Angelo Abrate e Renato Chabod : alpinisti accademici e formidabili pittori di montagne

A fine gennaio avevamo parlato di Matteo Olivero, che sente e riproduce le sensazioni della montagna come solo un vero valligiano, figlio dei monti, sa fare. Capace di tecnica e di fortissima ispirazione, senza retorica, puro e diretto , è inondato di sensazioni che riesce a trasmettere. Impresa che riesce a pochi pittori di montagna tra i quali vorrei indicarvi due ottimi alpinisti, entrambi accademici del gruppo occidentale: Angelo Abrate e Renato Chabod .

“ Dente del Gigante e Grandes   Jorasses “

Ange, come lo chiamavano gli amici, nasce a Torino nel 1900.  Operaio specializzato, lavora in un’officina metallurgica , conosce i tre fratelli Ravelli con cui condivide la passione per la montagna.  Si forgia i chiodi da solo e diventa un buon alpinista. Ancor giovanissimo nel 1923 entra nel Club Accademico Italiano e tre anni dopo nel prestigioso GHM francese. Durante le ascensioni ha il vizio di fermarsi per fissare su di una piccola tela le magiche impressioni di quei momenti mentre i compagni di cordata sbuffano impazienti. In modo un po’ canzonatorio viene definito colui che vorrebbe essere l’emulo di Segantini. Ma da buon piemontese duro ed ostinato non molla e spesso va da solo in alta montagna dove trova il silenzio, l’ispirazione e la fantastica luce delle altezze . Passa ore ed ore a dipingere dal vero a quote superiori ai 3.000 metri, magari appoggiato ad una roccia che emerge dal ghiaccio o seduto sullo zaino in mezzo ai crepacci.  Da vero alpinista sente e riproduce la vera montagna. Non si preoccupa per le difficili condizioni climatiche perché solo così riesce a cogliere, con formidabile realtà, la luce d’alta quota. A questo punto calza perfettamente come recita Brad Pitt, nei panni dell’alpinista austriaco Heinrich Harrer ( 1912-2006), nel film Sette anni in Tibet : ” Delle montagne mi piace l’assoluta semplicità. Quando sei in scalata la tua mente è sgombra, libera da qualsiasi confusione : sei concentrato e , ad un tratto , la luce diventa più che nitida , i suoni sono più ricchi e tu sei invaso dalla profonda , potente , presenza della vita “. Angelo Abrate è un “pittore d’alta quota“, dove si realizza una diversa percezione sensoriale  che permette di cogliere quella particolare gradazione di luce , quella pétillante lumière della neve . Come giustamente scrive Leonardo Acerbi: “Si chiama sensibilità per la luce, quella sensibilità che la critica gli ha sempre riconosciuto accostandolo, non a caso a più riprese , ai grandi maestri del divisionismo che hanno fatto della resa luministica il punctum della loro pittura “.

“ Monte Bianco visto dalle baite innevate sopra Les Houches “

Nel 1920 a Sauze d’Oulx conosce Cesare Maggi  , maestro famoso per i manti nevosi . Li accomuna un forte realismo  ed un certo “ veder fotografico “ . Ange lo frequenta e lo ammira  , ma non si fa influenzare più di tanto , resterà sempre “furiosamente autodidatta”con abili spatolate materiche e ricche di luce . Intorno agli anni 40 la sua pittura diventerà più leggera , meno materica , meno contrastata , più di getto . Negli anni 80 andai con Dino Rabbi a trovarlo a Sallanches dove si era stabilito fin dal 1933 e interrogato in proposito , mentre ci godevamo un delizioso kir au framboise in un caffè di Cordon ,  mi confessò che con gli anni quelle belle e magiche spatolate d’un tempo non gli riuscivano più . Io sono rimasto innamorato di questo primo fantastico periodo di pittura dal vero in alta quota. Non in uno studio ispirandosi magari ad una fotografia, o dalla terrazza di un confortevole hotel alpino , ma con passamontagna, thermos e sciarpe seduto sul ghiaccio .

J.Boudin nel 1954 scriveva : ”Lui vede la montagna da alpinista prima di dipingerla come pittore e trasmette nelle sue tele questa visione con finezza di tocco veramente magistrale . Eccelle nelle dolci tonalità della neve , nei cieli tempestosi…..si sente la purezza dell’aria e la limpidezza della luce : dalle sue tele si sprigiona un silenzio solenne”.

Lasciò Torino nel 1927 per trasferirsi a Courmayeur,Sallanches, Svizzera, Valle d’Aosta, sempre ai piedi del suo Monte Bianco dove trascorrerà tutta la sua esistenza. Non a caso venne chiamato le peintre du Mont Blanc . Gentile e sensibile aveva modi un po’ ironici e misteriosi . Con l’editore Arthaud pubblica un bel romanzo molto autobiografico dal titolo “La dernière toile “ ( curioso l’incontro durante la guerra con i soldati tedeschi .Teme qualcosa di grave , in realtà volevano solo un suo dipinto e tra di loro riconosce il grande alpinista Heckmair vincitore della Nord dell’Eiger ). Dal 1985  riposa nel piccolo cimitero di Sallanches.   

