Carlo Crovella: In sci nel Gruppo del Gran Paradiso

L’amico Carlo Crovella , scialpinista di lunga data, ci fa anche questo bel regalo riproponendo un articolo sul Gran Paradiso in sci, con il giusto mix fra informazioni tecniche, culturali e storiche relative ad un massiccio che è un vero “Paradiso” per lo scialpinismo.
(pubblicato su Monti e Valli del CAI Torino nel novembre 2019)

La pubblicazione sul finire del 2018 della Toponeige Grand Paradis GPA (cui segue proprio ad aprile 2020 l’edizione italiana, grazie alla traduzione di Deborah Bionaz, valdostana di Lillaz presso Cogne, NdR), a cura della Casa editrice Volopress di Grenoble, ha rimescolato dentro di me antichi ricordi e nuove emozioni, facendomi vibrare nel profondo.

L’autore della GPA è Jean-Baptiste Mang, guida alpina di Chamonix e profondo conoscitore anche delle montagne valdostane.

La Toponeige si affianca ad una florida letteratura sul Gran Paradiso: tuttavia aggiunge alcuni elementi peculiari, nella tradizione della casa editrice Volopress.

Toponeige GPA (edizione in italiano) edita dalla Volopress

La Toponeige GPA non si limita al solo Gran Paradiso in senso stretto, poiché l’area descritta, seppur posizionata sul versante valdostano, si estende dalla Valle di La Thuille fino allo spartiacque fra Valle di Champorcher e Piemonte.

In pratica l’area coinvolta in questa guida non è altro che una componente di un importante triangolo orografico, le cui altre due componenti sono la Vanoise a Ovest e le Alpi Graie piemontesi a Sud-Sud Est (Valle dell’Orco-Valchiusella-Valli di Lanzo-bassa Val di Susa versante sinistro orografico).

Il punto di giunzione delle tre componenti orografiche si incentra sulla vetta della Galisia, che assume lo stesso ruolo geografico ricoperto dalla vetta dei Bans in Delfinato, dove appunto si saldano i tre diversi versanti dell’Oisans: quello sud-orientale verso Briançon, quello sud-occidentale verso Gap e quello nord-occidentale verso Grenoble.

In entrambe le situazione (Gran Paradiso e Delfinato) l’orientamento e il posizionamento geografico delle tre rispettive aree ne condizionano le caratteristiche nivo-climatiche e quindi la differente fruibilità a fini sciistici.

La Toponeige GPA ci illustra che la sezione compresa fra La Thuille e Champorcher (sul versante valdostano) risulta inserita fra le alte barriere degli spartiacque principali che, proteggendola dalle grandi perturbazioni, ne determinano caratteristiche nivologiche più simili alle Alpi del Sud che alle regioni confinanti.

In effetti le precipitazioni nevose registrare in Savoia a parità di latitudine risultano significativamente più abbondanti. Tuttavia l’elevata altezza media della zona, che culmina nei 4061 metri del Gran Paradiso, ne favorisce abbondantemente la sciabilità.

Il mix fra queste due componenti crea le condizioni ideali perché il massiccio sia un vero “Paradiso” dello scialpinismo.

Inoltre la presenza dell’importante Parco Nazionale ha evitato il diffondersi di mega comprensori sciistici, lasciando molto spazio a disposizione dello scialpinismo. Le stazioni sciistiche sono davvero marginali: si tratta di La Thuille, Pila e Champorcher (con l’aggiunta, qua e là, di piccoli skilift o qualche seggiovie).

Il mio attaccamento emotivo al Massiccio del Gran Paradiso deriva dal fatto che mio padre Umberto Crovella ha ricoperto per lungo tempo il ruolo di ispettore, per conto del CAI Torino, dei rifugi Vittorio Emanuele II (in Valsavarenche) e Benevolo (in val di Rhêmes), prima che quest’ultimo diventasse privato.

In tale contesto ho trascorso sistematici periodi di vacanza estiva nei due rifugi, fin dai miei primi anni. Anzi, ho compiuto un anno proprio al Benevolo (agosto 1962).

