EIGER PARETE NORD – PRIMA ASCENSIONE ITALIANA

Nel 1962, a ventiquattro anni dalla prima salita compiuta da Harrer e Heckmaier, nessun italiano era ancora arrivato in vetta all’Eiger dalla parete Nord.
Siamo nell’agosto del 1962: Armando Aste, Pierlorenzo Acquistapace, Gildo Airoldi, Andrea Mellano, Romano Perego, Franco Solina salgono la terribile Parete Nord dell’Eiger: è la prima italiana
Grazie all’amico Andrea Mellano ripubblichiamo il suo racconto di questa grandissima impresa alpinistica.
(già pubblicata sul libro celebrativo dei cinquant’anni del CAI UGET Torino nel 1963)

«…Non andate sull’Eiger…» queste erano le parole della canzone che Hermann Buhl cantava al suo compagno di cordata durante il bivacco sulla terribile parete.

Ora, che sto   salendo, scalinando questo interminabile secondo nevaio, mi vengono alla mente quelle parole; anch’io sono qui, impegnato con i miei compagni sulla più famosa parete delle Alpi. Siamo dei pazzi?  Degli incoscienti? No!  Niente di tutto questo. Ci siamo preparati ad affrontare tutte le incognite che la montagna ci presenta ad ogni passo, ci siamo allenati durante l’anno e ne fanno fede le numerose salite riuscite. Ciò che ci spinge ad affrontare una parete così difficile e pericolosa, è solo il desiderio di misurare le nostre forze su di un terreno nuovo   e impegnativo, unitamente al sogno di realizzare la prima   ascensione italiana della parete.

Ambizione dunque? Forse un pochino sì. Però non vogliamo morire; la montagna è vita e così deve essere per noi: solo un pazzo rischia la vita per ambizione.

I miei compagni ed io, non siamo dei tipi eccezionali, dotati dalla natura di doti particolari. Il freddo ci fa soffrire, la fame e la stanchezza, quando è il loro turno, ci opprimono. A volte i riflessi si appesantiscono e la sete ci secca la gola sino a provocarci il vomito. Ecco cosa siamo: degli uomini normali come tutti gli altri. Solo che noi vogliamo scalare la N dell’Eiger. Questione di gusti.
Incominciai a parlare con Romano della parete, un paio di anni fa. Così, senza impegno: però era già un passo avanti   il parlarne.

Da allora, segretamente, tutte le nostre salite   erano concepite e realizzate al solo scopo di allenarci per affrontare la terribile Nord.

Romano era il compagno ideale, allora non conoscevo ancora Gildo e contavo di fare la salita solo con lui. Ci trovammo spesso per compiere delle salite insieme, specialmente nel periodo delle ferie.

Nel 1961, Romano si fa la grande esperienza extraeuropea scalando la parete S del MAC KINLEY in Alaska.  Completa così la sua preparazione in ghiaccio e sul misto, divenendo un perfetto «occidentalista».

Venne il 1962. Anno denso di avvenimenti alpinistici, per noi l’anno   buono dunque per tentare l’Eiger. Durante una gita sci-alpinistica, prendemmo la grande decisione: saremmo andati all’Eiger e non in due, ma in tre ed il terzo sarebbe stato Gildo Airoldi di Merate, felicissimo di partecipare all’impresa.

Incominciai a studiare la salita sotto il suo aspetto logistico. Volevo eliminare al massimo le  probabilità di  insuccesso  o,  peggio  ancora, di  eventuale disgrazia.

Considerai l’eventualità di trascorrere diversi giorni in parete e per questo ci preoccupammo, io e gli amici, di portare con noi tutto l’equipaggiamento necessario. L’alimentazione fu  studiata  in  modo   particolare  poiché   uno  sfinimento  in  parete avrebbe pregiudicato tutta  la salita.

Dedicai   molta attenzione ai medicinali che scelsi   dietro consiglio   del mio carissimo dott.  Volante «Ciccio» per  gli  amici.

Dunque, teoricamente, saremmo stati  in  grado di  scalare la  parete.  Divorai tutti i libri che parlavano della   parete ed in modo particolare studiai quello   di Harrer da cui trassi la relazione tecnica che si rivelò, in seguito, di grande utilità.

Aspettai con ansia i giorni delle ferie; senonché, successe un piccolo contrattempo: Romano non poteva prendere le ferie con me nel mese di luglio.  Era un bel pasticcio che rischiava di mandare all’aria tutti i nostri progetti. Inoltre, le probabilità di successo si riducevano a quei pochi giorni che ci rimanevano nel   mese di agosto, notoriamente il meno indicato per le grandi salite.

