SSA2. Ultima Uscita L’Eveque

30 APRILE/1 MAGGIO – USCITE 6 e 7

Il Rifugio Nacamuli abbarbicato tra le rocce_ foto Kia

Il rifugio mi appare all’improvviso, dietro una svolta. Non cerco mai con lo sguardo i rifugi durante la salita, forse sono sempre troppo stanco per scrutare in alto tra le rocce, o forse mi piace trovarmeli davanti all’ultimo, come un’oasi che ti si para davanti, e accoglie gambe stanche e spalle doloranti per il peso degli spallacci.

Stanco questa volta lo sono decisamente, dopo un portage lungo assai, che il tempo uggioso non ha consentito di allietare con la vista dello splendido Lago di Place Moulin, che il sentiero all’inizio costeggia, ma la foschia cela.

Il rifugio si chiama Nacamuli. Sembra il nome di una remota valle nepalese, invece è il cognome di un ragazzo di Torino, Alessandro, morto in Pakistan a metà degli anni ’80. I genitori hanno fatto una donazione al CAI, con la condizione di usarla per un rifugio a lui dedicato.

Qui un ricordo di una sua amica.

“Alla fine qualcuno pensò – per ricordarlo – a un rifugio da ristrutturare, a nome del Naca. Se lo fosse scelto da solo, non avrebbe fatto di meglio, arroccato com’era tra le pietraie e le nevi di una valle selvaggia, uno di quei terreni avventurosi e faticosissimi in cui si svolgevano le “nacamulate”, un classico estivo, interminabili arrancate collettive che conducevano il nostro gruppo in quell’insidiosa zona psicologica che sta tra l’esaltazione e la crisi isterica”. (https://marinamorpurgo.weebly.com/il-cane-magico.html)

Mi sono ritrovato in questa frase, che fotografa lo stato d’animo di tante mie stagioni sci alpinistiche, vissute tra “l’esaltazione e la crisi isterica”.

Il rifugio è veramente abbarbicato tra le rocce, un nido d’aquila; ma il pezzo forte è il cesso, una sottospecie di cabina telefonica cui si accede scendendo una ripida scala di ferro, ben ancorati ad un provvidenziale corrimano. Quando lo vedo, un solo pensiero: Signore, che stanotte non mi scappi da pisciare..

Il gestore, Giorgio, ci accoglie con la verve di chi non parla con nessuno da giorni: “Siete solo voi, mettetevi dove volete nelle due camerate; l’acqua esce dalla pompa, è acqua di fusione, arriva finchè la pompa non ghiaccia”. Alle 19 non esce più niente.

Ottima cena: minestrone, pasta, pollo e piselli, budino; sbraniamo tutto.

Mi informo con la Diretura sui progetti di domani: attacca un “Saliamo lì, poi scendiamo là, poi risaliamo su, poi riscendiamo giù..”. Sembra il programma di un giornaliero al Sestriere. Non ce la farò mai…

La notte scende sul rifugio e sul suo aereo bagno _Foto Cavùr

La sveglia suona alle 4.55; rispetto a quella di sabato abbiamo guadagnato 10 minuti. Però siamo a 2.900 metri, non in Corso Vittorio; speravo meglio…

La prima ora dal risveglio è quel festoso frullatore che caratterizza le partenze da rifugio, un affaccendarsi tra fette biscottate ed imbraghi, tra calzate di scarponi e piegamento di coperte, che termina quando il rifugio ci risputa fuori, alla fioca luce ed al freddo becco…

Salita al Col Collon, 3.114 metri, e di li al Col dell’Eveque, 3.350 m. Poi scendiamo, per quasi 300 metri, sui 20 centimetri della nevicata recente: una libidine, la miglior neve della stagione.

Secondo il feroce programma della giornata si dovrebbe risalire alla Cima d’Eveque, per poi tornare sui nostri passi, scendendo e risalendo nuovamente al colle, per calare infine alle auto. Col Parusso ci scambiamo uno sguardo d’intesa: è stata una bella gita, coronamento di una bella stagione; portiamo a casa la pelle, comprese gambe e polmoni. La vecchiaia ci ha reso cauti e saggi.

In tre decidiamo dunque di rinunciare alla vetta; risaliamo al Col dell’Eveque, con quella calma che permette di fare foto e godersi il panorama, e giunti al colle ci sistemiamo ed aspettiamo. Che spettacolo: la vista spazia tra cime che svettano superbe, un ambiente magico, sotto uno splendido sole.

I giovani e forti invece, formate le cordate, sono partiti per la vetta. In cima non arriveranno, si fermeranno 200 m. sotto il ripido pendio finale: il ghiaccio sotto la neve fresca rende pericoloso osare di più, anche tra i giovani e forti prevale la prudenza.

