Di quell’ultima volta che andammo a vedere il plenilunio!

Il rifugio Arp d’estate è il punto di partenza per le escursioni verso le punte e gli innumerevoli laghi circostanti.  In inverno meta di sciatori e ciaspolatori ripaga la fatica della salita con la vista dall’alto, nel vallone di Palasinaz, su tutte le montagne della alta val d’Ayas.   Il plenilunio del fine settimana di febbraio, ci aiuterà a camminare nella vastità della notte illuminando i passi sulla neve. I laghi innevati di Valfredda e/o il lago della Battaglia saranno la meta della mattina successiva.

Il nostro rifugio Guido Rey era la meta ed avremmo dovuto dormire in tenda nella notte del plenilunio di febbraio.  Che non fosse l’anno dei migliori lo dovevamo capire dal fatto che il Rey era chiuso e della notte in tenda non se ne parlò proprio. Il plenilunio però sarebbe giunto ugualmente ed il fascino di una camminata notturna al chiaro di luna non potevamo mancarla. Condizioni meteo permettendo. Il meteo fu clemente e la escursione notturna si fece.

Lasciammo le macchine parcheggiate nella piazzetta adiacente la chiesa di San Grato (1713 d.c.) in località Croix. Poche case, un albergo ristorante che non ho mai visto aperto ed una fontana. Avremmo potuto parcheggiare qualche tornante più in alto. Sarebbe stato più comodo scendere dalla autovettura ed indossate le ciaspole partire. La località poco oltre è una nota stazione sciistica della zona.  Meta turistica conosciuta e frequentata dagli amanti dello sci da impianto di risalita.  Non è per evitare l’affollamento e nemmeno per evitare gli impianti che abbiamo parcheggiato un po’ distante, bensì per frequentare la montagna in modo di diverso. Per dirla con altre parole per non arrivare fin dentro il rifugio con la macchina.  Da anni da queste parti, in valle d’Ayas, il CAI al fianco di altre associazioni è impegnato ad evitare che il vallone delle Cime Bianche diventi l’ennesima zona ad alto sfruttamento turistico.  Un piccolo gesto il nostro. La meta non è la cima ma il cammino per arrivarvi prima e per tornare a valle dopo.

photo Enrico Muraro

Qualcuno brontolò. Ma sei sicuro ci sia la neve? Saliremo mica con le ciaspole nello zaino? La neve la trovammo ed anche tanta. Potemmo soddisfare la voglia di affondare nella neve scendendo qualche ripido pendio sotto la Punta Palasina. Questo però il giorno dopo.  Ora mentre il giorno stava per volgere al termine nessuno poteva ancora saperlo. Il nostro appuntamento per la serata era con altro. Un appuntamento che sarebbe potuto anche saltare. A volte basta pochissimo perché un appuntamento tanto atteso sfumi nel nulla.  Sarebbe bastata un nuvola. Dovevamo affrettare un po’ il passo. Alle cinque del pomeriggio c’è ancora luce nel mese di febbraio ma siamo ancora in inverno e noi saremmo dovuti arrivare puntuali all’appuntamento nei pressi del borgo di Chavanne prima di incamminarci sotto i pericolosi pendii valanghivi del mont Bieteron.

Risalimmo i declivi di neve fradicia che lambivano i bordi estremi del  “bois de Carlo” meno noto del “bois de Estoul” ma insieme al “bois de la Manda” lo supera in estensione.  Da una settimana le elevate temperature avevano fatto arretrare le linee immaginarie che segnano il confine tra il mondo della neve ed i prati gialli di primavera.  Ci avventurammo tra gli alberi zigzagando qua e là per non impantanare le lame delle ciaspole nel terreno molliccio e fangoso. Fu in quel mentre, che lasciando alle spalle gli impianti di risalita e con loro gli enormi gatti delle nevi che spianavano le piste per i gitanti del giorno successivo, entrammo finalmente nel mondo incantato della montagna.  Gli alberi ancora nascondevano le cime innevate e lo sguardo non poteva infrangersi contro le murate pareti di roccia e ghiaccio. Il gruppo si allungò.  Non c’era alcun pericolo. Continuammo così.  Dopo un po’ la prima casa. L’ultima se la si osserva dalla parte opposta della borgata. Un pino solitario sul pianoro usciti dal bosco. Tutto intorno l’oscurità della sera che avanzava quando finalmente lontano il rifugio si presentò difficile alla nostra vista.  Una minuscola macchia grigia sopra uno sperone di roccia dello stesso colore. Il tempo di attendere l’arrivo di tutto il gruppo e l’oscurità la inghiottì.  Fu buio.  L’unico attimo buio della sera.  Accendemmo le pile frontali.