Dopo innumerevoli escursioni estive, iniziata l’attività scialpinistica in prima persona, ho affrontato queste valli anche con gli assi ai piedi. Proprio la salita in sci del Gran Paradiso (uno dei pochi 4000 interamente italiano) si lega ad un mio ricordo moto caro.

Con Enrico Giacopelli, distintivato della Scuola Sucai di Torino, affrontammo l’intera spedizione alla “maniera dei nostri padri”. Non disponendo di un’auto, partimmo in treno da Torino e, con diversi cambi, giungemmo ad Aosta, dove la corriera ci portò in Valsavarenche fino a Eaux Rousse.

La strada era interrotta perché innevata, per cui ci sorbimmo in sci il trasferimento fino a Pont (normale fine strada) per salire poi al rifugio Vittorio Emanuele II.

Il giorno dopo raggiungemmo la vetta e tornammo al rifugio, non senza difficoltà per il maltempo. Trascorremmo una piacevole serata facendo conoscenza con un gruppo di quattro parigini, allegri e scanzonati.

Il terzo giorno, infine, salimmo verso il Ciaforon e, valicando alcune morene trasversali, passammo sotto la Nord della Monciair per dirigerci verso il Vallone del Grande Etret. Svoltati infine in tale vallone, la discesa ci condusse fino all’auto dei parigini (che avevamo convinto a seguirci).

Per ricambiare la dritta di una discesa molto più divertente di quella sotto al rifugio, i francesi ci accompagnarono, sulla loro scalcinata R4 rossa, fino alla stazione di Aosta. Era il ponte di Pasqua del 1980: avevo 19 anni.

Carlo Crovella (a sn) ed Enrico Giacopelli (a dx) in vista della Nord della Monciair, aprile 1980 (foto Arch. C. Crovella)

Da allora molte altre volte sono stato con gli sci nelle valli del Gran Paradiso: mi ricordo in particolare l’uscita conclusiva di un Corso SA3 della Sucai (durante il mio mandato da Direttore della Scuola) al Gran San Pietro dalla Valnontey.

Eravamo circa una ventina: pernottammo alle Alpi di Money, salimmo il canale in ramponi e con gli sci a spalle, lasciammo gli sci al colletto, e, legati in cordata, raggiungemmo la vetta tramite la cresta di rocce rotte.

Tornati al colletto, scendemmo con gli sci il ripido canale (in ottime condizioni) e poi, anziché proseguire lungo l’itinerario di salita verso le Alpi del Money, tagliammo tutto a sinistra sotto la Roccia Viva, fin quasi a lambire la seraccata della Tribolazione, dove ruotammo nuovamente nel solco principale della Valnontey, arrivando sci ai piedi molto vicini alle auto.

Era il maggio del 1987: fu la mia ultima uscita da Direttore della Scuola. Nella successiva fase esistenziale non ho per nulla smesso di frequentare il massiccio, specie con gli sci: gite invernali, “gitoni” d’alta quota, traversate e anche qualche discesa di canali e pareti ripide.

Tuttavia non siamo qui a celebrare la mia attività personale, ma a descrivere le variegate possibilità sciistiche offerte dal massiccio del Gran Paradiso.

La natura di questo gruppo, con estesa presenza di ghiacciai (seppur anche loro sofferenti per i cambiamenti climatici), offre le condizioni ideali per uno scialpinismo di alta quota, con itinerari che richiedono spesso di sapersela cavare anche su difficoltà alpinistiche (e con gli sci sullo zaino).

Questa particolare caratteristica del massiccio colpì, già in un lontano passato, i pionieri dello scialpinismo. Fra tutti spicca Pietro “Pipi” Ravelli, molto attivo in queste valli (ma anche in altre zone delle Alpi) già nei primi anni ‘30.

Incuriosito dallo spunto riportato nell’introduzione del libro degli amici Bersezio-Tirone (Gran Paradiso-Vanoise-Delfinato, CDA, Torino, 1984), mi sono impegnato in una ricerca storica su alcune realizzazioni sciistiche nel massiccio del Gran Paradiso.