L’avvicinamento all’Eveque in cordata_ Foto Kia

La nostra attesa dura un paio d’ore: l’apertura ci raggiunge al colle, ma non viene verso di noi, punta sulla Becca d’Oren. Ma ‘sta gente in casa ha una ruota da gabbia di criceto, sulla quale sfogarsi fino allo sfinimento?

“Piaceva/ essere così pochi intirizziti/ uniti, /come ultimi uomini su un monte” Umberto Saba _ Foto Cavùr

La discesa è lunga lunga, con sciata a tratti piacevole; poi inizia la ricerca delle lingue di neve che ci consentano di  scendere tra le rocce affioranti, ed infine il lungo portage di ritorno, fino al lago, che stavolta si manifesta nel suo azzurro alabastro. Il giovane Parussino – in un emblematico passaggio di consegne – si carica gli sci dell’anziano genitore, come fece Enea con Anchise, in fuga da Troia in fiamme. Son cose belle.

Il giovane allievo, come Enea con Anchise in fuga da Troia in fiamme, si carica gli sci dell’anziano genitore. _foto Cavùr

Questa la relazione della gita di chiusura. Ma trattandosi di una stagione peculiare, unica, penso sia doveroso aggiungere qualcosa, un bilancio consuntivo; ed avendo partecipato a tutte, dico tutte, le gite (solo io ed Enzo possiamo fregiarci di questo successo), non posso esimermi.

I protagonisti di questa ultima gita Foto_Autori vari, collage Gaia

COSA E’ ANDATO BENE

E’ stata la stagione del ritorno alle gite della Scuola, dopo due anni di stop Covid. Ed è stato bellissimo ricominciare, e farlo insieme a tanti vecchi e nuovi amici.

E’ stata la stagione del passaggio di consegne dal Sommo Diretùr dei Diretùr, alla nuova Diretura. Ella ha condotto in porto la stagione con pugno di ferro in guanto di velluto; pacata, equilibrata, ha ispirato sicurezza, condita con lampi di ironia. La leadership del nuovo millennio, si sa, è donna.

E’ stata una stagione avara di neve, che ci ha costretto a confinare la quasi totalità delle gite in Val d’Aosta. La partenza alle 06.00 da Corso Giulio è stata una costante così reiterata, che ho rischiato di dirigermi lì pure in settimana, invece che in ufficio.

E’ stata la stagione in cui le relazioni della scuola (la SSA del CAI UGET può vantare le migliori relazioni non solo in area torinese, ma dell’orbe terracqueo) hanno visto contributi qualificati di numerosi neoallievi. Un plauso speciale alle prefazioni di Lady Restano: la sopracitata si ammanta di una certa rudezza dell’approccio, la cifra espressiva ricorda quella di Crudelia Demon verso i dalmati, ma con la tastiera in mano incanta: originale, eclettica, i suoi incipit hanno un ritmo tambureggiante. A lei anche il merito di aver inaugurato una nuova sezione del sito, la pinacoteca virtuale, una galleria di immagini affidata al talentuoso pennino di Alessandro Vicario.

E’ stato l’anno della svolta internazionale: con la presenza di austriaci e cecoslovacchi, e di giovani che padroneggiano la lingua della perfida Albione, al  desco in rifugio i phrasal verbs hanno preso il posto dei cori e delle barzellette sconce in piemontese.

COSA E’ ANDATO MALE

Nulla. Tutto è andato benissimo. Solo nella logica ad maiora, mi sia consentito qualche spunto di miglioramento…

Il corso SA1 è stato un normale corso di sci alpinismo. Gite tutto sommato tranquille, un bel gruppo di nuove leve, ingentilito da cospicua presenza femminile. Poi è iniziato il corso SA2.

Il film di Tarantino “Dal tramonto all’alba” (1996) per la prima parte è un classico  film su di una rapina in banca, sparatorie, inseguimenti, tutto secondo copione. Poi, inaspettatamente, spuntano i vampiri.  E’ quel che è successo con l’SA2; improvvisamente una svolta sovrannaturale: i ritmi sono diventati disumani; le graziose allieve sono scomparse (non va mica bene.. tutte ‘ste rivendicazioni, la parità, il soffitto di cristallo, e poi le donne si fanno da parte?!). Sono rimasti solo maschi; un manipolo di guerrieri masai desiderosi di sfoggiare il proprio vigore, tutti infoiati, per la gioia di infoiatissimi istruttori.

Il nobile aggregato durante la marcia e dopo.. Foto Pietro

L’SA2 è stato quanto di più lontano dallo sci alpinismo mite, di cui mi fregio del titolo di caposcuola; si è virato verso l’eresia del coiptus frettolosus, manifestazione ossessivo compulsiva che mi auguro (per compagni e compagne di talamo) i contagiati riservino solo alle scorribande montane.

