Samotraki

In questo periodo meteorologicamente bizzarro, in cui nelle nostre vallate latita la neve, nelle isole greche dell’Egeo si sono avute copiose nevicate. E’ così che l’amico Lorenzo si è ricordato di una sua salita sulla montagna di Samotraki o Samotracia che dir si voglia. La montagna era ricoperta di neve, dalle spiagge sino ai 1600 metri della cima più alta dell’isola. Quindi a preso carta e penna (ops … si è incollato al PC) ed ha scritto questo breve e bellissimo racconto ….

“Seconda stella a destra
questo è il cammino
e poi dritto fino al mattino;
poi la strada la trovi da te
fino all’isola che non c’è.”

Altro che isola, quello era un iceberg, il più grande iceberg che avessi mai visto, pezzo di Groenlandia emigrato nell’ Egeo, isola nella corrente. Non credevamo ai nostri occhi, quando ci apparve Samotraki tutta incappucciata di neve da capo a piedi; vada per il capo, che sta su oltre i milleseicento metri, ma i piedi … Neve sulla riva del mare: proprio non ce l’aspettavamo. E poi questo clima, freddo tagliente che ti entra in corpo e ti accompagna anche quando scendi sul porto e ti dai da fare per trovare ospitalità in una stagione dove tutto è chiuso e sembra che la stereotipa estate delle isole greche sia solo una pura fantasia.Samotraki è l’isola dove fu trovata la famosa statuetta della Nike, la Vittoria, che a scanso di equivoci si dice “Nike” e non naik, come vogliono far intendere gli accaparratori indebiti di marchi, ché, se questi non son capaci a leggere come si scrive, se la scrivano come son capaci a leggerla … per la pubblicità poi! e lascino stare i greci e i santi. Statuetta a parte, che se uno vuole se la può rimirare al Louvre a Parigi, Samotraki è un’isola con un’unica montagna, anzi è una montagna-isola. La montagna si chiama Fengari ed è alta 1611 metri; escluse le montagne di Creta è la cima più alta dell’Egeo. La mitologia narra che dalla sua sommità Poseidone assistesse alle vicende dell’assedio di Troia, un po’ come stare nella tribuna d’onore e tifare con moderazione senza accapigliarsi con dee e dei più bellicosi.
Michele ed io eravamo reduci dal bellissimo e stupefacente periplo della penisola del Monte Athos, coi suoi meravigliosi, affascinanti ed imponenti monasteri, Del Monte Athos (Agion Oros), monte altissimo e proteso sul mare, ne avevamo effettuato la salita. Avevamo ancora un po’ di tempo prima del ritorno in Italia. Decidemmo dunque di visitare isole a noi ancora ignote. La scelta cadde su Samotraki in quanto isola decisamente montuosa e soprattutto fuori dalle rotte delle altre isole egee, sita com’è nell’angolo nord-orientale di quest’altro mare mediterraneo. In autobus raggiungemmo Kavala, città di mare della Macedonia Orientale e punto di imbarco per Samotraki. Il clima novembrino, era decisamente freddo e venti gelidi imperversano aumentando notevolmente la percezione del freddo. Nell’attesa dell’imbarco ci riparammo in uno di quei tipici caffè greci dove una delle attività che fervono maggiormente è il gioco della tabla, meglio conosciuto come backgammon. Ci ingaggiammo anche noi con alcuni avventori, ingurgitando tazze di caffè, che qui in Grecia lo chiamano greco ed in Turchia turco, tanto per far capire che proprio d’accordo i due paesi non vanno. In una partita mi sortì un filotto di doppi sei e doppi cinque che fece strabuzzare gli occhi ai nostri avversari, quasi avessimo truccato i dadi.
Lasciammo la compagnia, un po’ meno allegra, per imbarcarci sul traghetto nel primo pomeriggio. Fu prima che arrivasse l’oscurità che ci fu l’apparizione dell’isola innevata. Sbarcammo al porticciolo imbiancato. Non ci furono grossi problemi nel trovare una sistemazione: una bimba ci condusse a casa della sua famiglia, che ci offrì una sistemazione più che dignitosa ed economica. Il mattino successivo ci incamminammo verso la montagna. Un po’ di neve si era già dileguata ai piani bassi ma dai 200 metri in su la calpestammo e man mano che salivamo diveniva più profonda. Caratteristica della prima parte furono boschi di faggi intercalati da castani perlomeno centenari. Ben presto la neve la fece da padrone e i centimetri aumentavano con l’altezza fino a raggiungere un buon mezzo metro.
Tra il divertente e lo stupito, lasciammo le nostre impronte effimere lungo una traccia di sentiero che era da interpretare. La vegetazione intanto si rarefaceva lasciando posto a pietraie che, coperte di neve, resero solo un po’ più malagevole il procedere. Già pregustavamo ampi orizzonti marini, che già si palesavano mentre salivamo, quando una nuvolaglia incominciò ad accaparrarsi costoni e valloni, inibendoci la vista panoramica, lasciandoci l’immaginazione di un Poseidone un po’ dispettoso e sornione assiso sulla cima del monte a guardarci arrancare. La cima la raggiungemmo stando in una nebbia dorata e seguendo alcuni ometti e strani manufatti posti sui cocuzzoli della cresta sommitale. Ci fermammo là dove cielo e nubi si mischiavano e dove qualche sprazzo di sereno faceva apparire scorci di fianchi impervi. Non ci rettò che tornare lungo i milleseicento metri di discesa fino al mare, nei pressi delle vestigia di una civiltà della quale ci sentivamo in qualche modo eredi.
Lorenzo Barbiè

 

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