Grazie alla preziosa assistenza delle collaboratrici della Biblioteca Nazionale/Museo della Montagna, ho recuperato i testi originari delle principali fra tali realizzazioni, che molto spesso si incentrarono sulla personalità di Pipi Ravelli.

“Il” Pipi, come lo si indicava affettuosamente nell’ambiente subalpino, affrontò nel giugno del 1930 un tour di tre giorni che ha dell’incredibile. La tipologia dell’itinerario, con significative difficoltà alpinistiche, e il concetto di “boucle” (anello), oggi molto caro ai francesi, erano in anticipo di 80 anni!

In compagnia di Salvatore Gambini e di Luigi Bon (che pubblicherà l’importante relazione su La Rivista del CAI del settembre 1930 con il titolo “In sci nel Gruppo del Gran Paradiso”: in loro omaggio ho ripreso il titolo per questo articolo) realizzarono il tour del Gran Paradiso da Cogne a Cogne, transitando per il magico mondo del Ghiacciaio della Tribolazione.

Ecco la relazione in sintesi:

Domenica 16 giugno: salita al Casolari dell’Herbetet (casa di caccia) e pernottamento.

Lunedì 17 giugno: partenza ore 1,50, approccio al Ghiacciaio della Tribolazione (4,20), intera risalita dello stesso fino al Colle dell’Ape (9,55), da qui (sci sullo zaino) risalita della parete da loro chiamata “di Noaschetta” (versante Sud del Roc), raggiungimento (14,15) della cresta con la Valsavarenche alla seconda depressione a Sud del Roc, scollinamento sulla normale del Gran Paradiso, puntata in vetta (alle 16,40), discesa al rifugio Vittorio (17,30).

Martedì 18 giugno: partenza dal rifugio alle 8,25, percorrenza dei Ghiacciai di Laveciau e di Montandayné, raggiungimento del Colle Est del Gran Neyron (14,15), discesa fino al fondo del Ghiacciaio di Gran Neyron (15,35), risalita al Colle Sud dell’Herbetet (17,35), discesa ai Casolari dell’Herbetet (19).

L’itinerario è talmente intrigante che è diventato una gran classica e attira ripetitori (nei due sensi di marcia) ancor oggi. Va sottolineato che, rispetto al passato, oggi si propende a percorrere l’impervio tratto fra il Colle dell’Ape e la cresta con la Valsavarenche utilizzando il canale della Finestra del Roc. Anche questa alternativa va però affrontata con grande prudenza per le difficoltà alpinistiche e soprattutto per la natura della roccia, non proprio perfetta (non a caso d’estate è sconsigliato dalla Guide di Cogne).

Questo exploit ci permette di esprimere una considerazione di insieme. Il massiccio del Gran Paradiso nel suo complesso ben si presta a gitoni primaverili (o, meglio, a quelli che qualche decennio fa si chiamavano primaverili…) e infatti la Toponeige GPA di Mang propone moltissimi itinerari con tali caratteristiche, alcuni meno noti, altri ben conosciuti come appunto la capatina nel magico mondo della Tribolazione.

Nella Toponeige si trova quindi una vera miniera per gli appassionati di questa attività che, al giorno d’oggi, non rispetta rigidamente i canoni del calendario, ma (a seconda dell’andamento stagionale) può essere svolta anche in periodi precedenti rispetto ai mesi ufficialmente primaverili.

A ben vedere neppure i pionieri rispettavano strettamente i criteri “primaverili”. Luigi Bon, compagno del Pipi e accademico di par suo, non era nuovo a imprese sciistiche in questo massiccio: nel novembre 1929 (!), insieme a Ottorino Mezzalama (altro pioniere dello sci: un pioniere con i baffi, in tutti i sensi), realizzò la traversata del Colle del Gran Paradiso dal rifugio Vittorio con discesa fino a Noasca.

Sempre nel mese di febbraio, ma questa volta nell’anno 1939, fu realizzata la prima sciistica della Becca di Gay da una squadra di tutto rispetto: Giusto Gervasutti (che sappiamo esser stato un appassionato scialpinista, oltre che un alpinista di punta), i due fratelli Giraudo, G. Morini ed Emanuele Andreis, altro accademico, autore (con Chabod e Santi) della prima Guida CAI-TCI su questo massiccio e, soprattutto, indimenticabile Presidente del CAI Torino fra il ’49 e il ’63.