Comunque la salita io la sentivo e non disarmavo.  Se non potevamo salire l’Eiger in luglio, l’avremmo salito in agosto: ad ogni costo!

Nell’attesa scalammo diverse montagne per completare la nostra preparazione.

Romano   e Gildo nelle alpi centrali, io in quelle occidentali. Tra le altre scalai con Giovanni Brignolo la parete N. del Cervino e per   un soffio mancammo la cima a causa del solito maltempo che ci perseguitò per tutta la salita. Fu un’ottima esperienza che mi abituò ad operare su di un terreno costantemente insicuro e pericoloso.

Giovanni Brignolo, oltre che essere un ottimo alpinista, è anche un esperto radiotecnico e mise a punto per il soccorso alpino di Torino due apparecchi ricetrasmittenti di minimo ingombro e di grandissimo rendimento. Durante una   prova in montagna notata la perfetta efficienza degli apparecchi, decisi di portarli con me sulla N. dell’Eiger. Un altro fattore di sicurezza si aggiungeva a quelli precedentemente studiati, per cui la riuscita della salita, almeno sulla carta, era sicura.

I giorni precedenti la partenza furono pieni di sofferenza per me. La parete mi ossessionava, la sognavo di notte e mi prendevano delle strane paure: sarebbe andato tutto bene?  Non era un progetto troppo arrischiato il nostro? Non   ne potevo più.

«Ciccio», l’amico dottore, mi fece una visita coi fiocchi ed alla fine mi dichiarò idoneo alla montagna ma   leggermente picchiato, secondo lui, per il mio proposito di scalare la N dell’Eiger.

Giunse finalmente l’11 agosto. Con due zaini carichi fino a scoppiare prendo posto sul pullman che mi porterà ad Ivrea dove ho l’appuntamento con Gildo e Romano.   Puntualissimi ad   Ivrea trovo gli amici. Subito mi accorgo, dalle loro facce, che c’è qualcosa che gira male. Infatti Romano mi fa capire che loro preferirebbero fare qualche bella salita nel gruppo del Bianco anche per non rischiare di sprecare i pochi giorni di ferie che abbiamo. Li guardo con una faccia così sconsolata che subito si affrettano ad assicurarmi che  se io ho deciso di andare all’Eiger loro ci  vengono volentieri… Decidere di andare? Dopo tutto quello che ho passato in questi giorni, dovrei cambiare idea? Niente affatto! Andremo   alla N. dell’Eiger e voi, brutti gaglioffi, verrete con me!

Forse gli amici aspettavano questa mia reazione, forse gli stessi timori che mi stavano tormentando assillavano anche loro; avevano bisogno di uno scossone per convincersi. L’ebbero lo scossone, forse un po’ forte ma senz’altro salutare.

Dimodoché, dopo che io ebbi reclamato con un tono di voce che non metteva in dubbio la serietà delle mie minacce di rappresaglia qualora ci avessero soffiata la salita, ci trovammo tutti d’accordo nel dirigerci verso Grindelwald.

Traversata la frontiera un po’ avventurosamente a causa di Gildo che, privo del regolare visto di transito, dovette promettere solennemente di non proseguire oltre Martigny cosa che lui fece con la più grande faccia tosta di questo mondo, arrivammo nel pomeriggio inoltrato a Grindelwald e subito salimmo alla Kleine Skeidegg.

L’Eiger ci sovrastava imponente; per la verità subito non ci fece grande impressione ma, prendendo quota, la parete N. si presentò in tutta la sua grandiosità: è veramente   una parete unica nelle Alpi. Ci sentimmo piccoli piccoli al suo cospetto. Io avevo la gola secca e cercavo di darmi un contegno e di sfuggire lo sguardo curioso e   indagatore delle vecchiette che erano sulla carrozza con noi.

Romano e Gildo, stranamente silenziosi, la osservavano con aria preoccupata. Nel cielo terso, maledettamente terso, neanche la più piccola traccia di nuvola.

Vigliaccamente avrei preferito che il tempo fosse brutto.  Mai, prima di una escursione, mi era successo di desiderare ardentemente   il brutto tempo, come all’Eiger.

Giunti alla Kleine Scheidegsz, cercammo un posto appartato e piantammo  la nostra tenda sotto gli sguardi curiosi di alcuni turisti.