“Ripellare” è stata la parola d’ordine di tutte le gite, accompagnata da “portage”.  Sono cose brutte, termini che non vorremmo sentire.. Per non parlare degli onnipresenti ramponi nello zaino. Nota di metodo: il rampone pesa, tanto; bisogna meditare attentamente se portarlo, non è come un ventaglio… Poi il rampone sta benissimo a casa, nell’armadio, non si sente solo. Tambien la picozza..

Per la prossima stagione propongo una svolta verso il festina lente (“affrettati lentamente”); mi farò all’uopo promotore di iniziative celebrative: inizio a presentare l’ultima opera del maestro Vicario, che trovate riprodotta in calce,  ed anticipo che ne verrà tratto un distintivo, da appuntare sulla giacca dei seguaci. Ordinatelo per tempo..

Locandina dello Scialpinismo Mite

Per la stagione 2023 adottiamo dunque una condotta di gita che preveda progressione con chiacchiere, osservazione dell’ambiente circostante, prolungate soste in punta con libagioni; in sostanza, una relazione con l’oggetto del desiderio – in questo caso la montagna – che contempli il petting.

Cavùr

https://www.flickr.com/photos/ssacaiuget/albums/72177720298647536/with/52050283345/

Uscite 4 e 5 SA2, 9-10.04.2022: Santuario Clavalitè e Sigaro

Lo scorso weekend ha visto nuovamente i nostri eroici allievi e istruttori solcare i pendii della Valle d’Aosta, quest’anno va così. Sappiamo bene , suvvia, che l’atmosfera la fanno le persone, non necessariamente i luoghi e il morale è sempre alto quando ci si ritrova.
La Redazione, assente in questa lieta occasione, sarà necessariamente laconica, come insegna quel fighetto radical chic di Moretti in Ecce Bombo (good old “
Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?“) e per fare apprezzare maggiormente gli alati slanci testuali dei prossimi intro-a-relazione.
Questa volta, pertanto, non chiamatemi Ismael. Aigor, piuttosto.

Eccovi qui lo Slideshow con le foto di sabato e lo Slideshow della gita di domenica sono qui nel solito link verdino.
I fatti del weekend ce li propone questa volta il bro Pietro Parusso, figlio d’arte, gamba potente, sciata entusiasmante, gioventù in fiore. Invidia generalizzata di tutti. Vai, Pit!

Ecco a voi le istruzioni con i diversi ingredienti per ottenere un week-end scialpinistico fenomenale:

1. Mettere nello zaino una picca, ramponi, imbrago, moschettoni e cordini; pare che nell’ attraversata dalla hall fino alla cucina dell’albergo, si debba passare lungo una cresta molto esposta ed è facile perdere coscienza sentendo i profumi provenienti dai piatti fumanti.

2. Effettuare gita da Cheneil con direzione Santuario Clavalitè e lasciarsi sollevare verso il cielo da un leggero vento, a tratti piacevole e molto rigenerante.

2 B. Aggiungere quantità non definibili di dislivello e macinarli a ritmo di gatto delle nevi. Scendere quindi su piste battute con neve marmorea e cercare di non schiantarsi su lastre di ghiaccio e, successivamente, ritornare sui propri passi.

3. Esercitarsi a cercare, sondare e scavare velocemente!! Attenzione ad effettuare queste operazioni senza sci, si potrebbero provocare buchi neri di proporzioni notevoli e rimanerci incastrati dentro.

4. Invadere il primo bar che incombe sulla strada del rientro e divorare qualsiasi cosa capiti a tiro, commestibile e non. Con faccia leggermente ustionata cercare di sorridere alla cameriera per farsi regalare un Hamburger in più. (cameriera è più furba, nessun regalo commestibile ricevuto)

5. Aggiungere un pizzico di zucchero, quanto basta.

6. Docciarsi, mangiare e riprovare stessa tecnica con cameriere…Con qualcuno ha funzionato!! Finalmente si può andare a collassare sulla prima superficie piana disponibile.

7. Cercare di non finire nel burrone della diga di Beauregard, effettuando una retro pazzesca su salita ripidissima con presenza di sottile strato di ghiaccio infamello.

7 B. Mai seguire macchina bianca di istruttore ignoto e troppo avventuriero!!

8. Incamminarsi lungo la strada che punta al Sigaro partendo dall’ Hotel Foyer de Montagne, cercare di saltare da una striscia di neve e asfalto all’altra, non preoccuparsi troppo di procurare righe sotto gli sci, a questo punto due in più o due in meno non si vedono nemmeno, anzi stanno ad indicare che il mestiere sta entrando alla grande!!

9. Inserire una marcia che ti permetta di non esplodere, possibilmente una ridotta. Far parlare tanto le lepri del gruppo sperando che prima o poi si spengano ed esauriscano l’ossigeno vitale. Se non dovesse funzionare, provocare danni alle rotule o sperare che si formi uno zoccolo sotto le pelli!