Questo gruppetto risalì per intero il Vallone di Noaschetta, mentre oggi la Becca di Gay (una delle classicissime gite primaverili del massiccio) si affronta dalla diga del Teleccio, spesso pernottando nell’accogliente rifugio Pontese. Siamo sconfinati sul versante piemontese del gruppo, ma ciò dimostra che questo sistema montuoso ha un’unica anima e permette di giocare con gli spartiacque, andando e venendo di qua e di là.

Seguendo infatti la Toponeige come fil rouge per l’analisi del massiccio, ci si imbatte in uno spunto aggiuntivo: lo scialpinismo d’alta quota ben si articola con l’orografia del gruppo, consentendo alla fantasia di disegnare accattivanti raid di più giorni. Storicamente si chiamano Haute Route, ma il concetto è lo stesso.

Anche in questo caso Pipi Ravelli fece scuola già negli anni ‘30. Nel giugno del 1932, insieme a Luigi Bon, Adolfo Vecchietti ed Emanuele Andreis (che redigerà la relazione pubblicata sulla Rivista CAI dell’aprile 1933) raggiunse Cogne per realizzare un percorso ad anello intorno alla vetta massima.

Cronosintesi del raid:

12 giugno: salita alla Casa di caccia del Loson (a fianco del rifugio Vittorio Sella, ma più facilmente scaldabile).

13 giugno: pausa per maltempo.

14 giugno: partenza ore 4,15, vetta del Gran Sertz (7,25), discesa lato Valsaverenche fino alla base della cresta Nord Ovest dell’Herbetet (8,40), risalita al Colle Est del Gran Neyron (10,30), raggiungimento del rifugio Vittorio (14). In un’uscita sociale di qualche tempo prima, Pipi aveva nascosto delle provviste al rifugio, eventualità che rallegrò la serata.

15 giugno: partenza dal rifugio alle ore 2,40, colle del Gran Paradiso (4,50), discesa nell’alto Vallone di Noaschetta (dove oggi c’è il Bivacco Ivrea) e risalita al Colle dei Becchi (7,00), discesa alle Muande del Teleccio (8,50), nei pressi delle quali oggi si trova il rifugio Pontese.

16 giugno: partenza alle 4,45 dalle Muande, Colle del Teleccio (9), discesa in Valleile fino al limitare della neve (11), a Cogne alle 13.

Pietro “Pipi” Ravelli (Foto Centro Documentazione Museo Nazionale della Montagna)

La visione di Pipi e compagni era davvero molto in anticipo sui tempi: ancor oggi il più noto raid del gruppo si sviluppa lungo questo itinerario ad anello, affiancato, nel corso dei decenni, dal un altro anello più a ovest (fino in Val di Rhêmes): in tal modo si è creato così quello che è stato chiamato “L’ 8 del Gran Paradiso”. Quest’ultimo raid fu ideato e realizzato nel 1969 dal GSA (Gruppo Sci Alpinismo) del CAI-Uget Torino.

Sul tema raid, o Haute Route che dir si voglia, la Toponeige GPA riporta l’anello classico e la traversata Ovest-Est da La Thuille a Champorcher, ma segnala anche alcune proposte meno note e per questo molto intriganti, specie perché posizionate in angoli solitari e appartati.

Analogamente, scorrendo l’elenco delle gite singole (spesso nella versione della boucle – anello in giornata – tanto cara ai francesi), ci si imbatte in proposte davvero inconsuete anche per vecchie volpi della montagna innevata.

Ciò introduce un’ultima considerazione. Si tende, erroneamente, a pensare che la collezione delle Toponeige Volopress sia esclusivamente diretta agli appassionati di sci ripido. Tale convinzione deriva dal fatto che la Volopress ha elaborato a suo tempo una scala di gradazione degli itinerari in sci.

