C’ERA UNA VOLTA IL GAM (GRUPPO ALTA MONTAGNA)

Mi piace cominciare questa storia come iniziavano, un tempo, le fiabe che si raccontavano ai bambini.
… C’era una volta a Torino il GAM, glorioso Gruppo della Sezione UGET del Club Alpino Italiano. Era stato fondato nel 1946 e si spense nel 1981. Ricorrono perciò nel 2021 i quaranta anni dalla sua scomparsa …

CONNOTAZIONE SOCIALE DELL’ALPINISMO TORINESE PRIMA E DOPO LA GUERRA – LA NASCITA DEL G.A.M. 1946

L’alpinismo torinese di punta dell’anteguerra ha una collocazione medio borghese, i suoi esponenti principali sono: avvocati, ingegneri, professionisti, artisti, studiosi. La così detta “classe operaia” è quasi assente. Nell’immediato dopoguerra tale collocazione appare invertita, i giovani che dopo la morte di Gervasutti, rilanciano l’alpinismo torinese sono in prevalenza operai e hanno vissuto, da adolescenti, il dramma della guerra. Le loro disponibilità economiche sono scarse ed essi raggiungono le grandi montagne a prezzo di pesanti sacrifici.
Con l’obiettivo di unire e sostenere questi nuovi protagonisti nel 1946 nasce il GAM (Gruppo Alta Montagna) che, non a caso, trova origine nella sezione UGET che, tra le due sezioni torinesi, è quella dalla fisionomia più proletaria. Il GAM si propone di raccogliere gli scalatori con attività alpinistica rilevante al fine di promuovere la formazione di cordate in grado di affrontare le più difficili scalate dell’attualità.Nel 1960 veniva pubblicato il primo numero dell’annuario Liberi Cieli della sezione UGET. Scorrendo lo storico bollettino appare evidente che, sebbene edito a nome della Sezione tutta, era principalmente l’espressione di uno dei componenti dell’UGET: il Gruppo Alta Montagna. Il presidente del GAM, Guido Rossa, in una scarna ed essenziale prefazione così sintetizzava storia ed intendimenti del Gruppo:
<< Nel 1946, dopo l’oscura parentesi della guerra, un gruppo di giovani torinesi, tagliati fuori dalle vicende belliche, dalle grandi tradizioni dell’alpinismo torinese, muniti solo di un immenso bagaglio di progetti e speranze, unitamente al desiderio di diventare degli autentici “montagnards” decisero di riunire in una unica somma le nozioni ricavate dalle loro disunite attività alpinistiche.
Nacque così il GAM in seno alla Sezione UGET i cui intendimenti, benché modesti, furono linearmente chiari: creare un ambiente alpinistico di un certo valore nelle leve giovanili nel quale poter trovare il compagno di cordata per affrontare le difficoltà delle: “Grandes Courses”.
Ora il GAM conta 13 anni, pochi, ma sembrano tanti ripensando agli amici incontrati, ai bei ricordi acquisiti, alle ore felici e piene vissute grazie ad esso.
Il GAM ha servito in questo modo, nel limite delle sue possibilità, la causa della grande montagna e dell’evoluzione dell’alpinismo. Per questo i soci del GAM salutano chi divide con loro una passione che è scuola di vita >>.

Luciano Ghigo

Dalla sua fondazione, il Gruppo aveva avuto come presidenti: Salomone Giulio (1946-1949), Ghigo Luciano (1950-56), Mauro Giovanni (1957), Rossa Guido (1958-1960).
Il numero 5 di Liberi Cieli, anno 1970, apre con un articolo di Gian Piero Motti (Presidente in quel momento del GAM) dedicato al venticinquesimo anno di vita del Gruppo. Scrive Motti:

Andrea Mellano

1946: la guerra è appena finita, è ora di ricostruire, anche nell’alpinismo. I giovani alpinisti torinesi sono un po’ disorientati: i maestri Gervasutti e Boccalatte sono caduti in montagna lasciando un vuoto incolmabile. Altri “grandi” dell’epoca d’oro ormai vanno invecchiando e certo non hanno più la forza e la voglia di radunare le file ed adeguarsi ai nuovi criteri che stanno sorgendo. C’è una esigenza per contro di ritrovarsi, unirsi, di andare in montagna insieme, per conoscersi, per diventare amici e per portare altri ragazzi in montagna. Le scuole di alpinismo non avevano certo lo sviluppo che hanno oggi ed il Club Alpino Accademico aveva ancora quel livello un po’ aristocratico che lo ha sempre contraddistinto. I giovani torinesi erano ragazzi in gamba, ma non disponevano di mezzi, per lo più erano operai che potevano andare in montagna solo la domenica, in treno, in bicicletta, qualche volta anche a piedi, il campo di attività erano le “palestre” torinesi, la Parete dei Militi, le montagne piemontesi, il Corno Stella, la Castello Provenzale. Il Monte Bianco, le Dolomiti, erano obiettivi per lo più irraggiungibili
Così, grazie all’opera di Giulio Salomone, si viene creando un gruppo di amici che tutte le domeniche si trovano ad arrampicare insieme alla Rocca Sbarua, ai Denti di Cumiana o alla parete dei Militi. Nasce il gruppo Alta Montagna con caratteristiche esclusivamente torinesi, e subito si appoggia alla sezione UGET del CAI, di cui sarà sempre il suo punto di forza e di orgoglio.
Con il passare degli anni il Gruppo prende forza, carattere e consistenza e sotto la presidenza di Guido Rossa attraversa uno dei suoi periodi più brillanti. Ormai l’attività dei membri del Gruppo ha raggiunto un livello di tutto rispetto, sia nelle Alpi Occidentali che nelle Dolomiti. Grazie ad arrampicatori come Rossa anche il livello tecnico compie un notevole passo avanti, sia in arrampicata libera che in artificiale. E’ ancora grazie ad Andrea Mellano che il Gruppo può ampliare il suo raggio di azione e guardare senza timori alla “grandes courses” delle Alpi, demolendo i “tabu” che hanno inibito l’ambiente torinese…….
……Frattanto il GAM è andato via via ampliandosi. Ormai i suoi membri non sono solo più torinesi ma tra le sue file figurano alpinisti pinerolesi, biellesi, genovesi, ed anche milanesi……

Tre vecchi esponenti GAM Sant’Unione Manera Gogna

Il presidente del GAM: Gian Piero Motti e d il vicepresidente: Ugo Manera, per celebrare la ricorrenza, il 31 ottobre 1971, tracciano una nuova e difficile via sulla parete Est della Punta Figari nel gruppo Castello – Provenzale che chiamano appunto: Via del Venticinquennio GAM.
Il GAM non era un gruppo di “elite” confrontabile in sede nazionale al CAAI (Club Alpino Accademico Italiano) ma era una selezione di alpinisti attivi ad alto livello formante groppo nel quale, come scrive Rossa, trovare il compagno per affrontare le grandi salite. Il Gruppo Alta Montagna aveva un limitato numero di soci dovuto alla dinamicità di un preciso regolamento che disciplinava sia l’ingresso che la permanenza.
Il regolamento prevedeva che per ottenere l’ammissione occorresse, tramite le salite compiute, totalizzare 1000 punti in due anni di attività. Per la permanenza nel Gruppo era necessario, in ogni caso, presentare l’attività biennale che doveva raggiungere gli 800 punti. Chi raggiungeva i 5 anni di permanenza, e non svolgeva più una attività alpinistica rilevante, poteva rimanere nel Gruppo come socio onorario, senza diritto di voto. Il punteggio necessario per l’ammissione e la permanenza era ricavato attraverso una semplice e razionale valutazione delle salite tramite efficace metodologia comparativa. Il regolamento ed i criteri di ammissione e permanenza erano la forza del Gruppo, grazie allo stimolo all’azione ed al dinamismo che ne conseguiva.
Negli anni ’50 per i giovani raggiungere ed operare in “alta montagna” era un problema di difficile soluzione; ristrettezze economiche e scarsità dei mezzi di trasporto spesso diventavano difficoltà più impegnative di quelle incontrate in parete. Poteva capitare poi che l’impresa tanto desiderata non venisse neanche tentata perché mancava il compagno idoneo e pronto per la scalata desiderata.
Il GAM aveva come intento proprio quello di facilitare il contatto tra scalatori per formare delle cordate forti e determinate. Era, tra gli obiettivi del Gruppo, anche quello di fornire un piccolo aiuto finanziario ai soci attivi per l’acquisto di materiali di scalata.
Il Gruppo, grazie ai suoi intenti ed alla formula dinamica, rappresentava una entità ideale per i giovani di allora tanto che acquisì consensi e notorietà anche oltre i limiti regionali, troviamo infatti nel 1969 Alessandro Gogna come vice presidente.
Proprio Alessandro Gogna, sulla Rivista Mensile del CAI n° 6 del giugno 1970, dedica un lungo articolo al Gruppo Alta Montagna UGET ove tra i vari argomenti, si spinge a fare delle comparazioni con il Club Alpino Accademico Italiano (CAAI).
Relativamente a quest’ultimo scrive:

Gian Piero Motti

…….Un numero enorme di piemontesi va in montagna (il CAI è nato a Torino) e tutti hanno una fondamentale caratteristica: sono particolarmente avversi ad ogni forma di esibizionismo e di pubblicità.
Ma come mai l’Accademico è stato fondato a Torino?
Oggi il distacco è avvertito molto meno, ma a quei tempi, e parlo di 65 anni fa, fra alpinismo senza guida e alpinismo con guida c’era un abisso. E i senza guida che, almeno da noi, si contavano pressappoco sulle dita, apparivano addirittura dei giovani arrabbiati, dei ribelli, dei rivoluzionari, teste calde, fuorilegge, pazzi
Esibizionisti.
Ma quando, il 5 aprile 1904, il CAAI fu fondato, in Torino da 16 alpinisti in maggioranza piemontesi non c’era nessuna mentalità di “elite”. ….
…… Guardiamo oggi l’Accademico, trasformato, ovviamente dagli anni e dagli uomini. Non voglio cadere in facili critiche, non voglio, dimostrabili, ne pregi ne difetti. Voglio solo dire: dei due scopi esposti nell’articolo 1 dello statuto di fondazione, non uno oggi ha ancora senso.
<<Affiatare i soci tra di loro>>. Credo che oggi le conoscenze e le amicizie si facciano in altro modo. Se si va ad una assemblea generale dei soci si ritorna a casa con lo stesso numero di amici che si aveva prima.
<<Formare la sicura coscienza e l’abilità indispensabile a chi percorre i monti senza aiuto di guide>>. Per questo ci sono le scuole di alpinismo, che spesso sono organizzate da accademici, però il CAAI non agisce in questo senso ufficialmente. E allora? E’ evidente che l’organismo si è trasformato, e ha assunto necessariamente forma e sostanza di un gruppo scelto. Ed è logico che sia stato così. …….
….. I piemontesi sono gente pratica, lo ripeto, Appena nato il GAM funziona subito egregiamente e senza chiasso, gli uomini che lo compongono non fanno troppo rumore, ma soprattutto le montagne che salgono non lo sopportano. Sono montagne tristi. Grandi imprese si compiono. Quasi sempre l’uomo vince: a volte torna indietro in un sacco, e allora le montagne piemontesi si trasformano e sembra che piangano un amico scomparso. ……
…… Sono stato fiero di appartenere al GAM quando, tornato con Leo Cerutti dall’invernale al Gran Capucin, dopo 3 giorni di lotta, sono entrato nel rifugio Torino e ho incontrato due amici: il giornalista Emanuele Cassarà, che ci corre incontro abbracciandoci ed il fortissimo quanto modesto Giorgio Griva, di Pinerolo, socio del GAM. Non ci abbraccia, ma ci aiuta a togliere gli scarponi e i sovrapantaloni, in silenzio. ……..

Lino Fornelli

Nel momento di massima fortuna del GAM si pensò anche di intervenire sulla formazione alpinistica ad alto livello organizzando, nel 1965, un corso di perfezionamento per alpinisti già esperti. Il corso venne però funestato dall’incidente mortale del pinerolese Raffi sul Corno Stella e l’iniziativa morì sul nascere.
Oltre ad altri incontri programmati, il GAM si riuniva ufficialmente una volta all’anno in assemblea generale per l’ammissione dei nuovi soci, il rinnovo delle cariche ed il programma delle attività. L’incontro avveniva al ristorante: la Gran Baita di Savigliano di proprietà di Lino Andreotti presidente dell’UGET. Era sempre un incontro molto allegro ove si creavano nuove amicizie e spesso nascevano progetti per grandi ascensioni. Quanti personaggi che non conoscevo ho incontrato nelle allegre riunioni del GAM. Per citarne qualcheduno: Giorgio Griva, “Miclin” Ghirardi, Annelise Rochat, Angelo Ursela, Gianni Comino…..
Sul riflesso di idee maturate nel ’68 e negli anni successivi, l’ammissione al Gruppo legata ad una formula matematica apparve come una limitazione alla maturità ed all’auto determinazione dell’uomo moderno. Qualcheduno cominciò a sostenere che legare l’ingresso di nuovi soci e la permanenza degli stessi ad un punteggio non aveva più senso quando persino nelle università si pretendeva il voto “politico”. I vecchi punteggi vennero eliminati lasciando solo il giudizio morale dei soci per valutare i nuovi ingressi. Fu questa decisione l’inizio della fine del GAM. Veniva tolta al Gruppo la sua caratteristica principale basata su stimolo all’azione e dinamicità. Qualche anno dopo, quando il Gruppo Alta Montagna era ormai agonizzante, ci fu un tentativo di reintrodurre il punteggio di ingresso ma il declino era ormai irreversibile, l’interesse tra gli scalatori attivi per il GAM si era ormai perso ed il Gruppo concluse la sua vita nel 1981.
Ugo Manera

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