Strano posto la Kleine Scheiden. Situata ai piedi della più   famosa parete delle Alpi, richiama un   gran numero   di turisti curiosi ed ansiosi di assistere ad una   emozionante scalata, magari   resa interessante da qualche  incidente serio.

I cannocchiali, perennemente    puntati sulla parete, la   scrutano penetrandola nei suoi più reconditi angoli facendo partecipi, tutti coloro che osservano con   morbosa ed   impudica attenzione, dei drammi   e delle gioie che lassù afferrano gli scalatori.

Ce ne sarebbe già abbastanza per farci voltare la schiena   e tornare alle nostre montagne.  Ma anche   lo spettacolo che uno si appresta a dare, fa parte delle innumerevoli difficoltà che la parete oppone agli scalatori che vogliono salirla.

Piazzata la tendina, andammo  un po’ in giro a curiosare. AI «Buffet» della stazione incontriamo un simpatico cameriere italiano col quale familiarizziamo subito. Anzi gli proponiamo di prendere una delle nostre radioline per tenersi in contatto con noi durante la salita.

Egli accetta volentieri e l’accordo è presto raggiunto: tutti i giorni alle nove del mattino ed alle venti di sera ci metteremo in contatto. L’ultima parte organizzativa è così  completata grazie alla gentilezza di un cameriere napoletano.  La prima salita della parete N dell’Eiger, se riusciremo, sarà anche merito di un meridionale, alla faccia di tutti i campanilismi regionali.

Il mattino seguente, 12 agosto, il cielo è splendido. Alle sette partiamo senza essere riusciti ad eludere la sorveglianza di alcuni turisti che, insospettiti dalle nostre mosse, alle sei già gironzolavano nei pressi della nostra tenda. Alle nove siamo all’attacco.

Abbiamo    percorso in silenzio il breve tratto che ci   separava dalla parete, ognuno coi   propri pensieri. L’Eiger …  la parete Nord, la   massima aspirazione di ogni scalatore: Hekmair, Rebuffat, Buhl… tutti questi uomini eccezionali hanno lottato sino al limite delle loro possibilità per superare questa orrida bastionata.

E noi, noi chi siamo?

Siamo in grado di misurarci con una simile parete?… Ho paura, paura di non farcela, paura delle responsabilità che stiamo per assumerci    di fronte a noi stessi ed a tutti i nostri legami affettivi che abbiamo lasciato … Paura …

Questi pensieri mi tornavano alla mente nel breve tratto che abbiamo percorso per arrivare all’attacco. Alzo gli occhi e guardo Romano.   Anche lui prova quello che sto provando dentro di me, è   stranamente silenzioso ed è maledettamente pallido.

Terribili momenti dove la volontà sta per cedere all’istinto.

Via andiamo, attacchiamo la parete in fretta altrimenti scappo giù a gambe levate.

Gildo è il solo ad essere allegro. La poca esperienza di alta montagna ed i suoi vent’anni lo aiutano a superare allegramente lo stato d’animo abituale ad ogni inizio di scalata. È giovane e pieno di vita, non riesce a capire come mai siamo così immusoniti. Forse ha capito che Andrea e Romano, accademici del CAI, hanno paura. Ma non ce lo dice.

Con movimenti lenti e studiati ci leghiamo e poi via, si parte!

Le prime rocce, i primi passaggi … Man mano che si sale, la parete ci prende e noi acquistiamo sicurezza. I timori sono svaniti; ora siamo sulla N e lotteremo con tutte le nostre forze per vincerla.

La giornata particolarmente calda, favorisce le scariche di sassi e materiale vario. Presto ci abituiamo a questo inconveniente ed i nostri caschi di plastica svolgono egregiamente il loro lavoro.

Superato velocemente lo «Schwerer Riss», grazie ad alcuni pezzi di corda lasciati appesi da qualche nostro predecessore, verso le 15 siamo sotto la «traversata Hinterstoisser». La tentazione di continuare e forte, ma la prudenza ci consiglia di fermarci. Le scariche di pietre si sono fatte frequenti e proseguire la salita sarebbe   troppo azzardato quindi, nostro malgrado, decidiamo di fermarci.

La parete sta scaricando delle quantità enormi di sassi ed acqua.

