Riprendiamo le parole del giornalista e scrittore, Gian Luca Gasca, perchè descrive le stesse sensazioni di quando ho conosciuto per la prima volta qualche anno fa Güstìn Agostino Gazzera, ugetino da sempre:
“Quando per la prima volta ho incontrato il tuo sguardo ho intuito un bagliore particolare. Quegli occhi piccoli e scuri, sotto quelle sopracciglia incolte da montanaro, lasciavano trapelare una lunga esperienza. Erano malinconici, fieri, duri, speranzosi. Erano gli occhi di un uomo che ha saputo guardare alle difficoltà della vita con dignità e dolcezza; di chi ha guardato a ogni alba come un nuovo giorno da vivere, sempre in salita.”
Proponiamo QUI un brano della sua storia speciale quella raccontata nel film “L’alpinista” (49′, 2015), opera dei bravissimi registi Giacomo Piumatti e Fabio Mancari (Stuffilm Studio)
Di seguito l’articolo di Gian Luca pubblicato il 15 marzo 2020 sul sito Montagna.TV, il primo sito italiano sul mondo della montagna e dell’alpinismo.Il tempo era scandito dai turni in catena di montaggio. Fino a 17 ore giornaliere in fonderia alla Fiat di Torino. Usciti dalla fabbrica, sfiniti dalla stanchezza e rancidi di sudore, si rientrava a casa a riposare. Qualche ora di sonno poi di nuovo in cammino verso l’industria per un nuovo turno. Non c’era spazio al divertimento in quegli anni post bellici, il Paese era da ricostruire e bisognava darsi da fare. Testa bassa a lavorare in catena di montaggio. Questa la quotidianità di un operaio assunto dalla grande fabbrica d’Italia. Questa la vita di Gustìn, all’anagrafe Agostino Gazzera. Alpinista mordi e fuggi Agostino ha alzato la testa cercando negli sporchi finestroni della FIAT una via di fuga, una via di salvezza alla sua omologante quotidianità. Tra i fumi della Torino produttiva ha scorto la sagome delle montagne amiche. Quella del Monviso svettava alta sopra tutto, elegante e attraente, libera.Il Cervino
La passione spesso conduce a soddisfare le proprie voglie, canta De Andrè; sognando in grande, aggiungiamo noi. La storia di Gustìn insegna, racconta di come il sentimento sia più forte di ogni limite. Dopo essersi perdutamente innamorato del Monviso ad attirarlo è stata una cima lontana, ma affascinante. Una delle più belle delle Alpi. Un pandoro dalla punta floscia, come l’ha definito il suo primo salitore Edward Whymper. Parliamo del Cervino, quel quattromila che rappresenta il coronamento della passione per molti alpinisti. Per Agostino è stato l’Himalaya, l’avventura vera, la voglia di fare qualcosa in più e spingersi un po’ più in là alla ricerca di nuovi orizzonti.
Un giorno Gustìn finisce il turno in fonderia alle 2 del pomeriggio, quindi avvisa il padrone dell’officina, in cui svolge il suo secondo lavoro, che quel sabato non sarebbe potuto andare. Passa da casa a prendere l’attrezzatura e la bici, quindi parte. Punta dritto verso la Valle d’Aosta fino a Châtillon-Saint-Vincent e poi su verso la Valtournenche. Arriva a Cervinia alle 23.30 del sabato sera. Lascia lì la bicicletta e inizia a salire verso il rifugio Duca degli Abruzzi. Sale fin quando riesce, fin dove le energie glielo permettono fermandosi poi a dormire giusto un paio d’ore sul bordo del sentiero. Verso le 5 del mattino riparte, passa il rifugio, raggiunge la croce Carrel poi segue delle tracce che per sbaglio lo portano in vetta alla Testa del Leone. Gazzera è letteralmente partito all’avventura con poche informazioni sulla salita, giusto una vecchia cartolina con segnata approssimativamente la linea da seguire, e poco tempo a disposizione. Il lunedì mattina deve essere in fonderia e adesso, avendo sbagliato strada, avrebbe dovuto rifare a ritroso un lungo percorso. Guarda allora sotto di lui, verso il Colle del Leone, dove sarebbe dovuto arrivare. Valuta bene la situazione e le sue capacità poi inizia scendere lungo la cresta, in modo da risparmiare tempo. Si muove agile, inizialmente poi, quando la pendenza aumenta, deve decidere in fretta cosa fare. La roccia è friabile, gli scivola da sotto i piedi, non trova appigli stabili. Il pesante zaino, sotto l’effetto della forza di gravita, lo trascina verso valle. Si muove con calma, cercando di non perdere la concentrazione. Non può permettersi di morire e nemmeno di perdere lo zaino: non avrebbe i soldi per ricomprare tutta l’attrezzatura.
