In ricordo di Gianni Comino: c’è un tempo per sognare

Il 28 febbraio  1980 cadeva sul seracco di destra della Poire, al Monte Bianco, un ragazzo di appena 28 anni, durante il tentativo di apertura in solitaria di una linea visionaria. 
Gianni Comino, originario di Vicoforte, non è stato solo una figura di indiscussa valenza alpinistica; la sua storia, prima ancora, rappresenta  un grande inno al valore della vita e dell’amicizia.
A quarant’anni da allora, il 30 gennaio 2020, nel nostro salone con la presenza della sorella Anna, dello scrittore Paolo Castellino  e di tanti suoi amici lo abbiamo ricordato.
Pubblichiamo la premessa al libro biografico “C’è un tempo per sognare”
che vi invitiamo a leggere …

L’alpinismo è un mondo meraviglioso, vasto e dalle molteplici sfaccettature; un sistema in continua evoluzione, composto da una complessa trama a maglia irregolare intessuta tra rocce, ghiacci e sentieri. Di tutto ciò il vero collante è da sempre rappresentato dalle vicende umane, le quali conferiscono un senso al tutto. Senza di esse, le montagne forse sarebbero prive di significato, magari belle a vedersi e a fotografarsi, ma vuote della storia cucita a suon di passi, respiri ansimanti, martellate sui chiodi che conferisce loro quasi un alito di vita e le rende entità capaci di interagire ed interloquire, sebbene con un linguaggio proprio che a noi uomini talvolta può sfuggire.La storia dell’alpinismo è stata tessuta, prima ancora che dagli alpinisti, da cacciatori di camosci, pastori, preti, abati, emigranti stagionali, contrabbandieri; costoro furono, infatti, i primi a sfidare, chi per necessità e chi in nome della scienza (che talvolta celava semplicemente curiosità o fame di notorietà), quel mondo inesplorato ritenuto un tempo la pericolosa dimora degli dei. Poi venne l’alpinismo così come lo conosciamo oggi.
Tutti noi, sui banchi di scuola, abbiamo un giorno dovuto studiare degli autori; taluni insegnanti pretendevano unicamente che imparassimo un groviglio di date: nascita, morte, eventi più importanti della loro vita. Altri, invece, più accorti, a questa sterile lista di numeri preferivano l’aspetto filosofico delle loro idee, il contesto in cui vissero, la corrente di pensiero secondo cui agirono. Certamente due modi nettamente diversi di insegnamento. Anche nell’alpinismo potremmo soffermarci a parlare di numeri quali date, altitudini, gradi di difficoltà e, in ottica più moderna, tempi cronometrati, ma ciò sarebbe sterile e lascerebbe pressoché nulla. Più logico e interessante, invece, è cercare di scavare nella vita degli “attori”, per tentare di comprendere cosa decidesse la direzione dei loro pensieri, cosa facessero nella vita di ogni giorno quando non indossavano le vesti dell’alpinista. Uomini e donne, padri e madri, fidanzati e fidanzate, figli e figlie, spazzini, operai, ingegneri, geometri, medici, abati, preti, infermieri, …
Gianni Comino ha rappresentato uno splendido ed importante capitolo della storia dell’alpinismo. Un ragazzo che ha brillato di una luce propria, calda ed originale, ma che il destino, forse per impreziosirla ulteriormente, ha voluto durasse il tempo del passaggio di una cometa; la sua luminosa scia ha lasciato un segno indelebile nel cuore delle persone che ebbero a che fare con lui, un’impronta tutt’ora visibile. Nonostante ciò, di lui e della sua vita poco o nulla si trova in bibliografia (libri, internet, etc.); forse il prezzo che talvolta devono pagare la modestia e la voluta lontananza dalla luce dei riflettori e dalle pagine dei giornali, di chi fa le cose per sé e non per raccontale in giro. Gianni, infatti, era un umile, di quelli con la “U” maiuscola. Proprio questa sorta di oblio e di “ingiustizia” aveva innescato in me il desiderio di approfondire e raccontare la sua meravigliosa storia, in termini di vicenda umana prim’ancora che alpinistica. Decisi quindi di provare, sottoponendo la mia idea innanzitutto ad Anna, la sorella di Gianni, senza il cui benestare nulla avrei fatto. Pensavo valesse la pena tentare, con riserbo e rispetto, a scavare nella vita di quel ragazzo e, cercando di non tradire la sua ottica di vita, fissare su carta un ritratto meno sfumato e lontano della sua persona.