Il posto che ci siamo scelti per il bivacco, si trasforma presto in una doccia naturale che ci rallegrerà tutta la notte lasciandoci poi bagnati fradici al mattino. Verso le 21 appuntamento radio con il nostro amico alla Kleine che ci informa delle previsioni del tempo: ottime su tutta la zona.  Noi, di rimando, lo assicuriamo   che tutto procede bene. Ci salutiamo festosamente e chiudiamo il contatto.

Nelle   prime ore del pomeriggio avevamo   visto quattro alpinisti che attaccavano la parete, ed ora ne udiamo le voci sotto di noi. È bello sentire delle voci umane su questa montagna: ci si sente meno soli e danno coraggio.

Lunedì 13 agosto. Il tempo è buono; alle sette iniziamo l’arrampicata.

Saliti alcuni metri verso sinistra affrontiamo la «traversata Hinterstoisser». La superiamo sfruttando un vecchio cordino appeso e presto ci troviamo alla base del 1° nevaio cioè, cosa rimane del primo nevaio; il caldo di questi giorni ha fatto affiorare dal ghiaccio dei larghi strati di roccia liscia e pericolosa. Con cautela ti lasciamo alle spalle questo tratto e raggiungiamo la fascia di rocce che separano il primo nevaio dal secondo.

Alzando lo sguardo notiamo sopra di noi tre alpinisti che stanno arrampicando.  Non siamo sorpresi perché la sera prima osservando col cannocchiale dalla Kleine Heidegger, avevamo notato tre scalatori in parete, però oggi li credevamo molto più avanti. Probabilmente le scariche di sassi li hanno rallentati nella progressione.

Ad un tratto Gildo   prorompe in una gioiosa esclamazione: «ma quello è il Canela !» Canela è il grazioso soprannome di Piero Acquistapace.

Tutto il caldo temperamento latino esplode a quel grido. Scambio di saluti e relative presentazioni. I due compagni del «Canela» si presentano urlandoci i loro   nomi: Armando Aste e Franco Solina.  Al sentire questi nomi provo un certo stupore. Due dolomitisti puri sull’Eiger? Come è possibile? Conoscevo di fama i due scalatori, mai però avrei creduto di incontrarli in un ambiente così diverso dal loro abituale.

E’ uno strano posto questo per fare conoscenza; tutto sommato   però è il posto ideale per degli alpinisti che non si conoscono, presentarsi.

Alcuni metri sopra, loro, più sotto, noi, iniziamo una conversazione   scambiandoci domande e risposte varie:
— Come   mai anche voi sulla parete?

— Elle, sapete com’è, una volta o l’altra bisognava pur venire a vederla questa maledetta parete.

—    Cosa ne direste di legarci tutti insieme?

—   Per noi va bene, faremo   una cordata unica.

—   Molto bene. Salite noi vi   aspettiamo qui.

Romano mettendo subito in pratica la proposta, si attacca alla corda e velocemente li raggiunge. Sopra la fascia di rocce, possiamo trovarci tutti insieme e completare così le formalità delle presentazioni.

Sono circa le nove è l’ora del contatto radio. Dopo pochi secondi, la voce dell’invisibile amico giunge sino a noi portandoci   buone   notizie riguardo alle condizioni del tempo. Inoltre ci informa che giù, alla Kleine Scheidegg, vogliono sapere i nostri nomi. D’accordo con gli altri rispondo che non è necessario e ringraziando chiudo il contatto.

L’accordo circa il modo di procedere è presto raggiunto; noi passeremo in testa sul ghiaccio. Armando ed i suoi compagni tireranno su roccia. Salendo, gli amici ci informano che sono già stati costretti a fare due bivacchi causa le scariche; ieri hanno potuto fare poca strada perché ad un tratto sembrava che tutta la parete crollasse.

È subentrata una certa allegria nel gruppo e questo ci fa bene; ora con tutte le forze riunite siamo quasi sicuri di riuscire. Armando raccomanda    la massima prudenza – in omaggio alla sua e nostra teoria che è meglio un bivacco in più piuttosto che un alpinista in meno – Me lo immaginavo diverso Armando. Credevo che fosse uno di quegli spericolati scalatori che tutto rischiano anche l’inutile, ma devo ricredermi.    Armando è   un   uomo prudente e sicuro.   Le sue scalate, mi dice, sono tutte improntate sulla base della massima sicurezza. E così sono anche i suoi compagni   che l’hanno seguito sull’Eiger. Non potevamo   trovare dì meglio: con questi compagni si va in capo al mondo!

Questo   secondo nevaio è grandissimo. Prima lo si sale verticalmente per circa cinque   lunghezze di corda quindi si attraversa verso sinistra per quasi trecento metri: una faticaccia!