10. Passaggio delicato: godersi le discese in neve farinosa, disegnare curvette su pendii dolci, sognare di farne altre per potersi sentire di nuovo piccoli e un po’ invincibili 🙂    

 11. Scoprire con grande tristezza che la poca neve sulla strada percorsa al mattino, se ne sia già andata da un pezzo. Dopo pochi attimi di crisi isteriche, iniziare il portage e tagliare più curve possibili!

Pietro Parusso (Parussino)

Uscite 2 e 3 SA2, 26-27.03.2022: Aiguille d’Artanavaz ed Entrelor

Agli inglesi non fai il mazzo facilmente per mare.
Non c’è riuscito, a conti fatti, Karl Doenitz, nonostante i suoi micidiali U-Boot sguinzagliati con la tattica del branco di lupi contro i convogli che rifornivano Sua Maestà britannica, attraverso l’Atlantico, di materie prime e armamenti. E taciamo dell’incredibile eroismo civile inglese in occasione dell’evacuazione delle truppe anglo-francesi superstiti da Dunkerque.
Ancora meno successo ha avuto circa un secolo e mezzo prima la flotta franco- spagnola che si illudeva di preparare via mare lo sbarco della Grande Armée in terra d’Albione. Risate fuori campo. Nelson a Trafalgar li ha spazzati via, in svantaggio numerico ma capace di una strategia non convenzionale e di rara audacia, senza perdere una sola nave. Ci ha lasciato la pelle, si dirà, ma quanti eroi sono poi tornati in patria all’interno di un barile di gin (o era brandy?), ove ne vennero immerse le spoglie per preservarle dal disfacimento durante le settimane di navigazione fino a Portsmouth? Il dettaglio è veramente hard rock, Keith Moon o John Belushi avrebbero meritato il medesimo trattamento. La mattina dello scontro navale il prode Horatio fece sbandierare dall’albero maestro della nave ammiraglia, la Victory, un incitamento per i suoi uomini e la flotta tutta: “England expects that every man will do his duty”.
And so does la Scuola di scialpinismo, ma la realtà supera la fantasia e il gruppetto di allievi del corso SA2 performa alla grandissima, indomito e indomabile. Che roba, che soddisfazione. Spezzarli è fuori discussione, piegarli parrebbe nemmeno, si tenta di stropicciarli appena un po’, ma questi non mollano di un centimetro. Ci stiamo davvero, davvero divertendo. In questo weekend con una gita lunga sull’orizzontale e calda più una fredda e lunga sul verticale non hanno fatto un plissé. Alcuni hanno addirittura goduto di un bonus di SR (“Scuola Ravanage”), con una briosa scammellata in discesa, ideale per amanti del portage spinto nel bosco tra la croce e il paese.
Nelson sarebbe fiero di voi.

Ma veniamo al sodo: lo Slideshow con le foto dell’Aiguille d’Artanavaz e lo Slideshow del’Entrelor sono qui nel solito link verdino, mentre le due gite del weekend appena trascorso ce le racconta Felix Ackermann, capigliatura leonina e andatura dinoccolata. Sentiamolo un po’.

Alla vigilia della prima due giorni del corso SA2 c’è tanta voglia di pellare ma anche la consapevolezza delle condizioni meteo che ci costringono a fare i migranti climatici in direzione valle d’Aosta. Ritrovo quindi ore 6 in corso Giulio angolo corso Vercelli. Tutti gli ingranaggi sembrano ben lubrificati, c’è automatismo e rapidità nell’organizzazione delle macchine, però rimane sempre qualcosa di non prevedibile: la geografia della Val d’Aosta non sembra essere chiara a tutti. Ergo: da Planaval sopra La Salle si parte in ritardo rispetto alla tabella di marcia. È da valutare quindi minima conoscenza geografica come condizione di ammissibilità al corso di scialpinismo
Arrivati in loco, di neve ghe n’è ben poca. S’inizia quindi la marcia tra qualche sprazzo bianco misto erba. Le previsioni per il rientro non sono delle migliori. Obbiettivo quindi è la Aiguille d’Artanavaz. In mezzo alla salita c’è un breve spiano per rifiatare, ed arrivati in cima lo spettatore viene premiato con vista sul Bianco e sul Cervino. Solito patatrac in cima, abbracci foto etc. e poi si scende. Discesa che non scherza ed è molto ripida in un tratto. Ma siamo ugetini quindi anche questo ostacolo non ci ferma.
Arrivati sani alle macchine, ci si sposta verso l’Albergo. Seguono menate varie e poi la cena, molto gioviale: si scambiano due chiacchiere con i vicini di tavolo. L’autore della relazione per esempio scopre che tra gli istruttori vi è anche un ‚Eidgenosse us Zürii‘ (svizzerotto zurighese) con cui non può fare a meno di scambiare due chiacchiere. Ma la giornata non finisce quì: segue lezione su metamorfismi della neve, balzata però da qualche frequentatrice del corso (non si fanno nomi).
Inizia giornata due. Partenza a piedi dall’albergo, immersione totale nel ambiente di montagna. Nel tratto iniziale scarpinata nel boschetto. Poi, dopo 1h 30 min si apre maestosamente davanti a noi la montagna. Durante la salita, taluni dimostrano di essere all’avanguardia, alzando gli sci mentre li muovono. Altri notano che le loro inversioni sono sempre più armoniche. La salita è morbida, la pendenza molto graduale. ‚Oben angekommen‘, giunti in cima – Berg heil’, salutiamo la montagna. Poi la Discesa. Discesa con la ‚D‘ maiuscola: Pietrone valuta se ripellare per tornare in cima mentre il Dugono disegna una linea perfetta di discesa che fa rimanere senza parole l’autore di questa relazione: felicità alle stelle – Felix Vallée d’Aoste. Arrivati alle macchine, non resta che brindare, dimenticando qualsiasi obbligo implicito da coniuge/a, rischiando quindi che il matrimonio vada in frantumi causa chiamata non pervenuta dopo il rientro.
Però che gita!PS: lode a chi coglie il riferimento ‚Felix Vallée d’Aoste‘.