Renato Chabod è indubbiamente un personaggio eclettico : avvocato , politico , alpinista , scrittore , pittore , senatore ( fino alla carica di vice-presidente del Senato ), magistrato , sindaco di Courmayeur , presidente generale del CAI , presidente del CAAI 75-79……..Nato ad Aosta nel 1909 , di carattere pragmatico e positivo , decisionista e risolutore , si laurea in giurisprudenza con una tesi su “ Questioni giuridiche in tema di Alpinismo”. Tutta una vita al servizio della montagna e della sua gente . Il vallone del Nampio con i bellissimi laghi di Djouan , sopra il paesino di Degioz in Valsavaranche è il suo punto focale . Da qui , dove si è costruito un piccolo rifugio , può ammirare un magico e straordinario tramonto sul suo  Gran Paradiso .  Soggetto che si ripeterà molte volte ed in diverse prospettive nei suoi quadri . Se Abrate è il pittore del Monte Bianco , Chabod è senz’altro il pittore del Gran Paradiso . Tra il 1926 ed il 1935 in compagnia di Crétier , Boccalatte , Gervasutti realizza splendide prime ascensioni ; nel luglio 1935 , dopo la seconda salita insieme al “fortissimo”alla punta Croz della Nord delle Grandes Jorasses , dove sono stati preceduti d’un soffio dai tedeschi Peters e Maier , deve prendersi un periodo di forzato riposo. E’ l’occasione giusta per rielaborare i ricordi e le sensazioni di questi anni di grande alpinismo trasferendoli sulla tela con virili e vigorose pennellate  che ben rappresentano il suo carattere di montanaro valligiano . Qualcuno ha giustamente scritto che”la pittura di Chabod è la prosecuzione dell’alpinismo con altre tecniche “. Uno stile unico ed originale , essenziale ed asciutto che ha ereditato dai tanti schizzi fatti per illustrare i tracciati alpinistici sulle Guide dei Monti d’Italia del Monte Bianco e del Gran Paradiso da lui curate.

Diedri , pareti , creste sono sviscerate dall’occhio dell’alpinista che scompone ogni struttura alla ricerca della migliore  via possibile . Brandisce il pennello come fosse una piccozza con cui scolpisce le pareti ed i ghiacciai . Tagli netti e decisi di rocce , di luce . I suoi quadri con poco cielo e tanta montagna sono sculture Titaniche dove non appare mai essere vivente . L’alpinista è concentrato sul passaggio , non può distrarsi . C’è solo lui ed il mondo minerale che lo circonda . Sulla Gazzetta del Popolo del 1974 Luigi Carluccio  scrive : ” C’è qualcosa di sacro nel sentimento che guida Chabod a dipingere le sue montagne  ;  che fa diventare le montagne un mito “. Ci fa sentire chiaramente che l’Alpinismo è ben di più uno sport , piuttosto è una forma di profonda conoscenza di noi stessi in rapporto alla natura che ci circonda, è uno stile , una filosofia di vita che ci accompagnerà per tutta l’esistenza .

“ Pavillon e cresta di Jetoula “ di Renato Chabod

Nel 1980 , 45 anni dopo la salita di Gervasutti e Chabod alla Croz , Rabbi ed io riuscimmo con ben due bivacchi ( attaccavamo alle 16 per la poesia del bivacco e per entrare in sintonia con la parete) a fare la prima ripetizione italiana dopo di loro . Se dopo il Pilone Nord del Freney eravamo andati a trovare l’ing .Paolo Bollini compagno di Gervasutti nell’impresa , questa volta ci parve giusto andare ad Ivrea a  far visita a Chabod. Fu gentilissimo e dopo averci raccontato episodi curiosi della loro avventurosa salita , non potè rifiutarsi di darmi un suo quadro con la Nord delle Jorasses con dedica personale . Negli anni a seguire tornai altre due volte a trovarlo ad Ivrea e così oggi grazie a quella salita penso di essere uno dei pochi ad avere tre sue opere considerando che la famiglia le ha gelosamente custodite quasi tutte .

“La cima di Entrelor” è l’affascinante libro autobiografico della sua vita alpinistica. “Montagnes Valdotaines”e “ Camerade  prend  ton verre “sono egregiamente illustrati dai suoi dipinti. Nel 1990 ci ha lasciati . Resta vivo il ricordo di un grande Uomo .

Roberto Bianco
CAAI gruppo occidentale

Lascia un commento