Gli scalatori che ci seguivano, ci hanno raggiunti grazie alla loro maggior velocità dovuta alle cordate di due, unito allo spericolato gioco di equilibrio sui ramponi.  Quando ci sono vicini, scopriamo che sono tedeschi, allegri e gioviali. Ci scambiamo le impressioni; aiutandoci con i gesti esse coincidono: questa parete uno schifo di roba!

Ci fermiamo per lasciarli passare. Per questa operazione perdiamo circa due ore; infine riprendiamo la traversata verso il «ferro da stiro».

Aggirato uno spuntone, saliamo verticalmente su lastre di ghiaccio vivo e rocce sulle quali scorrono allegramente dei veri torrenti d’acqua. Sono circa le quindici ed il bombardamento dall’alto aumenta d’intensità.

Decidiamo di fermarci.  Intanto   che Romano e Armando con gli amici sistemano   alla meglio il sito, io ne approfitto per attrezzare un tratto di via per domani.  Incido diversi scalini e fisso alcuni chiodi di sicurezza. L’acqua sta venendo giù a rovesci ed in pochi minuti sono bagnato fino alle ossa. Terminato il lavoro torno sui miei passi e mi sistemo con gli amici in quei pochi centimetri quadrati. Anche i tedeschi si sono fermati ad un centinaio di metri da noi  e ci salutano. Un  po’ in piedi, un po’ accovacciati, attendiamo con pazienza il trascorrere del tempo.  Siamo completamente bagnati, ma tutto sommato   ancora in gran forma e con il morale alto. I fornelletti a gas ci forniscono  le bevande calde ristoratrici. Io però sento un desiderio matto di un po’  di vino, ma mi devo accontentare del the che gli amici mi ammanniscono.

Le previsioni del tempo trasmesseci dalla radio, non sono più tanto buone; per domani sono previsti temporali. La pacchia è finita: domani si balia! La prospettiva del maltempo non ci scuote gran ché e continuiamo a dire delle facezie ed a canticchiare per ingannare il tempo.

Prima che scenda la notte Armando, seguendo una sua abitudine, recita il santo rosario.  Tutti noi lo seguiamo nelle preghiere che da   questa immensa cattedrale di pietra e ghiaccio salgono a Dio portandogli le nostre speranze di uscire indenni da questa orrida parete.

Martedì 14 agosto. Di fronte a noi, si sono schierate delle compatte formazioni di nubi.

Iniziamo la salita verso le sei del mattino.  Dopo aver traversato per circa cento metri verso sinistra in direzione del «ferro da stiro», saliamo verticalmente seguendo un diedro molto   aperto e quindi superiamo un piccolo strapiombo che ci permette di raggiungere una traversata orizzontale che ci porterà in cresta, allo sperone chiamato appunto «ferro da stiro».

I tedeschi, intanto, si sono mossi ed iniziano la traversata del terzo nevaio, scomparendo alla nostra vista. Il terreno su cui operiamo è   sempre difficile e pericoloso; le scariche di sassi ci danno il buongiorno iniziando la loro poco entusiasmante ballata.

Il tempo, dal canto suo, sta facendo tutti gli sforzi per mettersi al brutto con nostro comprensibile disappunto. Ora siamo riuniti tutti e sei sul ferro da stiro al famigerato «bivacco della morte» davanti a noi il «terzo nevaio» si presenta in tutta la sua imponenza. È un lastrone unico di ghiaccio nero percorso quasi ininterrottamente dalle scariche di sassi che provengono   dal nevaio superiore, il cosiddetto «ragno».  Verso il centro del nevaio, un piccolo dosso di ghiaccio ci pare l’unico punto risparmiato dalle scariche: unica isola in tutto questo orribile torrente di materiale   semovente.

Osserviamo i tedeschi che stanno  percorrendo letteralmente di corsa l’ultimo ti atto del nevaio per mettersi al sicuro sulle rocce della rampa.

