Elucubrazioni semiserie su momenti a divenire tra sentieri e arrampicate

Dopo un articolo di escursionismo, uno di scialpinismo, uno di alpinismo ecco qua una bella riflessione dell’amico ugetino Lorenzo Barbiè

PROLOGO
Musica: “Repent Valpurgis” Procol Harum o “Fortuna” nella sua accezione italiana ovvero la fortuna di una vita passata alla “quasi come si voleva”.

Qualche volta ho la sensazione di smarrire la misura del tempo, di confondere il reale con la fantasia: mi è difficile distinguere l’attimo del presente dal futuro dei sogni o dal passato dei ricordi. La sensazione precisa, per alcuni aspetti inquietante, è quella di arrivare prima o poi ad unificare le tre cose insieme.

Il punto di partenza è sempre il presente, in quanto è e rimane il momento che si vive; ad esso si saldano mirabilmente le introspezioni che scandiscono la vita passata, nei suoi periodi belli o brutti. L’emozione dei ricordi e la sintesi delle esperienze predispongono i pensieri e le azioni per il futuro.

Se razionalmente posso tracciare le linee orientative dell’esistenza, di cui le idee definiscono il percorso ed i contorni, percepisco tuttavia la convinzione che prima o poi dovrò sottostare ad alcune regole od eventi, o a qualcosa che più propriamente potrei definire come una sorta di incantesimo. Una vaga e magica nebulosa che si alimenta e si condiziona nella eterna lotta tra esorcizzazione, ineluttabilità e trasgressione. Più propriamente potrebbe trattarsi di un gioco, con tanto di posta, in cui si mettono in palio la storia e le conoscenze e dove la controparte, il destino, rilancia con una fine relativa ad un mondo, ad un’esperienza, ad un tempo, oppure all’esistenza stessa. Ciò che maggiormente mi inquieta è il fattore dell’ineluttabilità, a cui difficilmente riuscirò a sottrarmi.

I fatti che circoscrivono tali inquietudini sono peraltro molto semplici, lineari direi. Non si basano tanto su elementi di vita quotidiana, questo no, ma indubbiamente trovo le loro radici nel sistema di vita che è naturale a chiunque si metta, in modo continuativo, a viaggiare, a salire o arrampicarsi su per le montagne. Sia ben chiaro che non voglio tirare in ballo imprese al limite o comunque forti e sensazionali: intendo una vita comune, con un lavoro comune in città o da qualsiasi altra parte. Importante ed indispensabile è comunque agire sempre con buone dosi di entusiasmo e di autocritica, al fine di non ricadere nel banale, nel ripetitivo, nella costrizione o peggio ancora nel trascinarsi a giochi al rialzo.

La rappresentazione è in due atti.

Si alza il sipario

 ATTO PRIMO: Il Viale del Tramonto

Musica: “Atom Heart Mother” Pink Floyd ovvero il viaggio dell’uomo nel presente, nel passato e nel futuro.

Il titolo si presta a varie considerazioni ed ognuna diversa e lontana dall’argomento in questione: niente decadenza, niente romanticismo, niente paccottiglia americana alla “sunset boulevard”. Qualcosa di più terra terra, di più vicino.

Prendiamo un bel sentiero di bassa montagna, che si snodi tranquillo, non troppo in salita, ogni tanto qualche breve discesina; gli alberi (in questo caso faggi) si innalzano lateralmente, con rami che si intrecciano in modo da formare una volta ad arco regolare e continua, un viale appunto. Il sole, a secondo delle stagioni, o non penetra oppure i suoi raggi si frantumano e si scompongono sul tracciato del sentiero ricoperto di foglie cadute. Ogni volta che passo di lì è per raggiungere, non molto distante, pareti assolate o talvolta circondate da nubi radenti o dalle brume che salgono dalla pianura là in basso. I passi lungo il viale sono veloci e sicuri, come quando si è in un luogo che consideri famigliare; alle volte passo da solo, più spesso in compagnia di amici, a gruppetti, a due a due: voci, racconti, chiacchiere, pensieri. Pensieri appunto: accadde un giorno, non ricordo quando, che si formulò l’intuizione. Da quel momento attraverso il viale del tramonto con una certa circospezione, quasi timore misto a curiosità. Accadrà un giorno ciò che ho immaginato. Un giorno qualunque camminerò lungo il viale e così, senza un motivo e all’improvviso, scorreranno nella mia testa molte cose, molti episodi, come in un film visto al rallentatore. Ripercorrerò le mie esperienze di viaggi ed arrampicate, rivedrò soprattutto i miei compagni, gli amici di sempre, di adesso o perduti per le strade, quelle della vita o altre più buie ed imperscrutabili. Un attimo, una vita: il presente si dilata per accogliere il passato; niente rimpianti o rancori, solo serenità e pace e la certezza di avere vissuto non peggio e non meglio degli altri. Montagne, pareti, ghiacciai, pietraie e poi le scivolate giù dai canaloni, le doppie, i cieli e le nuvole, tutto scorrerà nel breve tempo di percorrenza del viale. I passi inesorabili si susseguono, le foglie crepitano al passaggio: quando uscirò dal boschetto l’incantesimo si sarà compiuto, qualcosa si sarà spezzato o sarà finito, ma cosa ancora non so.

ATTO SECONDO: L’Isola che c’è

Musica: “Creuza de Mà” Fabrizio De Andrè ovvero la dilatazione delle atmosfere mediterranee.

La salita sulle bianche scogliere a picco sul mare è terminata. I fondali di verde smeraldo che intravedevo in mezzo alle gambe a chiudere il vuoto sono scomparsi. Ormai sono sull’altopiano sotto l’ombra di pini marittimi, su una cresta sospesa sulle pareti precipiti. Il profumo della macchia si fonde col calore del sole sulla pelle ed il vento scompiglia i capelli ed asciuga il sudore, lasciando tracce di sale sul viso e sulle braccia.

Più lontano, in mezzo al mare, c’è l’isola. E’ segnata sulle carte ed esiste nella realtà: so che un uomo vi abita e la sorveglia. Ma per me è un miraggio o solo un sogno o l’impossibile, eppure da qualsiasi parte della costa mi trovi, lei è sempre lì, immobile e quieta. Due montagne si innalzano su di essa e la rendono inconfondibile; si potrebbero persino fare delle belle arrampicate, con il mare che mugghia sotto i piedi. Non scappa, questo è certo, ma forse sono io che tento di sfuggirle, perché l’isola è una sirena che attrae per far soccombere: alcuni però ci sono stati ed anche tornati; ma io no, non posso andarci, devo resistere al suo incantesimo.

Le camminate, le arrampicate lungo i sentieri e le pareti della costa e delle cale si susseguono quasi ogni anno; sempre lo stesso sole, lo stesso vento e lo stesso richiamo. Sono passati molti anni dalla prima volta che vidi le bianche scogliere e molti giorni felici ho trascorso aggrappato ai loro appigli. Il gioco della vita e della conoscenza è sempre continuato nel corso del tempo e ancora continua; mi trovo sempre lì a farmi schiaffeggiare dal vento e farmi assordare dalla risacca e forse è per questo che gli anni non mi pesano. Ma l’isola è sempre lì davanti ad aspettare, immota sulle acque tra i luccichii ed i riflessi: per farsi raggiungere chiede di regalarle qualcosa, la mia vita.

Lorenzo Barbiè