Forse l’esigenza originaria era quella di poter gradare gli itinerari “ripidi” (cioè quelli che, per definizione, vanno oltre lo scialpinismo tradizionale), ma in realtà la Scala Volopress abbraccia tutte le tipologie di percorsi, estendendosi dal livello 1 (semplici passeggiatine) fino al massimo oggi raggiunto nelle Alpi, livello che si pone a cavallo del grado 5,5. L’attività dello scialpinismo tradizionale si colloca fra i gradi 2 e 3 della Scala in questione.

Non mi addentro nelle tecnicalità che compongono la Scala (rinviando agli specifici capitoli che si trovano in ogni Toponeige Volopress), ma mi soffermo su alcune considerazioni che esprime questa Toponeige.

A dispetto di quanto si possa pensare a prima vista, ingannati dalle alte quote e dalle numerose pareti glaciali del massiccio, la Toponeige GPA dimostra che il 62% degli itinerari descritti rientrano nei gradi 2 e 3 della Scala Volopress: si tratta quindi di itinerari di scialpinismo tradizionale.

La percentuale di tali raggruppamenti è superiore a quella di altri massicci (Monte Bianco, Delfinato, Vanoise) analizzate dalle corrispondenti Toponeige.

Ricollegandoci alla descrizione nivo-orografica da cui siamo partiti, possiamo quindi confermare l’elevata scialbilità di questo massiccio, specie in termini di scialpinismo tradizionale.

L’altro lato della medaglia è costituito dall’elevata frequentazione degli itinerari più conosciuti. Però ancora una volta ci viene in aiuto Mang, segnalandoci alcuni sottogruppi dove raramente si incontrano frotte di scialpinisti.

Di tali proposte, due mi hanno colpito in particolare. La prima riguarda il versante orientale del sottogruppo Entrelor-Taou Blanc: si tratta del versante che si affaccia sul Piano del Nivolet e su Pont Valsavarenche. Mentre il versante opposto, quello di Rhêmes, è arcinoto – sciisticamente parlando – e quindi molto battuto, questo lato lo è molto meno, anche se offre una serie di valloncelli paralleli che consentono di inanellare intriganti boucle.

Inoltre, poiché l’accesso innevato dalla Valsavarenche al Piano del Nivolet può essere critico e non molto sciistico, si può estendere la boucle partendo da Rhêmes, scollinando sul lato orientale e risalendo in cresta per uno dei tanti valloncelli paralleli, al fine di tornare definitivamente su Rhêmes. Insomma si può sbizzarrire la fantasia senza timore di annoiarsi.

Un’altra proposta molto intrigante coinvolge il Bivacco Borroz che si trova alla testata della Val Clavalité, dove sono possibili memorabili discesa in sci anche a fine maggio-giugno. Tale bivacco costituisce la base per un “soggiorno a stella” (altra espressione cara agli scialpinisti francesi), cioè con gite tutt’intorno.

Anziché risalire la lunghissima Val Clavalité, si può raggiungere il bivacco, tra l’altro molto confortevole (baita ristrutturata di recente), dalla Valle di Champorcher, scavalcando lo spartiacque in più punti, ipotesi che aggiunge altre opportunità sciistiche.

Il lettore attento si sarà accorto che non ho introdotto segnalazioni di sci ripido-sci estremo. Si tratta di una scelta voluta, poiché il taglio di questo mio intervento è finalizzato a descrivere le possibilità sciistiche tradizionali del massiccio.

Tuttavia ciò non significa che non esistano canali e pareti adatte a discese di impegno e anche di “elevato impegno”: gli appassionati del settore troveranno nella Toponeige GPA abbondante pane per i loro denti.

Con questa chiacchierata spero di aver dimostrato che il massiccio del Gran Paradiso offre una moltitudine di opportunità per un’ampia gamma di appassionati, dagli scialpinisti tradizionali fino ai ripidisti più agguerriti. Ė quindi un terreno per entusiasmanti gite in sci.

Però occorre ricordare che, come insegnava Gaston Rébuffat, l’entusiasmo deve costantemente andare a braccetto con la lucidità.

La montagna in sé è uno splendido terreno di gioco e alimenta un entusiasmo che invade tutta la sfera esistenziale, ma il buon senso lo dobbiamo sempre mettere noi.

Area analizzata dalla Toponeige GPA

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