lascio la traccia di quella che oggi è codificata come via Francigena. Sicuramente non è andata come immagino poiché una decina di anni e forse più separano i due eventi, la costruzione della chiesa ed il viaggio di Sigeric, però perché non immaginarlo questo cardinale scambiare alcune parole con i costruttori che al tempo stavano tracciando il perimetro di questa chiesetta? Perché non pensare si sia fermato su questo pianoro?
A Palazzo Canavese si arriva in salita. Mentre a Piverone passiamo sulla strada che corre proprio sopra la cantina sociale della Serra. La via francigena non la incrocia però vi posso garantire che con una deviazione di un chilometro circa tra andare e tornare è possibile prendere una bottiglia di ottimo vino da portare in zaino a ricordo della giornata. Abbiamo lasciato i ramponi a casa. Qualcosa nello zaino bisogna pur mettere. Per altro potrebbe essere l’occasione per tentare una breve pausa. Non bisogna illudersi poiché siamo a metà della prima metà del percorso. Qualche purista dell’escursionismo storcerà il naso ed attenderanno il ritorno dei più coraggiosi ma tutti insieme ripartiremo, qualcuno con bottiglia in spalla, verso Viverone. Dapprima si scende e poi si sale. Poco male poiché siamo abituati a queste bizzarrie del terreno. Qui si alternano strade asfaltate a sentieri. Si passa inevitabilmente in mezzo ai vigneti di erbaluce, che per intenderci sono quelli dai quali il vino della cantina trae le sue origini. Non è difficile trovare lungo questo tratto anche degli uliveti. Fin dai tempi dei romani questa zona era coltivata ad ulivi. Il clima mite del lago è la ragione. Proprio al termine di uno di questi sentieri che sbucano da un vigneto si trova il secondo punto meritevole di essere visto: il “Gesiun”. Ora i più preparati in latino potranno lasciarsi andare in dotte citazioni sulla etimologia della parola. In realtà è il nome dialettale con cui comunemente è noto l’edificio sacro, di cui ora rimangono solo le rovine. Letteralmente “chiesona“, a dispetto delle modeste dimensioni dell’edificio rappresenta una delle testimonianze più singolari dell’architettura romanica nel Canavese e sicuramente uno dei punti più suggestivi del tratto canavesano della via francigena. Non è chiaro, agli esperti, a quale San Pietro sia riferita la chiesa che alcune caratteristiche architettoniche dell’edificio portano a collocare la datazione tra la fine del X e la metà dell’XI secolo. Che l’abbia già vista costruita il cardinale Sigeric di Canterbury? Sia come sia questa chiesetta segna il confine ultimo di Piverone.
A Viverone si arriva quasi inaspettatamente. Si incrocia la via principale e quasi non ce ne accorgiamo. Prima però di arrivare abbiamo potuto ammirare il bel panorama che si presenta alla nostra vista sul lago di Viverone. In prossimità di un breve tratto in discesa dall’alto abbiamo visto la cella grande di San Marco e da lontano il villaggio palafitticolo. Non parliamone ora diversamente non arriviamo più. Teniamo questa visita per il pomeriggio anche perché sarà l’occasione di un breve riposo. Siamo giunti a Viverone ma il punto del ristoro per il pranzo è giù in basso sul lago, sulla riva opposta e non ci siamo ancora arrivati. Percorrendo la bella strada ciotolata che in salita attraversa tutto il paese ci imbattiamo inevitabilmente in una piccola chiesetta dei Santi Stefano e Defendente. Solitamente si passa veloci. Pochi dedicano attenzione alla chiesetta. D’altronde ce ne sono così tante lungo tutto il percorso della via Francigena che non posso dare torto ad alcuno se qualcuna di queste chiesette passa inosservata. Quello che è San Defendente a me pare tanto Sant’Eusebio che da queste parti è famosissimo. A