Sebbene prima di imbarcarmi in questa avventura avessi riflettuto a tempi alterni per quasi un anno sul partire o meno, i dubbi continuavano a persistere e non si rifacevano ad un discorso di volontà, bensì alla difficoltà e alla delicata “pericolosità” annesse allo scrivere in merito ad una persona che non ho conosciuto personalmente e che non era più tra noi. Sapevo che se avessi riportato qualche involontaria imprecisione o commesso qualche errore, il diretto interessato non avrebbe potuto correggermi e ciò mi faceva presumere una responsabilità piuttosto grande. Un uomo profondo e per nulla scontato, che, alpinisticamente parlando, rivestì un ruolo importantissimo nella storia dell’alpinismo ma la cui modestia, come ho detto prima, lo ha mantenuto, in vita come in morte, in una sorta di angolo d’ombra. Un’altra difficoltà nella realizzazione di questo scritto era ragionevolmente rappresentata dal fatto che sarebbe da presuntuosi credere di avere una chiara idea della sfera di motivazioni, emozioni e sensazioni che si interpongono tra un alpinista (e per alpinista intendo qualunque frequentatore della montagna, indipendentemente dalla bravura e della disciplina) ed il suo andar per monti.
Recuperai quindi le cime, tolsi i remi da in barca e mi avviai, senza sapere se fossi riuscito a giungere a destinazione o se avessi dovuto tornare a riva poco dopo aver iniziato. Posso dire di essere stato la mano, mentre la voce vera e propria è da imputarsi alla gente che lo conobbe, che si è dimostrata disponibile ed entusiasta, permettendomi di fare della mia ricerca un bellissimo viaggio. Certo sarebbe stato più facile poter attingere anche da altre preziose fonti quali Gian Carlo Grassi e Renato Casarotto, con cui Gianni condivise varie grandi avventure ma entrambi, l’uno dal 1991 e l’altro dal 1986, stanno ormai scalando montagne di un mondo che non è il nostro.
Ora, ad oltre un anno di distanza dall’aver lasciato la terra ferma, dopo aver letto e riletto, smussato e corretto, completato e cercato di migliorare, ma soprattutto approfittato della gentilezza e della disponibilità di tanta gente senza la quale queste pagine non avrebbero potuto nascere, mi accorgo che il risultato può autosostenersi e quindi camminare per conto suo. In quanto alla struttura, ho scelto di mantenere un filo di quella discrezione caratteristica del “nostro” personaggio, inserendo testimonianze che, come tasselli, possono oggettivamente aiutare a conoscere fatti interessanti e a farsi un’idea del lato umano, pagando forse il difetto di una non eccessiva continuità di lettura. È sin dall’inizio stata mia volontà incentrare tutto il lavoro, prima ancora che sui meri exploit alpinistici, sul lato umano e sul messaggio lasciato da Gianni, attuale oggi più che mai a quasi quarant’anni dalla sua morte. Ho inoltre lambito una serie di altri personaggi estremamente interessanti, sia locali (Piero Billò, Sandro Comino, …) sia extra-provinciali (Guido Machetto, Cosimo Zappelli, Gianni Calcagno, …), al fine di fornire agli appassionati uno spunto per implementare le loro conoscenze.
Spero che Gianni possa accettare la licenza che mi sono preso e perdonare eventuali mie involontarie carenze, come spero d’altro canto possa farlo anche ciascun lettore.
Il presente lavoro vuole essere un omaggio alla sua memoria, ma contestualmente anche un messaggio sulla profonda bellezza del vivere la Natura, sugl’insegnamenti che se ne possono trarre, sul piacere e l’arricchimento interiore che ne consegue, sulla nobiltà di sentimenti quali la modestia e l’umiltà, sul ruolo dei sogni e sull’imprescindibile importanza dell’amicizia. L’animo ed il cuore dell’uomo sono alla base di tutto; non esistessero le emozioni, le sensazioni e la storia che lui stesso ha cucito su per cime e creste, per colli e forcelle, per pareti di roccia e di ghiaccio; le montagne sarebbero soltanto insignificanti cumuli di pietre e ghiaccio, così come un uomo senza passioni sarebbe solo il crudo risultato di un ritmo biologico. Ho scoperto sulla mia stessa pelle che ogni passo fatto in montagna – tanto in orizzontale quanto in verticale – è stato prima di tutto un passo in me stesso. Penso che la vita, nonostante tutto (perché c’è sempre un “nonostante tutto”), sia un qualcosa di troppo prezioso per non essere vissuta a fondo; la Natura offre uno splendido contesto per farlo e permette di arricchirci di intime quanto straordinarie esperienze con noi stessi prima ancora che con gli altri.
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