Scialpin.arte – addirittura un dittico

La Redazione ricorda quella volta che si guardavano gli ultimi colpi dei fuochi di San Giovanni da in punta a via Lanfranchi e un amico residente da anni a NYC disse alla fidanzata in visita a Torino “Look, this is the final lorda!”. Con la fine del corso SA1 termina (per quest’anno, ma more to come) la residenza d’artista di Alessandro Vicario presso la SSA Cai UGET e il nostro ha pensato di sganciare la sua final lorda nella ricercata veste del dittico. Per non fare della critica d’arte pretestuosa (che la Redazione è cialtrona ma fino a un certo punto) si sceglie di accompagnare l’opera con le parole dell’artista medesimo, di seguito virgolettate:

“Ed ecco il dittico! In mezzo il larice. Come non amarlo? Si “grapiglia” sui pendii e si insinua tra le rocce. E la sua resina è!
La birra è stata imbeccata da Riccardo. Le pelli svolazzanti in omaggio alla ripellata al Ratin. Sulla birra il gracchio il solito omaggio devotissimo all’immenso Samivel! Sul ramo il merlo, il mio omaggio al Kosovo (i Metohija) detta anche Terra dei Merli (per la Battaglia di Kosovo Polje), il mio cuore è anche un po’ l ì.Pj Harvey fu in Kosovo e poco prima di tirare i garretti anche il Duca Bianco. Il polileie che balla nelle scene finali del video è nel monastero di Decani
“.


Sempre con le parole di Ale “y final”. La Redazione è certa che Soriano avrebbe apprezzato.

Alessandro Vicario, Il gracchio – il merlo, 2022, tempera e pochissimo inchiostro

Uscite 6 e 7, 19-20.03.2022: Valle del Gran San Bernardo

La Direttrice della Scuola, nella posa del bronzo etrusco noto come “Arringatore”, recita un commovente motivational speech di fine corso

Il glorioso 1976 è un anno di eccellenze, innanzitutto genetliache su scala ultra locale, ma non soltanto: il Toro vince con una formazione da far tremare i polsi un glorioso scudetto, esce l’omonimo disco dei Ramones (tradizionalmente accreditati come primo gruppo punk rock), Cuba approva la Costituzione. Qui ci interessa ricordare che un ventinovenne bolognese, tal Benni Stefano, pubblica il suo romanzo d’esordio, Bar Sport, dal quale si favorisce la seguente citazione:
Il ristorante rustico è situato spesso in aperta campagna, quasi sempre nei pressi di un canale puzzolentissimo. La sua caratteristica principale è di essere semovente. Se voi infatti scoprite un bel ristorantino rustico, ci mangiate bene e poi volete indicarlo agli amici, non otterrete altro risultato che farli girare per tutta una notte nel buio della campagna. Potete disegnare una mappa precisa al millimetro: potete imparare a memoria tutti i cartelli stradali, deviazioni, case gialle, insegne di caffè, stradine a U che portano al ristorante rustico: i vostri amici finiranno invariabilmente nell’aia di una casa di contadini, con cani ululanti che mordono il cofano della macchina e vecchiette silenziose che vi guardano arrivare come se foste una pattuglia di soldati nazisti. Il ristorante rustico, nel novanta per cento dei casi, è in una stradina non asfaltata dopo una grande curva. Ma gli abitanti del luogo, appena vi hanno visto partire, asfaltano la strada e girano la curva dall’altra parte perché non possiate tornare. Inoltre i ristoranti rustici amano saltare da una parte all’altra dei fiumi, e arrampicarsi sulle montagne. Non dite mai a un amico: conosco un posticino dove si mangia benissimo: dalla provinciale ci saranno due chilometri di salita, si fa tutta in seconda. In realtà, mentre parlate, il ristorante rustico sta già a nove chilometri dalla strada, in cima a uno strappo quasi verticale, con macigni ad altezza d’uomo, pozzanghere velenose, rami che entrano dal finestrino e cunette con in fondo un sasso che aspetta la vostra coppa dell’olio. Trattori vanno e vengono lentamente.
Nell’epoca del navigatore satellitare, del GPS e di Google maps pare impossibile perdersi, but still…. Il nostro primo anno di corso SA1 con allievi automuniti bradi come cavallini della Giara e non inscatolati su torpedone aziendale è sorprendentemente andato meglio di quanto fosse preventivabile: non abbiamo perso seriamente nessuno – al massimo misplaced qualcuno – e le pochissime pecorelle smarrite hanno riguadagnato rapidamente l’ovile con grande efficienza, forse inizialmente distratte alla ricerca del ristorante rustico anziché del punto di partenza della gita. Fingendo di ignorare, più furbi che belli (come diceva mia nonna), che la piola SEGUE, NON PRECEDE la scialpinistica fatica.