dir la verità lo è stato nei secoli passati oggi è sconosciuto ai più. Per la cronaca è il protettore dell’episcopato piemontese da lui fondato intorno all’anno 350. Ebbene questa chiesetta riserva una particolarità: i gradini. Non ci fa caso nessuno e pochi lo sanno ma è inciso nella pietra l’anno in cui è passato Napoleone da queste parti. Chi riuscirà a scoprirlo potrà raccontarlo. Riprendiamo il percorso. La strada sale eppure il lago è in basso. Non ci sono ragioni particolari poiché il paese si sviluppa lungo la serra morenica. E’ così. Basti sapere che giunti fin qui avrebbe fatto piacere una discesa ed invece una bella salita ci attende. Giunti in cima nulla, si riscende. Viverone è ricco di storia medioevale. Non vi racconto della storia di Arduino in lotta con il vescovo di Vercelli ma delle vicissitudini ne è intrisa ogni pietra. Tuttavia molto del suo fascino Viverone lo deve agli insediamenti avvenuti a partire dal periodo del Neolitico (4500-3000 a.C.). Questa tesi è confermata dalla scoperta di quattro di questi villaggi presso il lago di Viverone che, secondo la datazione al carbonio 14, risalgono all’850 a.C. (tarda età del Bronzo), anche se secondo alcuni studiosi potrebbero essere anche più antichi (tardo neolitico e prima età del Ferro). Magari organizziamo una prossima escursione ad hoc per ora non ci passiamo ma basti sapere che presso il Lago di Bertignano poco distante in località Cava di Purcarel, è stato individuato un villaggio lacustre di capanne costruite su dodici ammassi di ciottoli di grosse dimensioni. Non meno importanti sono le piroghe trovate nello stesso lago e datate come risalenti al 250 d.C. la prima e l’altra addirittura al 1450 a.C.
Direi ora di affrettare il passo verso Roppolo con il suo castello ed i suoi vigneti e scendere sul lago per fermarci per il pranzo. Abbiamo raggiunto la metà del nostro cammino. I primi 22 km li abbiamo percorsi ora non ci rimane che tornare verso Ivrea.
Tre sono le zone attraverso le quali è possibile suddividere virtualmente il lago. La prima è quella che si incontra arrivando da Ivrea percorrendo la strada provinciale che passa sotto i paesi da noi attraversati di Bollengo, Palazzo, Piverone e Viverone. Più nota come lido di Anzasco. A parte la friggitoria ricavata nel sotto chiesa della Madonna delle Grazie (per la cronaca anche la costruzione di questa chiesa risalirebbe intorno al X secolo) che meriterebbe essere la meta di una escursione tutta per se, il resto della zona è molto turistica: ristoranti, bar, hotel, discoteche e divertimenti in genere. Non manca una bellissima passeggiata lungo lago, un imbarcadero per il traghetto, moli e spiaggette. Negli anni alcuni locali sono cambiati ma in generale è rimasta immutata la vocazione turistica della zona. Nelle domeniche primaverili ed estive è pressoché impossibile avvicinarsi. La seconda, quella dove ci troviamo noi adesso, Masseria – Comuna per quanto siano presenti un hotel, un ristorante, un circolo nautico, un grande campeggio e altro ancora ha mantenuto nel tempo una dimensione più riservata ovvero guarda dalla provincia di Biella la riva torinese. Infine la terza quella che andremo a percorrere non appena finiranno l’ennesimo panino quelli che in questo modo hanno riempito lo zaino è la zona più selvaggia che partendo proprio da Masseria e costeggiando tutta la riva opposta si ricongiunge al lido di Anzasco. E’ la zona più selvatica e faunistica del lago. Passerei il pomeriggio a raccontarvi delle specie di fauna ittica, avifauna, della flora, dei boschi insomma vi basti sapere che era la zona scelta da chi ha impiantato il villaggio palafitticolo! Nel frattempo vedo che i panini sono finiti possiamo ripartire.
