La Fessura Obliqua

Eccola lì, signori miei, sguisciante verso l’alto come un ramarro gigantesco, che si arrampica con fare astuto su per strapiombi che cercano di impedirle l’uscita sui pianori di erba, querce e carpini: là dove il verticale diventa orizzontale, con buona pace di coloro che in qualche modo si aggrappano ai suoi appigli fino allo scherzetto che si paleserà, dulcis in fundo.

La visione della fessura si installò nella mia mente allorché la vidi la prima volta, quando già mi apparve bella e impossibile; divenne quasi un’ossessione. Ero stato colpito dal contrasto tra luce ed ombra, che ti coglie quando si varca la soglia dell’Orrido: una porta reale e metafisica. Pochi metri e si è in un altro mondo. Sono pochi i passi che si percorrono dalla piazzetta del piccolo villaggio, in ridente e solatia posizione, e poi lungo una via che fila dritta verso la grande spaccatura

La grande spaccatura è quella scavata con tanta pazienza dal Rio Rocciamelone, le cui acque vantano un percorso certo non lungo ma con un forte dislivello di quasi tremila metri. Entrati nell’orrido colpisce subito l’aggettante parete alla sua sinistra, o, orograficamente parlando, alla sua destra. Una bella sventagliata di rocce perlopiù strapiombanti, di colore grigio-brunastro, pietra calcarea-marmorizzata. Ad accentuare un vago senso di timore ed inquietudine ci sono le casette poste su una rampa ascendente, a margine della parete stessa. Non certo casette accoglienti bensì edifici marginali per gli emarginati dei tempi andati, nella fattispecie i lebbrosi. Un breve e comodo sentiero, compresso tra la parete ed il torrente, termina dopo poche decine di metri dove un pilastro di grigio calcare affonda nell’acqua; per questa sua collocazione venne battezzato in prima battuta “Pilastro di Atlantide”. Nel corso del tempo feci alcuni tentativi di salita su per quel pilastro, con scarso successo … le vie arrivarono poi con l’avvento degli spit.  Il canyon non finisce qui, basta guadare il rio, talvolta con scarsa portata e talvolta coi piedi a mollo. Oltre si continua lungo una via ferrata fatta in tempi più recenti: è assai suggestiva poiché risale le pozze e le cascate di questo torrente le cui acque scorrono rapide e fuggitive, quasi abbiano fretta di abbandonare la tetraggine dell’orrido.

Quando buttai le prime occhiate alla fessura provai un senso di timore e di repulsione. Timidamente feci alcuni tentativi sul primo tiro; immancabilmente si infrangevano dove la fessura si chiude a strapiombo. Uniche protezioni erano un chiodo messo lì dove la fessura è larga ed un grosso cuneo di legno sul passaggio strapiombante, classificato come un buon 5° se non 5° sup. Il cuneo assistette ad una delle mie fesserie arrampicatorie, quelle che, a posteriori, ti fanno dire “questa volta l’ho scampata”: in un tentativo, non riuscendo a superare lo strapiombo, dovetti scendere; di disarrampicare non se ne parlava, così non trovai di meglio che appendermi al cuneo, slegarmi, passare la corda nel cordino del cuneo e farmi calare, incurante dell’attrito dovuto allo sfregamento della corda sul cordino. A ripensarci è agghiacciante. Il passo temibile era quello di allungarsi afferrare un buona presa per ribaltarsi al di sopra dello strapiombino. Era proprio il ribaltamento il punto critico. Occorre ricordare che: arrampicavo con vecchi scarponi militari comprati al mercato di Porta Palazzo a 3000 lire, che l’imbrago era ancora un’entità a venire (ci si legava direttamente alla corda con un bulino doppio) che le protezioni erano chilometriche. In un giovedì, che all’epoca era il giorno preposto ad andare al CAI per combinare le gite per il weekend, ebbi l’opportunità di chiedere informazioni sulla fessura a Gian Piero Motti, che gentilmente e sul momento mi disegnò lo schizzo della via su di un foglietto, che custodisco gelosamente come ricordo di questo grande personaggio del mondo alpinistico.

Questo blocco mentale durò per un po’ di tempo finché arrivò un momento propizio. Dopo il diploma avevo avuto l’opportunità di lavorare alle Poste per 6 mesi. Ero di stanza al centro di smistamento di Corso Racconigi. Lì mi presentavo puntuale alle 7 del mattino e stavo in attesa della mia dose di posta smistata, con la quale sarei poi partito per la consegna. Ad attendere altri plichi di posta c’era un altro giovane arrampicatore, Claudio Santunione, già noto per le sue capacità alpinistiche e per alcune vie che già aveva aperto. Fu così che, nell’attesa, chiacchieravamo, di montagna naturalmente; ben presto venne fuori il discorso sulla Fessura Obliqua all’Orrido di Foresto e sulla mia remora. Detto fatto, in breve combinammo di andare a salire questa via.

Ovviamente il primo tiro lo fece Claudio, che superò il “mauvais pas” velocemente e con rara eleganza.  Quando fu la mia volta, scoprii il trucco della maniglia da afferrare, distendendosi bene col braccio. Oltre la via continua con difficoltà minori ma bella verticale, con un senso del vuoto assai rilevante, ma soprattutto con bei passaggi che consentono un incedere fluido e divertente. Questo sino allo scherzetto terminale. Giunti a una dozzina di metri dal termine, quando già si vede l’orlo terminale della parete, dritti non si sale più. Occorre invece fare una traversata che aggira uno spigolo tagliente e proteso nel vuoto: un tiro di corda non lungo ma sufficiente a far palpitare i cuori e tremare le pedule; il vuoto si spalanca in mezzo alle gambe dove si scorge l’acqua del torrente che, cento metri più in basso, scorre rapida e fuggitiva, In questo singolare passaggio non si può fare a meno di ammirare i “benefattori” che riuscirono a piantare 3 chiodi nonostante la notevole esposizione e la difficoltà di restare appesi. Oltre lo spigolo, pochi metri oltre, una piccola banchetta consente di ancorarsi per una buona sosta. Successivamente, con l’animo sgravato dalle difficoltà superate si scalano gli ultimi metri che adducono alla sommità della parete.

Da quella prima volta sfatai il tabù e guardai la fessura con occhi ed animo assai diversi. Con grande piacere ebbi l’opportunità di ripetere questa arrampicata nel corso del tempo e con compagni diversi. Nel frattempo su questa parete le vie si moltiplicarono con difficoltà ben superiori ed attirarono l’attenzione delle nuove generazioni di arrampicatori. La Fessura Obliqua entrò nell’oblio, ritornando ad essere accigliata, ombrosa ed anche un po’ patinata, ma sempre pronta ad offrire una piccola avventura per chi vuole rampignarsi su di essa.

Lorenzo Barbiè

 

Breve nota tecnica:
Lunghezza della via 130 m
1° tiro – muretto di 4+, fessura 3°+, strapiombo 5°+
2° – 3° – 4° tiro – difficoltà omogenee di 4°+
5° tiro – traverso 4°+, spigolo esposto 5°
6° tiro – 4°, 5°-

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