Sentiamo un po’ qui di seguito come ce la mette giù con grande signorilità la Wonderful Allieva Valeria Bianchi, graditissima autrice della Relazione della Settimana, coercizzata in tal senso dall’Aggregato Per Eccellenza, a sua volta sniper d’occasione su mandato della Spietata Redazione.

Prima o dopo avere letto, beccatevi ben due gallerie di immagini: lo Slideshow con le foto del Fourchon e lo Slideshow del Col Serena. E ora la parola a Valeria.

Alla prossima
Eccoci giunti al termine di questo corso SA1 del 2021/2022.
La voglia di salutarsi dopo l’inverno passato insieme era talmente poca che i nostri istruttori hanno pensato di organizzare una doppia gita, un weekend intero che dilatasse nel tempo e nello spazio il piacere della condivisione di questo sport.
Ovviamente, doppia gita significa anche doppia possibilità di pasticci….ma procediamo con ordine:
Giorno uno
Il copione lo conosciamo: sveglia alle 5:00 e parte l’avventura in macchina verso la Valle d’Aosta con l’ormai noto primo obiettivo di non pagare quei dannati 28 euro di casello autostradale.
Superato questo non indifferente scoglio, le macchine in fila si avviano verso la meta della prima gita, Saint Remy en Bosses nella valle del Gran Paradiso. Tutte le macchine tranne quattro, i cui guidatori vengono tratti in inganno dalle mille strade statali valdostane fino a che, colti da una
improvvisa voglia di scavallare il confine, decidono di imboccare la strada per il traforo che porta in Svizzera perdendo così del tutto la credibilità e l’affidabilità (dopotutto, la parte del corso focalizzata su cartine e bussola è ormai un ricordo lontano). In soccorso arriva tuttavia il nostro istruttore che, dopo non poche peripezie tecnologiche, riesce a riportarci sulla retta via e a condurci sul luogo di partenza della gita. A questo punto, l’orario di inizio è oltrepassato e metà dei nostri compagni sono già partiti lungo la linea di salita…per i poveri ritardatari non resta che
iniziare a riscaldare le gambe per recuperare tutto il tempo perso (traduzione: salire ai 100 km/h lungo canalini con una media di 1 gucia ogni 20 secondi).
La giornata, contrariamente a quanto predetto dalle previsioni meteo, si apre radiosa davanti a noi e ci regala un cielo quasi del tutto terso e un clima tropical-like; oltrepassato il primo canale i pendii sono ampi e incorniciati da maestosità rocciose come la Tour de Fous che piano piano ci guidano verso la nostra meta, il Mont Fourchon (mt 2900) da cui godiamo di una vista spettacolare a 360° sul Grand Combin e su parte delle vette del massiccio del Bianco. Dopo qualche foto di rito
sulla cresta inizia la discesa che si rivela essere piuttosto un test di sopravvivenza su crosta da cui solo qualcuno esce indenne. La fine della gita si svolge sulla strada ricoperta da una sottile coltre di neve ormai umida e pesante, ma l’energia è ancora tanta perché l’obiettivo è diventato la birretta finale defaticante. In occasione del week end però, la promozione diventa birra + ultima lezione teorica, ma tutti la accogliamo di buon grado in quanto occasione per stare insieme e
comprendere i dettagli della pianificazione delle gite che faremo in futuro.
Dopo la prima avventura, possiamo finalmente rilassarci al rifugio Marietty a suon di mani di briscola, vino rosso e gnocchi al ragù; la gestione del posto è familiare e qualcuno cerca di corrompere invano l’innocente nipotino del gestore per avere una seconda porzione di pollo.
Dopo la mangiata, tutti ci rintaniamo nelle nostre camere per poter finalmente assaporare un vero sonno ristoratore.
Giorno due
Sveglia alle 7 già sul luogo, attrezzatura pronta dalla sera prima, timido sole all’orizzonte: i presupposti per un inizio giornata con i fiocchi c’erano tutti. Il gruppo coeso parte per raggiungere la località di Crevacol, punto di partenza della gita a Col Serena annoverata tra i classiconi CAI. Le
costellazioni si allineano per la prima ed ultima volta e tutti arriviamo in orario e nel giusto punto di ritrovo. L’esposizione a Nord e il solo moderato dislivello in salita rendono questa gita adatta a tutti noi che abbiamo le gambe un po’ provate ma il morale alto, talmente alto che la maggior parte del gruppo intraprende una breve ma gratificante ripellata. Alcuni invece rimangono sul colle a condividere storie di montagna e di vita perché alla fine, lo abbiamo capito, lo sci alpinismo
è fatto dalle persone con cui scegli di condividerlo. La discesa è inaspettatamente piacevole, la neve è umida ma si lascia sciare come se fosse burro. Arriviamo infine alle macchine, stanchi ma parimenti rigenerati e pronti a ricominciare con questa carica la settimana.
Di sicuro invece non siamo preparati a non vederci più nei prossimi weekend, ma fortunatamente entra in gioco qualcuno che propone una bella cena collettiva che viene accolta con forse più entusiasmo che le gite stesse…
Grazie a tutti, alla prossima pellata insieme!