Inizio la traversata incidendo alcune tacche, Romano mi segue a circa venti metri. Siamo troppo lenti.   Proseguendo in questo modo  dovremo stare troppo tempo sul nevaio e le pietre ci colpirebbero senz’altro. Dico a Romano di fare attenzione e poi, rischiando il tutto per tutto, continuo la traversata solo sulla punta dei ramponi il più velocemente possibile. Percorro in questo modo una trentina di metri e raggiungo, con un sospiro al sollievo, il piccolo sperone di ghiaccio al centro del nevaio. Qui, trovo un gradino scavato dai tedeschi, Pianto un chiodo e assicuro Romano  che mi raggiunge appiattendosi ogni tanto per evitare le pietre più grosse. Riparto subito per superare gli ultimi quaranta metri di traversata. Arrivo alle rocce con i sudori alla fronte; mi attacco saldamente ad esse, salgo ancora un paio di metri e finalmente mi assicuro ad un chiodo che posso piantare nell’unica fessura che ho trovato.  Gli amici seguono a passo di carica e poco dopo ci troviamo tutti sani e salvi alla base della «rampa». Ci concediamo una sosta   anche per trangugiare qualcosa di caldo, quindi riprendiamo a salire con    Armando in testa che finalmente può sfoggiare   tutta la sua classe su queste rocce libere dal ghiaccio e abbastanza solide.

Dopo cinque o sei tiri piacevoli, ci troviamo alla base della famosa cascata d’acqua. È un vero torrente che precipita da un camino alto una trentina di metri. Armando si butta sotto l’acqua con decisione sbuffando ed   imprecando. Noi lo seguiamo   utilizzando con disinvoltura la corda assicurata dall’alto ed in poco tempo siamo nuovamente riuniti sopra il camino. Ho una rabbia tremenda   addosso. Non bastano le scariche, le difficoltà, il maltempo che è già arrivato, no! Ci vuole anche l’acqua con il risultato che ora siamo letteralmente a   mollo e per giunta incomincia a nevischiare.  Inoltre non possiamo   proseguire perché le pietre inesorabili stanno precipitando anche qui, sulla «rampa» e ci impediscono di continuare la salita. Decidiamo di bivaccare e cerchiamo di sistemarti alla meglio.

Ormai la rabbia e passata e riusciamo persino a scherzare sulla nostra situazione umida. Dopo esserci strizzati un po’ di roba ci prepariamo la cena, Solita pancetta affumicata e solito intruglio che noi chiamiamo molto eufemisticamente the; ciononostante divoriamo tutto con discreto appetito e attendiamo con pazienza il trascorrere del   tempo. In verità non siamo molto comodi: chi in piedi, chi appeso agli anelli di corda; in fondo però, non ci possiamo lamentare. Siamo ancora tutti in perfetta forma.

Verso sera le nubi si sono date convegno qui sull’Eiger ed ora ci tengono compagnia. Il tuono rumoreggia lontano. La voce del nostro amico ci giunge molto gradita.  Si informa delle nostre condizioni di salute quindi ci comunica che il maltempo   è   ormai deciso e che giù alla Kleine sta piovendo a dirotto. Prima di interrompere il contatto, ci fa sentire la musichetta del bar e le voci delle cameriere che ci salutano.

Cosa volete di più dalla vita: siamo sulla parete più famosa delle Alpi, con buone probabilità di scalarla e prima di addormentarci, cullati dal tuono e dal fulmine, riceviamo la buona notte dalla bocca di vezzose fanciulle. Siamo senz’altro i più felici alpinisti di questo mondo. Ci perdoni Lamber che al sentire queste cose si sarà rivoltato almeno dieci volte nella tomba.

È notte e nevischia deciso.

Il temporale, dopo molte   insistenze, è venuto a farci visita ed ora sta sfoggiando tutto il suo repertorio musicale.  I fulmini illuminano coreograficamente   la scena. Io sono leggermente   preoccupato, per non dire che ho un po’ di fifa. — Sulla Nord del Cervino, un fulmine non trovò di meglio che percorrere la mia schiena lasciandomi mezzo tramortito —. Non vorrei che qui sull’Eiger mi capitasse di essere oggetto delle stesse attenzioni da parte di questi simpatici fulmini che ora scoppiettano vicino a noi.

Mercoledì 15 agosto: ferragosto! Tutto è livido e freddo attorno.

La gente, giù, si starà preparando alla merendina tradizionale. Noi, invece, stiamo per affrontare il quarto giorno di scalata, il quinto per Aste e compagni, sperando che sia l’ultimo.

Non nevica più ma il cielo è minaccioso.

A Romano   tocca l’onore di iniziare la salita dello strapiombo di ghiaccio. Le condizioni sono sempre pessime: ghiaccio vivo e rocce infide e scivolose. Le ore passano veloci e noi saliamo verso la tanto sospirata vetta dell’Eiger.

