Trilogia delle Valli Sperdute … dal Plù a Viù

Terza parte dell’articolo sperimentale, nel senso che è scritto a quattro mani dall’amico Lorenzo Barbiè e da Mario Ogliengo, guida alpina.  Come già sapete dal prologo è multimediale perché durante la lettura sono da attivare i link a brani musicali.
La narrazione, nell’intento degli autori, dovrebbe essere un po’ scanzonatoria ed autoironica, da non prendersi troppo sul serio. Non so se ci sono  riusciti … a voi il giudizio
“Trilogia delle Valli Sperdute” fa riferimento a 3 gite un po’ speciali,  su montagne “minori”; al tempo in cui sono state fatte erano decisamente sconosciute (forse delle prime scialpinistiche!).
Questa la seconda delle tre gite  … buona lettura!
Viù fa rima con Plù. Assonanza o attrazione fatale. Non è così importante.  Quello che conta è scovare itinerari sconosciuti, esplorare. Mettiamo in cantiere un nuovo progetto. L’idea è sempre quella: partire alla caccia di montagnone e montagnette ben cariche di neve, nessuna traccia e gloria a palate. Chi meglio di noi dispone di esperienza, determinazione, volontà ed energie per incasinarsi sempre? Siamo pronti a cacciarci nelle peggiori boschine. Col termine “boschina” s’intende “terreno coperto da fitta vegetazione arborea e/o cespugliosa tale da non offrire alcuna opportunità sciatoria”. Si, ma poi c’è (ci dovrebbe) essere il premio con l’impenetrabile sottobosco che dà accesso ad uno sci di qualità, a terreni goduriosi.

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Trilogia delle Valli Sperdute … Mai più sul Plù

Seconda parte dell’articolo sperimentale, nel senso che è scritto a quattro mani dall’amico Lorenzo Barbiè e da Mario Ogliengo, guida alpina.  Come già sapete dal prologo è multimediale perché durante la lettura sono da attivare i link a brani musicali.
La narrazione, nell’intento degli autori, dovrebbe essere un po’ scanzonatoria ed autoironica, da non prendersi troppo sul serio. Non so se ci sono  riusciti … a voi il giudizio
“Trilogia delle Valli Sperdute” fa riferimento a 3 gite un po’ speciali,  su montagne “minori”; al tempo in cui sono state fatte erano decisamente sconosciute (forse delle prime scialpinistiche!).
Questa la prima delle tre gite  … buona lettura!


Mai più sul Plù

Bracchiello, non vi dice molto vero? Sono quattro case malmesse e ammonticchiate, un’osteria, ora bruciata, il tutto piazzato lungo la strada che sale ad Ala di Stura e termina al Pian della Mussa, là dove si sono inventati la “Montanara ohè si sente cantare”.

Questa metropoli è lì, proprio dove quel “gran” Rio del Crosiasse salta nella Stura di Lanzo. Più in su il rio discende l’omonimo vallone: il Vallone del Crusias appunto, detto anche la Shangri Là delle Valli di Lanzo. Le Valli di Lanzo per antonomasia sono tre, ma poi c’è questa anomalia, questo disturbatore geografico, questa incomoda valletta incuneata tra la Val d’Ala e la Val Grande, con andamento svirgolato che diventa poi parallelo alle due valli.  Questa valle nascosta e misteriosa cela un paio di bei bricchi, il Doubia, il più alto con i suoi duemila quattrocento e più metri che però è un po’ sfigato perché alla sua destra (orografica s’intende) lo sfida il Piccoletto. Il Plù che, con i suoi 2201 metri, dispone di una carrozzeria di altro livello: una piramide bianca, ripida e nascosta, una chicca probabilmente mai sciata. Al Plù si andava in primavera e in autunno per consumare i polpastrelli sulle sue placche rosse e rugose. Camminavamo due ore faticose perché non avevamo niente di più comodo a portata di mano, un qualcosa di intermedio tra “la lotta con l’Alpe” e i “Nuovi mattini” che stavano sorgendo.

In inverno, quando si risale il fondovalle per un attimo si intravede la Piramide coperta da uno spettacolare e bianco piano inclinato sospeso su di un immaginario che ti devi inventare. Questa sciabolata sparisce dietro un costone che forse, e diciamo forse, lascia credere ad una continuazione ideale da sciare. E qui lor Signori della Corte una perlustrazione si impone: si potrà sciare lì dietro?