Raggiunto il colle decide di lasciare la sacca, trova una fessura nella roccia in cui riporla con cura. Poi, sciolto e leggero, prosegue. In poco raggiunge la Capanna Luigi Amedeo di Savoia (oggi la struttura si trova a Cervinia, di fronte all’ufficio delle Guide del Cervino) e poi ancora avanti lungo la cresta fino al Pic Tyndall dove la meteo inizia a peggiorare con grandine e severe folate di vento. Gustìn raggiunge la cresta terminale che è difficile stare in piedi, il vento lo butta giù un paio di volte. Il cielo non da segni rassicuranti, anzi. Meglio alzare i tacchi e tornare velocemente a valle. Ripete tutti i passaggi con cura meticolosa: torna alla Capanna, poi al colle dove recupera zaino e piccozza, quindi continua. Arriva a Cervinia che sono le 23 di domenica, ma non può riposare. Il mattino successivo deve essere in fabbrica, a lavorare. Prende allora la bici e inizia a pedalare per coprire i 130 chilometri che lo separano dalla Fiat. Il rientro è un vero tormento. Gustìn pedala più forte che può di notte, sotto un temporale tremendo. A Saint-Vincent fora, deve fermarsi a cambiare la camera d’aria. Intanto la pioggia continua incessante e Agostino e stanco, ma deve arrivare in tempo per il suo turno di lavoro. A Borgofranco d’Ivrea si ferma una mezz’ora sotto un balcone, poi riparte. All’alba è a Torino, guarda l’orologio sono le 6, a quell’ora sarebbe dovuto essere in fonderia. Giusto il tempo di posare zaino e piccozza, poi di nuovo in sella per coprire i sette chilometri e mezzo da casa all’azienda. Alle 6.25 è sul posto di lavoro, pronto a continuare la sua interminabile giornata. “Voi altri giovani non siete come noi. Ai miei tempi noi pensavamo solo al lavoro, alla casa e alla famiglia. Chi ha la fortuna di avere un impiego dovrebbe essere un po’ più cosciente e pensare di più al lavoro. Non fare come voi che la domenica sera andate a ballare con le ragazzine, fate le ore piccole e il mattino avete sonno. Che non succeda mai più”, la romanzina che si è preso dal suo capo.
Gustìn sarebbe tornato sul Cervino una seconda volta e avrebbe raggiunto la croce di vetta coronando una passione in grado di andare oltre ogni fatica. Quella che l’ha tenuto in vita per anni, l’alpinismo era la sua rivincita sulla vita, il suo moto di libertà. La passione pura raccontata con umiltà e occhi lucidi anche a ottant’anni. La felicità per lui stava nell’opportunità di poter salire verso l’alto. Ha sognato e ricordato il Cervino per tutta la vita, fino all’ultimo giorno. Sempre pronto a dispensare consigli a quanti gli avessero chiesto indicazioni su come affrontare una delle sue montagne, sempre disponibile quando c’era da far sicura o insegnare ai più piccoli come muovere i primi passi sulla roccia. Il simbolo di una generazione operaia che ha trovato nella montagna il modo per andare oltre la signorile e grigia città rappresentazione dell’industrializzazione italiana.
E ricordatevi, come diceva Gustìn, c’è un’unica regola lassù: mai cadere.