Superato lo strapiombo di ghiaccio, pieghiamo a destra verso la «traversata degli dei». Il primo che ha dato il nome a questa traversata, doveva essere un burlone.  Essa si svolge su di un terreno non difficile, ma estremamente pericoloso ed esposto. Un minimo errore e si piomba di sotto oltre gli strapiombi che danno sul terzo nevaio.

Siamo giunti alla base del «Ragno». La neve incomincia a cadere a larghe falde. L’ambiente che ci circonda è ridiventato grigio e ostile: non si vede più in là di un paio di metri. Dobbiamo fare in fretta, molto in fretta se non vogliamo essere sorpresi dalle slavine su questo «famigerato» nevaio. La pendenza non è eccessiva anzi, è senza dubbio minore degli altri nevai, però la neve è tremendamente infida e la nevicata, che ora ci sta allietando, non ci ispira molta fiducia. È strano ma  non siamo minimamente preoccupati; saliamo con scioltezza come se ci trovassimo su di una montagna a noi familiare. Tra la nebbia intravvediamo le prime rocce degli «Ausstiegsrisse» cioè le fessure di uscita.

In meno di due ore siamo tutti riuniti alla sommità, del «Ragno» e malgrado la doccia continua che ci innaffia abbondantemente, siamo intenzionati ad uscire in giornata.

Riprendiamo a salire lungo una serie di camini estremamente   scivolosi. Intanto il tempo   ha deciso di romperci le scatole definitivamente con tutto l’impegno possibile. Il paesaggio è natalizio e noi sembriamo tanti Babbi Natale con i nostri sacchi ripieni e coi nostri stracci rigidi e goffi. Non c’è possibilità di dubbio, questo è proprio maltempo!

Saliamo tutti insieme ognuno cercando la propria strada in questo letamaio di roccia e acqua. Non possiamo alzare gli occhi senza rimanere accecati dall’acqua e dalla tormenta che infuria: non c’è che dire è un bel ferragosto!

I tiri di corda si susseguono sempre impegnativi  e faticosi, sono circa le sedici e le speranze di uscire in giornata sono andate a farsi benedire. Non riusciamo più a vedere a due passi, dobbiamo assolutamente trovare un posto per bivaccare. Armando, con un fiuto degno di un cane da   tartufi, riesce a scovare un terrazzino inclinato. Con una manovra  un po’ complicata lo raggiunge e noi dietro di lui.

Come   posto, considerato che siamo sull’Eiger, non è male: siamo letteralmente sospesi sulla parete a circa milleseicento metri dalla base, e in piena tormenta. Roba da far morire di invidia i «Kamikaze» giapponesi.

Ci sistemiamo e facciamo un po’ di intruglio caldo. Io ho custodito gelosamente un boccettino di cognac e lo offro ai compagni con la segreta speranza   che non accettino, Solo Romano ha sentito e accoglie l’invito bevendone un sorso; senza attendere altre richieste, trangugio d’un fiato il cognac e poi, con gesto sconsolato, getto la bottiglietta giù dalla parete. È come se cadesse qualcosa di me; ora devo assolutamente essere in   punta domani   altrimenti senza il miraggio di quel cognac non so come andrà a finire. Mi perdonino i puristi della montagna, ma  dopo quattro giorni di Eiger quella bottiglietta aveva per me un grande valore. Si ha fatta notte. Armando scandisce le preghiere. Noi rispondiamo a monosillabi vincendo lo sforzo di muovere le labbra irrigidite dalla sete e dal gelo. Le portentose radioline ci portano la voce del nostro amico della Kleine che ci   comunica la sua apprensione per noi. Lo assicuriamo   che tutto funziona bene e che  domani senz’altro, saremo in punta.  Domani, il sesto giorno per Armando e compagni, il quinto per noi. Siamo a circa 150 metri dalla vetta; se il tempo non ci avesse bloccati, a quest’ora saremmo sulla via di discesa come i tedeschi che sono riusciti ad evitare la bufera sulla parete. È strano, una calma assoluta a subentrata in me. Con perfetta lucidità rivivo i punti più duri della salita analizzandoli dal punto di vista tecnico e oggettivo: sinceramente è una salita poco simpatica, ma molto interessante ed in certi tratti persino bella. Il freddo interrompe le mie considerazioni richiamandomi alla realtà del momento. Gli amici se ne stanno in silenzio cercando di riposare e di non scivolare troppo sul bordo del terrazzino.