Ripartire per tornare. Siamo esattamente dalla parte opposta del lago rispetto al punto di partenza. Quante volte ci dobbiamo allontanare così tanto per osservare dove eravamo. Seduti sul bordo del lago potevamo vedere oltre il cespuglio la sponda opposta, le abitazioni, il paese, la collina, le montagne e molto oltre la nostra casa. Il ritorno porta con sé questo fascino creando una linea immaginaria fra il luogo ove abitiamo ed i luoghi visitati. Solamente con la fatica del rientro nella nostra mente si consolidano le storie ed i luoghi visitati. Sarà così anche oggi poiché penso che fra una decina di chilometri incominceranno i primi sintomi della stanchezza. Non saranno più le gambe a portarci a casa bensì la mente. Con questi pensieri affrontiamo la strada che da Masseria sale a Veneria lasciando alle nostre spalle il lago la cui vista ci sarà preclusa per qualche chilometro. Torneremo a lambire le sue acque un po’ più avanti e sarà in un posto incantato. A questo punto del cammino si fanno radi gli incontri con i centri abitati ed è più frequente essere rincorsi da qualche cane che solerte svolge il compito di guardia alla cascina e più in generale agli animali al pascolo. Guardando intorno non c’è più nulla che ricordi il vociare di sottofondo che era presente in riva al lago. Se non fosse per quei piloni della autostrada che corrono in alto sull’orizzonte della nostra vista potremmo dire di essere tornati indietro nel tempo. Non è così purtroppo ed io i cani li sento già abbaiare speriamo non si avvicinino troppo. L’ultima volta che sono passato da queste parti mi hanno rincorso, vedremo oggi.
E’ in riva al lago dove il bosco dirada verso l’acqua che il villaggio palafitticolo è stato ricostruito a ricordare un antichissimo villaggio risalente all’età del Bronzo. Si immagina essere esistito in virtù del ritrovamento dei resti di circa 5000 pali straordinariamente conservati e conficcati nel terreno. Era tra il 1965 ed il 1975 quando vennero avviate le prime ufficiali ricerche archeologiche all’interno del lago. Le prime ricerche portarono a scoperte straordinarie, tanto che dopo appena pochi anni venne avviata una grande campagna di scavi archeologici. Negli anni ’70 infatti vennero fatti degli importanti ritrovamenti all’interno del lago. Pochi metri sotto il livello dell’acqua sono presenti oltre 5000 pali conficcati nel terreno, sono nient’altro che i resti d’un antico e gigantesco villaggio palafitticolo risalente all’età del bronzo (tra 1700-1350 a.C. ed il 1200-700 a.C.). Il villaggio era assolutamente gigantesco per l’epoca. La disposizione del villaggio era circolare ed ospitava almeno un migliaio di persone. Oggi sembra pochissimo, ma per l’epoca era quasi come una metropoli. Nel 2011 l’Unesco ha iscritto il villaggio palafitticolo nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco.
Terminate le fotografie di rito non possiamo che riprendere il cammino in direzione di Azeglio. Spero vi sia piaciuto il percorso finora visto. A questo punto abbiamo due differenti possibilità per continuare. Lascio decidere voi. La prima è percorrere il sentiero che costeggia il lago mentre la seconda prevede la risalita di un breve tratto di bosco per portarci su una sterrata che corre in parallelo. Così facendo passeremo a fianco del santuario di sant’Antonio Abate (costruzione risalente al XXI sec.). Era a tutti gli effetti un ospizio per pellegrini. E’ risaputo che la via francigena intorno al lago si diramava in due direzioni. La prima quella che abbiamo percorso stamane nel giro di andata e la seconda quella che stiamo percorrendo nel pomeriggio. Questo secondo tratto nel tempo fu abbandonato probabilmente a causa della sua collocazione all’interno di un bosco e per cui più pericolosa. Sull’altro versante il sentiero era più sicuro. Tranquilli noi oggi non corriamo alcun rischio. Semmai passerà qualche macchina che ci riempirà di polvere ma nessun altro pericolo è in agguato. Avete deciso quale sentiero percorrere?