In un giorno di un freddo gennaio siamo in cinque a mettere i piedi nel paesello: Renzo, un misto di Baden Powell e Che Guevara, entusiasmo e personalità in abbondanza, grandi esperienze e capacità nel trovare i peggiori terreni su cui ‘possibilmente’ sciare. In breve il pericolo pubblico numero 1.

Enrico, posato, sornione, purtroppo per il resto della squadra troppo intelligente. Sì, una persona in gamba.

Piter (con la i), ah il nostro vecchio Piter come l’omonimo Sellers ma molto più coltivato e altrettanto ‘British’. Uno che aveva sciato ovunque e che nonostante tutto non si divertiva a sciare perché non ne era capace. Un bel mistero.

Dante, la nostra mina vagante, da un momento all’altro poteva fare partire un Gran Casino, un cuore grande come una casa.

Mario, con Renzo, è l’altro sorvegliato speciale; il giovane che cerca di superare i maestri con la conseguenza di aumentare la confusione.

Non era proprio l’alba ed il tramonto sarebbe arrivato sempre troppo presto. Via per una mulattiera ancora orgogliosamente lastricata, mangiata dagli arbusti in molti suoi tratti, ma adesso sepolta da un’abbondante coltre di neve.

Pietroni, traversoni su terreno non propriamente sciabile. Come gli amanti ci perdiamo per poi ritrovarci sulle poche tracce degli animali, gli unici che ancora percorrono queste antiche vie. E poi il nulla; dobbiamo scendere al ruscello, il solo modo per proseguire, e qui inauguriamo quello che qualche anno più tardi diventerà il torrentismo. Questa peculiare attività che con lo sci ha nulla a che vedere la effettuiamo in salita e con gli sci ai piedi. Come riscaldamento non è malaccio. E ora ci tocca una gimcana tra sassi e pozze ghiacciate, tra sbrendoli di neve che nascondono dei bei trappoloni. Ed è proprio in questo zigzagare che Dante, il più pesante della compagnia ci casca. Sfonda un ponte di neve e si ritrova incastrato a testa in giù con il naso ad un palmo dall’acqua. Torrentismo, claro che si. Una faticaccia rimetterlo in piedi ma ci riusciamo e si continua. Impercettibilmente la valle si allarga, compaiono le prime radure. Per farla breve un buon terreno per sciare. Incontriamo baite dimenticate, resti di tempi andati. Siamo sui 1100-1200 ma la neve qui abbonda. Tracciamo una pista che è più simile ad una trincea. Ormai abbiamo preso il ritmo seppur a velocità molto , molto ridotta. Ci diamo il cambio con una certa frequenza anche se qualcuno trova sempre la scusa per una foto, per sistemarsi gli scarponi o la pelle che sta scappando. Qualche volenteroso che prenda il comando e batta c’è sempre. Il terreno è divenuto decisamente sciistico. La valle si svela, una bellezza rivestita da una coltre di panna montata che smussa e addolcisce dossi e conche. Mica tanto dolce è il triangolone che scende ripido dal nostro obiettivo.