Giovedì 16 agosto; fa un freddo «boia».

Uno spettacolo fantastico appare ai nostri occhi semiaperti. Tutte le rocce che ci circondano sono   coperte da uno spesso strato di ghiaccio.

Le corde che abbiamo   lasciate appese, sono diventate delle enormi   candele esteticamente belle ma inutilizzabili dal punto di vista pratico. Increduli ci guardiamo attorno: dove siamo? Qualche folletto burlone ha trasformato il nostro posto in un castello di vetro? Immobili osserviamo quell’orgia di ghiaccio che ci circonda. Noi dovremo salire su quelle rocce, non c’è via di scampo. Lentamente Il torpore della notte svanisce e subito ci rendiamo conto che dobbiamo  far presto per uscire da questa parete terribile.

Sono circa le sette del mattino ed il termometro segna 18° sotto zero. Il vento gelido ha spazzato le nubi ed ora domina incontrastato l’ambiente. Sotto di noi è tutto un ribollire di nuvolaglie gravide di pioggia, A Gildo spetta il gravoso compito di sbrogliare le corde. Con le mani nude lavora come un dannato e dopo un’ora buona di sforzi posso seguirlo.

Salendo verso di lui scatto alcune fotografie con la macchina che Armando mi ha passato, quindi inizio ad assicurare. Lentamente guadagniamo quota. Siamo giunti alla base del nevaio terminale.  A questo punto mi accorgo che la macchina fotografica non è più con me. Probabilmente si è rotto il cinturino cd è precipitata in basso. La montagna è muta testimone del mio sfogo di rabbia. Questo proprio non ci voleva; con la macchina sono andate perse tutte le fotografie scattate nella parte alta della parete. Armando accoglie la notizia con signorilità.

Acquistapace sta scalinando ora l’ultimo tratto di nevaio. Ecco, siamo in cresta! Lentamente ci avviamo verso la vetta che si presenta in pieno sole.

Alle 14 circa ci stringiamo le mani commossi in cima all’Eiger.

La N è sotto di noi finalmente scalata. Le ore terribili passate sulla parete ormai non esistono più; sono cancellate da questi attimi sublimi e indimenticabili.

L’Eiger è una montagna fantastica. Ci ha fatto provare la più grande gioia della nostra vita alpinistica. Ci ha fatti soffrire è vero, però ora ci dona tutto ciò che ha di più bello: il suo cielo, la sua vetta, la parete Nord.  La parete tanto sognata è nostra, ci è diventata familiare e non ci fa più paura. Armando, Franco, Piero, Romano, Gildo ecco i miei compagni, insieme abbiamo sofferto e lottato ed ora siamo felici.

Si, in coscienza, tutti noi eravamo preparati per la grande parete e se anche non ci fossimo incontrati le nostre cordate sarebbero state in grado di superarla. Però unendoci abbiamo acquistato una tale forza d’urto che ci ha permesso di affrontare le difficoltà con un margine di sicurezza notevole.

L’amicizia che ci ha legati sulla N dell’Eiger è stata più forte di tutti gli ostacoli incontrati per questo ora siamo qui. sulla vetta e ci guardiamo felici con un nodo alla gola. Armando inginocchiato sulla vetta prega per tutti i morti della parete.

«GLORIA TIBI DOMINE» le abbiamo scritte queste parole sul libro della vetta quale segno di ringraziamento verso Colui che tutto ci ha dato.

Stanchi ma non sfiniti. scendiamo dalla facile via normale. Sei giorni della nostra vita si è presa la parete: ne valeva la pena?  Sì.

Sei giorni fuori del tempo, avvinti da una forza superiore ad una natura selvaggia e primitiva che ci aveva affascinati. Il piacere della lotta, la gioia della conquista primordiale sulla   natura arcigna e crudele sono   troppo   fuori dalla mentalità standardizzata dei moderni benpensanti; ma noi non siamo andati sull’Eiger per questi scettici da strapazzo. Anche se la nostra conquista non è servita direttamente al progresso della società. è servita alla nostra perfezione interiore al nostro crescere spirituale che è in fondo ciò che fa dell’uomo un essere in evoluzione alla continua ricerca della sua dimensione e quindi gli insegnamenti e le esperienze tratte da una qualsiasi attività libera da schemi prefabbricati e svolta nell’ambito della natura, sono indirettamente valide ed utili a tutti gli altri.

Si! Per noi alpinisti sono stati i più bei giorni della nostra vita.
Andrea Mellano