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Dolomieu, geologo esploratore
Dal GognaBlog dell’amico Alessandro un bell’articolo di Carlo Crovella
Quelle montagne dalle caratteristiche molto particolari, incardinate fra Trentino, Veneto ed Alto Adige, si sono conquistate, nel tempo, diversi appellativi: Monti Pallidi, Giardino di Rose, “paracarri” (durante la polemica fra occidentalisti e orientalisti).
Il loro nome ufficiale è Dolomiti, in onore del geologo francese che identificò per primo la roccia che le compone.
Dolomieu è un classico figlio dell’Illuminismo, l’età del lumi, e si inserisce nella folta schiera di esploratori mossi da obiettivi scientifici. Questa schiera comprende nomi altisonanti come Horace-Bénédict De Saussure, Charles Darwin, Alexander von Humbold e mille altri. Si tratta di personaggi che, per il desiderio di soddisfare la loro curiosità scientifica, hanno contribuito all’esplorazione dei territori, non solo in montagna.
Dolomieu non è famoso per aver realizzato eclatanti ascensioni nelle Dolomiti, ma la sua vita avventurosa è interessante a prescindere dai monti Pallidi.

Franco Perlotto: il mio COVID!
Dopo aver vinto le più alte pareti del mondo, l’amico Franco Perlotto racconta come ha vinto la sua terribile battaglia con il COVID19
Un’esperienza terribile, da non fare. Ai primi di novembre mi è cominciata la febbre, leggera ma costante, e il respiro faticava a venire. A dire il vero il malessere era cominciato mercoledì ventotto ottobre al funerale di mia mamma. Dopo quasi una settimana la febbre mi era passata e sono andato dal medico di base a fare il tampone rapido per il Covid: negativo. Il giorno dopo trentotto di febbre, tosse e respiro sempre più affannoso. Dopo qualche giorno il saturimetro segnava ottanta quattro e di lì in poi non ricordo più nulla di quel giorno. Non mi resi conto e non chiamai l’ambulanza. Ora, dopo tre lunghe indimenticabili settimane, il tampone Covid è finalmente negativo. La polmonite bilaterale che mi ha portato in ospedale a Vicenza con respiratore di ossigeno a “resevoir” con 10 litri/ora e poi ad un reparto Covid di Valdagno, se ne è andata lasciandomi comunque qualche strascico. A chiamare si era decisa Nadia, mia moglie, visto che ero molto offuscato. Al pronto soccorso di Valdagno il tampone era positivo ed i raggi mostravano chiaramente la polmonite in atto. La corsa dell’ambulanza a sirene spiegate fino all’ospedale di Vicenza, quella me la ricordo. Ho un vago ricordo anche delle ore trascorse in quest’ultimo pronto soccorso ad attendere un letto nel reparto Covid di malattie infettive. Mi ricordo decine di sanitari che correvano ovunque, senza mai fermarsi, tutti bardati: sembrava un film. Ma ormai sono a casa, dimesso, e spero di vedere passare questo incubo più in fretta possibile e tornare in montagna. Della polmonite rimane ancora un po’ di fiatone ed il polmone destro con qualche lesione. Con le mie patologie pregresse, come l’infarto del 2013 e conseguenti interventi di angioplastica, le tre malaria in Ciad, la febbre da Dengue in Sri Lanka eccetera, i medici mi hanno detto che sono stato fortunato. Non so come ho contratto il Covid, ma una certezza è rimasta: è estremamente facile prenderlo. Non è un’esperienza da fare, va evitata anche perché si rischia davvero tanto. Ci vuole molta attenzione anche se i virus sono talmente invisibili che sembra non ci siano.
La montagna è severa
In questo articolo d’opinione, Carlo Crovella completa l’analisi della visione educativa che l’andar in montagna può determinare sulla formazione individuale.
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