Ci restano 500 metri di dislivello da superare. Lo guardiamo con una certa preoccupazione, soprattutto per cercare una linea di salita che sia sicura. Un costone piuttosto dritto ci permette di continuare senza invadere i due versanti ripidi e ben carichi di panna. Non siamo delle meteore e sono quasi le 3 del pomeriggio. I nostri iniziano ad essere perplessi sul continuare o fermarsi. Piter, il più saggio decide che basta così. L’ Armata Brancaleone riparte. Batti e ribatti eccoci su questa linea quasi perfetta; la risaliamo facendo una traccia regolare, costante ed estetica, così come è estetica questa costa sospesa nel cielo. Nonostante l’altezza modesta l’impressione è quella di essere su un bel 4000. Non siamo lontani dalla cima. Gli ultimi metri sono grandiosi, è un’apoteosi e noi ce la godiamo tutta anche se siamo alla frutta. Adesso ci tocca fare i conti con l’ora. Sono le 16,15 d’un giorno d’inizio gennaio. Il buio è dietro l’angolo. Non c’è il tempo di concederci una sosta che ci piacerebbe assai considerato il gran mazzo. Via le pelli e giù a stecca in discesa. Grande sci su questo pendione. Raggiungiamo i piani ma la strada è ancor lunga e il tempo si dilata mano a mano che scendiamo. Discesa in penombra su pendii ancora sciabili fino al tratto inferiore dove le Madonne si sprecano. Una Beresina, ma quel giorno qualcuno ai piani alti fu benevolo e non volle infierire su di noi. Con qualche botta e i sederi un po’ ammaccati arriviamo a Bracchiello, una metropoli ai nostri occhi spessi. Sono le 19,30, è notte fonda e a dire il vero siamo un po’ stupiti. Non delle nostre ‘straordinarie’ capacità ma della fortuna che ci ha accompagnato. Questa volta l’abbiamo, metaforicamente parlando, fatta fuori dal vaso ma di questo ne riparleremo. Una piola ci aspetta con qualche tomino, delle acciughe al verde e una Barbera che ricordiamo ancora. E lì comodi e rilassati ce la contiamo e ce la cantiamo.

“Scegliete una montagna meno rischiosa”, il video di Cnsas e CAI

L’iniziativa è organizzata nell’ambito del progetto “Sicuri in montagna”, dedicato quest’anno ai medici, agli infermieri e a tutto il personale sanitario italiano

“Scegliete un’altra montagna: meno rischiosa, ma non meno coinvolgente”. Il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico e il Club alpino italiano hanno diffuso un video, con l’obiettivo di sensibilizzare tutti gli appassionati di sport invernali a una particolare prudenza, quando si frequenta l’ambiente montano.
La pandemia di Coronavirus è ancora presente a livelli di criticità elevati. Per queste ragioni, le attività in presenza organizzate per la giornata nazionale “Sicuri con la Neve”, previste per domenica 17 sono sospese. Infatti, il lancio del video è organizzato nell’ambito del progetto “sicuri in Montagna”, dedicato quest’anno ai medici, agli infermieri e a tutto il personale sanitario italiano. “Finchè l’intera sanità è sotto pressione, scegliamo di frequentare la montagna puntando ad attività a basso rischio“, spiegano Cnsas e Cai nel video.

“Serve una grande responsabilità e scelte conseguenti – chiede Maurizio Dellantonio, il presidente nazionale del Cnsas – ogni incidente in montagna aggrava la mole di lavoro per l’intera sanità, impegnata nel fronteggiare l’emergenza Covid-19: è per questo che lanciamo questo video per chiedere che gli sport a rischio in montagna siano per una volta messi in secondo piano nelle scelte degli appassionati. Le alternative non mancano e potrebbero essere occasione per scoprire attività, percorsi e località meno note”.“Non si può che condividere l’invito alla prudenza del presidente Dellantonio e alla diversificazione delle attività in terreno aperto, grande quanto tutta la montagna italiana. In un momento in cui nessuno deve abbassare la guardia, dobbiamo però auspicare la ragionevolezza dei provvedimenti che sappiano guardare alla montagna consentendo, nel rispetto delle regole, ciò che, lungi dal porsi in un rapporto di causa effetto, con la diffusione del virus tutela la salute di moltissimi cittadini amanti della montagna”, afferma il Presidente generale del Cai Vincenzo Torti.

L’auspicio è che il filmato abbia la maggior risonanza possibile: “Chiediamo per questo la collaborazione dei media e della stampa, che potranno liberamente pubblicarlo e condividerlo tramite i loro canali”, scrive il Cnsas.

Trilogia delle Valli Sperdute … prologo

Ecco qui un articolo sperimentale, nel senso che è scritto a quattro mani dall’amico Lorenzo Barbiè e da Mario Ogliengo, guida alpina. E’ multimediale perché durante la lettura sono da attivare i link a brani musicali. La narrazione, nell’intento degli autori, dovrebbe essere un po’ scanzonatoria ed autoironica, da non prendersi troppo sul serio. Non so se ci sono  riusciti … a voi il giudizio
“Trilogia delle Valli Sperdute” fa riferimento a 3 gite un po’ speciali,  su montagne “minori”; al tempo in cui sono state fatte erano decisamente sconosciute (forse delle prime scialpinistiche!).
Le pubblicheremo in quattro parti: qui il prologo ed a seguire nei prossimi giorni le 3 gite … Buona lettura!