Arrivati ad Azeglio abbiamo superato i 30 chilometri di percorrenza. Sono sicuro la stanchezza inizia a pesare. C’è un bar proprio nella piazza principale. Ci passiamo pressoché davanti. Però Azeglio merita ben più di una parola del luogo di ristoro. Vi ricordate Massimo d’Azeglio? Ebbene il suo nome in realtà è Massimo Tapparelli figlio del marchese Cesare Tapparelli d’Azeglio (una volta era Taparelli con una sola lettera p … stravaganze di nobili) la cui storia si perde nel tempo e per farla breve questo era il castello adibito a residenza estiva. Quindi il nostro torinese Massimo d’Azeglio aveva un piede e non solo quello proprio qui dove siamo noi adesso. Magari nel mentre ci dissetiamo possiamo dare uno sguardo al busto che lo ritrae. E’ proprio qui nella piazza. No. Proprio non riusciremo a visitare altro di questo paesino che per altro oggi è abitato da poco più di un migliaio di persone. Vi ricordate il migliaio del villaggio palafitticolo! Inutile indugiare oltre dobbiamo rimetterci in cammino verso Pobbia. Ci attende un lungo tratto su asfalto e con più di 30 km nelle gambe non sarà proprio una passeggiata. Sicuro a Pobbia ci arriveremo. Prima però c’è Pobbietta. Una illusione. Si continua. Pobbia sono poche case intorno una chiesa ed un ristorante. Pobbia esiste non è un miraggio o un nome di fantasia. Così potrebbe sembrare. Arriviamo. Non ci fermiamo proseguiamo oltre. Camminiamo piano nel pianeggiante nulla di asfalto fino a giungere in fondo … ad un’altra strada. Qualche macchina e altro nulla. Asfalto. Un cartello indica Albiano d’Ivrea. Chi sarà? Un re? Un santo? Non mi interessa più saperlo. Non voglio visitare altre chiese, castelli, fortezze, cantine. Niente, niente. In fondo al tunnel c’è sempre una luce ed in questo caso si chiama Naviglio di Ivrea. Tranquilli non torniamo in barca.
Per percorrere il sentiero che costeggia il naviglio di Ivrea è necessario un permesso speciale. Una autorizzazione rilasciata dalla Associazione d’Irrigazione Ovest Sesia. Sono loro che valutate le ragioni della richiesta autorizzano il passaggio lungo tutto il canale. Ci eravamo mossi per tempo ed avendo provveduto ad assicurare il rispetto del luogo e l’assunzione di responsabilità nella percorrenza abbiamo ottenuto il lasciapassare. Ora però mi sorge un dubbio: “e se qualcuno fra noi preso dalle fatiche improvvisamente barcollando cade nel naviglio?” Il naviglio di Ivrea è un’opera che ha oramai quasi 600 anni ed unisce la città di Ivrea a Vercelli. Questo binomio è ricorrente in questo cammino, ovunque abbiamo incontrato luoghi che hanno portato alla nostra memoria le vicende di queste due città. Non potevamo che finire così. Così non significa che il cammino prosegue fino a Vercelli, questo avverrà una prossima volta. Per ora ci accontentiamo di farci accompagnare fino al centro della città dove il naviglio nasce. Per la cronaca va anche detto che secondo alcuni la costruzione del canale è riconducibile ad un progetto di Leonardo da Vinci. A noi oggi sarà sufficiente percorrerlo e garantirci il rientro al punto di partenza. Incomincia a farsi tardi sono oramai passate le 18 e considerando tutte le soste che abbiamo fatto forse incominciamo ad essere fuori tempo. Ha importanza? Se anche sforassimo di una mezz’ora oppure un’ora il rientro cambierebbe forse qualcosa nella storia di tutti questi luoghi?
Già si sentono i rumori della città. Sembra lontano il silenzio di questa mattina quando ancora all’alba quasi in punta di piedi la abbiamo attraversata. Ombre silenti in cammino. Così è anche adesso che il frastuono ci sovrasta e l’andirivieni frenetico delle macchine ci passa accanto e non ci vede. Ancora uno sforzo. I piedi sono dolenti ma già si intravvede nuovamente il piazzale del Sirio, la passerella Cappellaro e la stazione. Stremati. Arrivati.
Stanchi?
Vi è piaciuto?
Il prossimo anno lo ripercorriamo. Segnate sul calendario 4 aprile 2021. Noi saremo alle ore 7:00 alla stazione di Ivrea “la bella” pronti a ripartire.
Grazie Emilio, non vediamo l’ora di ripercorrerla Tutti insieme con tanta amicizia e divertimento!
“Ivrea la bella che le rosse torri
specchia sognando a la cerulea Dora
nel largo seno, fosca intorno è l’ombra
di re Arduino”
Piemonte – Giosuè Carducci