Sesta e settima (e ultima) uscita SA1: eccoci

Dice il saggio “Tutto è bene quel che finisce bene – E l’ultimo chiuda la porta”

Bonvi, SuperGulp! Fumetti in TV

Con una chicca da autentici boomers (ricordando il compianto Bonvi), vi diamo laconicamente – causa leggero magone al pensiero di lasciarvi – le info sulla ultima gita, la sesta e settima in una volta sola, del corso SA1 2022.
Non sarà una sorpresa per nessuno apprendere che ce ne andremo belli trulli in Valle d’Aosta, per le ormai ben note ragioni di copertura nevosa. Del resto nel nostro ambito da quella proprio non si può prescindere. Avremo però la possibilità di stare insieme per l’intero weekend: le ultime due gite hanno il bonus pernottamento!


Sabato 6 marzo appuntamento alle consuete 6:00 – ormai nemmeno più un trafiletto nella cronaca locale – nel solito posto che ben conosciamo.
Avendo citato Bonvi, immaginiamo che l’Aggregato per Eccellenza vorrà deliziarci in una personale interpretazione di un qualche personaggio di Sturtruppen. Gli viene d’ufficio assegnato la piccola fedetta prussiana. Se impreparato, si documenti anche solo su Wikipedia, come tutti. La Redazione, nel ruolo del Sergenten, vigilerà sulla corretta drammatizzazione.

Ci vedremo quindi, puntualoni come sempre, nel parcheggio sul retro di McDonald’s alla confluenza di Corso Giulio Cesare con Corso Vercelli, con ingressi sia da Corso Vercelli che da Corso Giulio Cesare: oramai le macchine vi ci conducono in piena autonomia, manco avessimo tra tutti un parco auto di sole Tesla FSD.

Con un filo di malciapismo, per l’ultima volta vi spariamo qui il link ai nostri punti di ritrovo: Ritrovi.

Inizia il corso SA2. Uscita 1, Becca Trecare

Da destra a sinistra, l’Autore della relazione, Colui che è tornato per il corso SA2, Colei che sorride giuliva per neve e amici (foto @KiaTender)