Prefazione

‘The Big Chill’ (Il Grande Freddo) è un film americano del 1983 per la regia di Lawrence Kasdan con Glenn Close, Kevin Kline, Jeff Goldblum, William Hurt ed altri. Il titolo è evocativo e bene si coniuga con le nostre storie. La colonna sonora di questo film ci ha accompagnato e cullato nel corso di quegli anni. Ogni storia raccontata si intreccia con queste musiche, citate in ogni capitolo. Atmosfera dejà vu. Buona lettura e buon ascolto

 Prologo

Una bella giornata d’inverno, i cristalli di neve enormi si sfarinano al nostro passaggio. La neve è soffice e la traccia scompare dietro di noi, quasi una scia sul mare. Questa Valle è magnifica e non ci stancheremo mai di sciarla. L’atmosfera che si sta creando tra di noi, vecchie pellacce, ogni anno più lente e arrugginite, diventa nostalgica.  Ovunque intorno a noi, su tutti i versanti vediamo solo tracce, tutti i pendii e i canali sono percorsi e ci sono pendenze cattive. Sorridiamo e un po’ di invidia la coviamo per chi ha lasciato queste firme. Non più pane per i nostri denti, un gran peccato … ma se ritorniamo indietro solo di un po’ ci viene da pensare ai nostri ‘Giorni Grandi’, scusa Walter, ai giorni sulla neve, alla nostra passione che compensava la tecnica scarsa, alla noia del lavoro in ufficio che forniva la benzina per evadere. Anche noi, a nostro modo eravamo estremi: senza pale, senza sonde e Arva. Senza Goretex o previsioni meteo. No Gps, no barrette o integratori. Eravamo sicuramente incoscienti. Temerari, forse, fortunati di sicuro. Ci piaceva da morire l’avventura. Oggi possiamo togliere un po’ di ragnatele e di polvere ai ricordi e rivivere il film di una quarantina di anni fa.

Non ci potevamo lamentare. Eravamo giovani, chi già lavorava, chi occupava scuole. Vestivamo l’eschimo, avevamo basettoni o capelli scompigliati, pure quelli se ne sono andati! Ci incazzavamo ma non ci lamentavamo perché Torino impastata di nebbie e di smog in inverno a volte ci sorprendeva.  Certe mattine dai finestrini sporchi del tranvai l’orizzonte era terso e le montagne bianche potevi acchiapparle con la fantasia. E noi eravamo pronti. Pronti ad evadere, a scappare, a sfiancarci in montagna per stare bene, per raccontarla alle ragazze, per raccontarla a noi stessi, per sentirci un po’ migliori anche se solo per poche ore. Piaceva alzarci il sabato alle quattro dopo una notte passata “a giocare a carte e bere vino”.  Schiacciati nella Dyane o in una Seicento, come sardine in scatola, si partiva alla ricerca del Walhalla.

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Camminata alle pietre d’inciampo

27 gennaio … Giorno della Memoria 

Queste tre parole per la gente del CAI sono naturali come l’aria che respiriamo o l’acqua che beviamo specie se da una fonte limpida di montagna, il senso però è chiaramente una metafora, l’invito ad un viaggio virtuale in periodo di non-spostamenti, capovolgendo la prospettiva: è il luogo che muove i passi e i pensieri.

In montagna “inciampare” non va bene, qui sì! con lo sguardo rivolto alle pietre dell’artista Gunter Demnig di cui è ricca la nostra città perché purtroppo ogni quartiere ha visto e vissuto la deportazione di intere famiglie. Quelle lastre, quei nomi incisi non fermano solo i nostri piedi, stimolano i nostri sensi, evocano immagini, echi di suoni, storie lette, viste in un film o per qualcuno nella vita vera di parenti e amici ma anche se si tratta di persone mai conosciute ne sentiamo la forza, la dignità, la speranza fino all’ultimo istante di vita. In questo momento storico molti hanno paragonato la pandemia alla guerra che ci rende fragili, impotenti e privi di libertà.

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