photo Enrico Muraro

Ora la neve non mancava sotto i nostri piedi. Nella oscurità trovare la traccia non fu facile. Chi di noi ne era munito accese anche un led rosso. Chi sullo zaino, chi al posto della luce frontale. Serviva ad indicare un punto certo a chi era un po’ indietro o forse solamente era un vezzo di colore nel buio. Intanto si era fatta l’ora dell’appuntamento e puntuale la luna comparve ai nostri occhi.  Era riluttante a mostrarsi.  Scomparve pressoché subito. Non era pronta. O forse non eravamo pronti noi. Si nascose e noi non ci sottraemmo al suo gioco.  Il sentiero ora scendeva leggermente per poi spianare passando sotto il lago Literan.  Una serie di frane nevose erano su quella che in altra stagione sarebbe stato il sentiero. Ora innevato era una unica piana con l’ambiente circostante. Su una frana passammo sopra e sull’altra ci girammo intorno. Passammo veloci, per quanto fosse possibile, quel tratto fino a giungere al “grand torrent” completamente sommerso dalla neve. Era il punto sicuro dal quale dipartono i sentieri che salgono al rifugio Arp. Ci ricompattammo nuovamente. Faceva freddo. Indossammo il guscio.  In silenzio passo dopo passo nella neve ghiacciata incominciammo a salire.

photo Enrico Muraro

Penso che fu allora, ma non ricordo esattamente, che tutti o quasi tutti spegnemmo la luce della pila frontale. Non era più necessaria. La luna nella sua bellezza si mostrò e noi con lei al chiaro della sua luce salimmo la montagna. Alcuni tentarono una fotografia. Altri si accontentarono si serbarne il ricordo.  La sua luce illuminava la neve. E la traccia che fino a poco prima era una vaga increspatura della neve ora era una strada chiara dinnanzi a noi. Impossibile perdersi.  Sale, poi il sentiero ripiega verso valle, risale lasciando un avvallamento alla nostra sinistra, ripiega sulla parte opposta, sale e dall’alto si intravede nella oscurità in lontananza un alpeggio. Passammo oltre e superammo un avvallamento. L’incanto fu totale. La fatica, la neve, il buio e la luna. I pensieri.  Un ultimo sforzo e saremmo arrivati. Rimaneva da superare il tratto ghiacciato. Forse un po’ ripido per percorrerlo di notte. Ma …

photo Enrico Muraro

Fu allora che Claude Debussy si sedette. Si guardo attorno. Ci vide silenti ed impauriti ed iniziò a sfiorare i tasti del pianoforte.  Dapprima una nota, due, un suono, una melodia: “seranade clair de lune”.  La luna si mostrò in tutta la sua bellezza contenta di noi. Ci illuminò. Ci salutò sorridente.

Giungemmo infine.

Poi venne la cena, l’allegria, il riposo ed il magnifico spettacolo del vallone di Palasinaz innevato la mattina successiva.

photo Enrico Muraro

Il mondo sotto di noi nel frattempo stava cambiando a nostra insaputa. Lo scoprimmo pochi giorni dopo il rientro. Il plenilunio di febbraio del 2020 non lo scorderò.

Emilio Botto – Commissione Gite Escursionismo CAI UGET Torino
8-9 febbraio 2020

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