La Grave, paradiso dello sci di discesa

di Carlo Crovella

Chi mi conosce sa che detesto lo sci di pista. Anzi, chi mi conosce sa che adoro sciare con l’utilizzo degli impianti: mille discese al giorno!

Ma come è possibile questa contraddizione, apparentemente insanabile?

Perché quello che NON mi piace più, oggi come oggi, non è lo sci di pista, ma il mondo da Circo Barnum che si è costruito intorno allo sci di pista.

Tanto per caprici: le cose strane in che il “mondo” di oggi richiede in vacanza e che, di converso, sono proposte per opportunità commerciali: apericena al tramonto, saloni di bellezza, idromassaggio a bordo neve, discoteche e chi più ne ha più ne metta

Sciare è invece una delle passioni più intense della mia esistenza. Sicuramente più dell’arrampicata, che pure mi piace molto e mi ha “preso” in molti periodi della mia vita.

Quando dico “sciare”, intendo scendere con gli sci, non vagare con gli assi su e giù per le montagne innevate: quest’ultima attività (scialpinismo) è un’altra “cosa” ancora e, forse forse, mi è perfino più congeniale, ma non c’entra con la discesa in sci in senso stretto.

Qui si parla di sci, di discese in sci. Lo sci è qualcosa che mi ha sempre “preso” profondamente, fin da ragazzino.

E’ un gioco molto sofisticato, un equilibrio labile e costantemente messo in discussione: non farsi travolgere dalla velocità incontrollata, ma controllare la sciata anche se ad alta velocità.

C’è un sottile discrimine fra i due concetti: da un lato andar giù rischiando di ruzzolare con la neve che si infila fin nel collo oppure, dall’altro, saper fare, in ogni istante, la curva ideale che ti blocca perfettamente.

Sciare anche ad alta velocità, ma avere sempre il controllo della situazione: questo è quello che mi piace davvero.

Forse non solo nello sci ma nell’intera esistenza: anche nella spicciola quotidianità, metaforicamente parlando, io non galoppo a pelo su puledri selvaggi, ma sto a cassetta della diligenza e tengo ben salde le redini in mano.

Vi sono quindi due approcci allo sci, entrambi legittimi sul piano ideologico, anche se io mi schiero esplicitamente per il secondo.

Entrambi consentono di godere al massimo della montagna innevata. Però godiamo di questa, dimenticandoci di jacuzzi e spritz al tramonto.

Ho avuto la fortuna di iniziare a sciare quando il mondo dello sci di pista non era ancora così “circense” come oggi: parliamo degli anni ’60 e ’70. Seguendo come un cagnolino i miei genitori, ho conosciuto i grandi comprensori sciistici delle Alpi, austriaci, svizzeri e francesi, oltre che battere palmo a palmo le piste e, soprattutto, i fuoripista delle nostre valli nordoccidentali.

Il mio luogo del cuore con gli sci? La Grave, in Oisans, sotto la parete Nord della Meije. Per me è il tempio dello sci: una lunga funivia, oggi snodata in più tronconi e con cabinovie più piccole, conduce in alto sul ghiacciaio.

Su questo ghiacciaio, in tempi abbastanza recenti hanno aggiunto una ski-lift che porta fino in vetta al Dome de la Lauze, 3564 m. Panorama garantito da questa cima, ma una scialpinistica in meno per gli appassionati…

A La Grave il bello dello sci, però, è dall’arrivo della funivia in giù. Tracciati alla francese, in genere poco rimaneggiati, spesso neppure battuti (anche per la pendenza, non da poco). Roba da appassionati dello sci un po’ vintage.

C’è poi chi si avventura in percorsi diversi e più impegnativi rispetto a quelli prossimi alla funivia: ottime sciate, ma spesso richiedono molta esperienza di montagna, sia per le insidie nevose sia perché transitano per alcuni ghiacciai. I percorsi classici sono già così belli ed emozionanti che spesso non ha senso andare a cercarsi rogne pià in là.

A La Grave scia da inizio dicembre a metà maggio (sul ghiacciaio superiore), spesso in farina abbondante. Il ghiacciaio dello ski-lift offre un ambiente emozionante, ma in genere non pericoloso: anche qui chi si allontana troppo dai percorsi segnalati potrebbe però trovarsi in zone crepacciate…

Sotto l’arrivo della funivia, in genere, si scia bene fino a Pasqua che, anzi, per me è il momento migliore per questo luogo: si trova firn cotto a puntino, ma solo se si è disposti ad alzarsi presto e interrompere al massimo nel primo pomeriggio.

A quel punto meglio stendersi al sole, su una ruvida roccia a bordo pista e ammirare i ghiacciai e le vette circostanti.

Invece di approfittare della nuovelle cuisine di una elegante sala ristorante, io mi sento più a mio agio se mangio un boccone guardando le pereti impervie. Mi porto dietro un tozzo di pane rustico, un po’ di speck e di toma e una borraccetta, magari con del rosso “come si deve”…

La “prodigiosa” Meije, come la chiamava Rébuffat, veglia dall’alto come una chioccia affettuosa ma un po’ burbera: sapremo meritarci sempre la sua approvazione?

Dipende da noi.

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