Il mese di Marzo qui alla Scuola di scialpinismo del Cai UGET offre una programmazione fitta e ricca di eventi che si intersecano; per godersi appieno la nostra frizzante pianificazione, occorre munirsi della determinazione di chi volesse assistere a ogni proiezione al Telluride Film Festival.
Domenica 13 marzo è iniziato il nostro corso avanzato SA2, che impegnerà allievi che abbiano già frequentato quello base in gite più impegnative ed evolute. Siamo dei vecchi cuori di panna ed è stato emozionante e gratificante ritrovare vecchie conoscenze del tempo pre-pandemico e rimettere le pelli con loro. Un gruppo necessariamente più contenuto rispetto al primo corso, la solitudine della conca di Cheneil e le stratigrafie capricciose di nuvole in innumerevoli variazioni di bianco-grigio ci hanno regalato un’atmosfera raccolta e ovattata in cui ci siamo goduti la compagnia e l’ascensione in una sinfonia armonica e raccolta. Bello, molto bello.
Siamo andati nuovamente in Valle d’Aosta, ç
a va sans dire. L’alternativa quest’anno parrebbe essere che ciascuno si portasse la neve che intende sciare e la stendesse sul pendio, per poi riporla con cura in una borsa frigo una terminata la discesa.
S’oggi questa mi torna gradita,
Forse un’altra,
Forse un’altra doman lo sarà 
In genere lo scialpinista medio è come il Duca di Mantova del Rigoletto, non proprio nel senso letterale di un lurido, privo di empatia e di scrupoli, ma piuttosto una versione annacquata, uno spensierato libertino delle nevi che salterella di cima in cima, cogliendo il fiore della bellezza della neve più giovane, più morbida, più invitante. La temporanea affezione alla VdA non faccia pensare che il lupo abbia perso in una volta sola pelo e vizio e abbia ristretto il suo territorio di caccia al giardino, tra l’oleandro e il baobab. Siamo pronti a farci trasportare lontano come gli acheni del soffione (cerca con Google “Tarassaco comune”) spinti via dal fiato dei bimbi, in paziente (rassegnata? spasmodica?) attesa di una nevicata comme il faut in qualche altra porzione dell’arco alpino occidentale.

Questa settimana ci racconta l’uscita il nostro allievo e amico Mauro Pezzana, poderosa gamba ciclistica e Nostro Signore delle acciughe, che con lui non fanno il pallone, ma un bel tuffo carpiato in morbidi panini a fine gita. Grazie di tutto Mauro!
E nella migliore tradizione, Slideshow for you.

Gita del 13 marzo, obiettivo Becca Trecare, da Cheneil, vetta  di 3032 m situata fra Valtournanche e Val d’ Ayas.
Prima uscita del temutissimo corso SA2.
Il direttivo opta per una marcatura a uomo con un rapporto giubbe rosse allievi di 1 a 1
Chiaro che si farà sul serio….
Siamo pronti.
Alcuni eletti attaccano rabbiosamente il primo strappo con un confortevole  passaggio in ascensore, molti altri no, al traino a fune prediligono le pelli…
Ricompattati sul pianoro soprastante si parte.
Si procede agevolmente in salita fino all’attacco del Col da Fontaines (credo si chiami così) raggiungibile con un traverso finale piuttosto insidioso ( che non ha mancato di mettere in difficoltà il marconista qui ai tasti) Ora ci troviamo sul versante di Chamois,  dopo una perdita di quota di circa 50 metri nuovamente implotonati ci dirigiamo verso il colle successivo  (non so come si chiami, ammettendo che abbia un nome…) dal quale a passo di fanfara guadagniamo la cresta  soprastante introducendoci agli ultimi 150 metri che ci separano dalla  vetta, quest’ultimo tratto  verrà percorso con i ramponi.
Sempre bello schiacciare la punta di una montagna,  bello nonostante un meteo non crudele ma nemmeno particolarmente indulgente che durante la salita ci concede di muoverci in una bolla di aria chiara fra le nubi che incombono sulla testa e la nebbia che è lì poco più in basso a farci la posta. Questo giunti in vetta,  ci impedisce di dare un occhio tutt’intorno, li da qualche parte ci dovrebbe essere il Cervino, con il Gruppo del Rosa appena quattro dita più in là.. e poi tutto il resto, ma nulla, nebbia 1 Cervino 0 ( per questa volta)
A quel punto appare subito  chiaro che date le condizioni meteo  conviene un’azione di ripiego piuttosto rapida, scelta più che mai azzeccata, in effetti non sono in grado di dire  se siano state le nubi  a scendere o la nebbia a salire, ma sta di fatto che via via la visibilità diminuisce. Nonostante la tragica penuria, troviamo anche qualche sparuto e breve tratto di neve in buone condizioni, probabilmente dimenticata lì nella sua nobile condizione da tutte le avversità climatiche che quest’anno si danno appuntamento per farle dispetto.
Si scende per pendii e canali, chi con eleganza musicale, chi con piglio rigoroso e  sobrio, preciso che non mi sento di includermi in alcuna delle qui  descritte modalità.
Si ripella per risalire sul colle che ci permette di affacciarci nuovamente sul versante di Cheneil, e giù fra nevi purtroppo improbabili a tratti e boschetti fitti fitti  fino alla piazzola di parcheggio.
Io, nel mio piccolo, a parte il rischio di un paio di decessi in salita e una discesa in stile socialismo sovietico sono contento perché sopravvissuto… Niente finiranno con il bocciarmi…
Ma ne parleremo…
Dicevamo, parcheggio/merenda e via.
Ma alla fine di neve, nebbia, nubi, sole, non mi  importa, ciò che di più mi piace è l’atmosfera che si respira quando ci troviamo. Mi piace il condividere questo modo di stare al mondo.
Alla prossima, anche al costo di portarci la neve da casa… Ecco…