In questi giorni, fine novembre 2020, siamo tutti coscienti del fatto che le nostre attività in montagna e della Scuola in particolare non possono riprendere esattamente come prima.
Ma siamo fiduciosi che in base all’evoluzione, che tutti speriamo positiva, della situazione legata al Covid 2019, si possa svolgere nel 2021 il corso di scialpinismo della nostra Scuola.
Il corso 2021 è rivolto esclusivamente agli allievi del corso 2020 che, a causa del lock-down, hanno visto interrotto il loro percorso.
Sarà pertanto effettuato un solo corso con limitazione dei posti disponibili a 30 ex-allievi 2020. La limitazione è dovuta alla massima capienza ammissibile del salone ove si svolgono le serate didattiche per garantire il rispetto delle attuali norme di distanziamento.
Il programma prevede una prima parte, invernale, in cui saranno effettuate gite in ambiente medio-facile, di dislivello progressivamente crescente. La seconda parte, primaverile,prevede uscite di maggior impegno, anche su ghiacciaio, con l’intento di illustrare quelle tematiche necessarie a completare la formazione sci-alpinistica dell’allievo.
Tutte le gite in programma saranno svolte in giornata.
ISCRIZIONE AL CORSO: esclusivamente tramite posta elettronica dalla data che la Direzione della Scuola comunicherà agli ex allievi 2020.
L’annuale riunione degli istruttori della SSA si terrà mercoledì 21 ottobre.
Nel corso della riunione saranno definite le modalità operative del corso 2021 e le necessarie limitazioni nel rispetto delle linee guida della Commissione Nazionale Scuole CAI.
Informazioni saranno pertanto pubblicate su questa pagina dopo la citata riunione degli istruttori.
Accadono eventi, nella vita di ognuno, che improvvisamente ci obbligano a cambiare tutto, le abitudini, le sicurezze, i nostri rifugi dal quotidiano in un presente che diventa inusuale e complesso, proiettato verso un futuro alquanto incerto. Sono momenti in cui si vive la separazione, l’allontanamento, la solitudine, o meglio, si testa la nostra capacità di bastarci, di rimanere da soli, di adattarci alle nuove dinamiche, alle nuove regole e restrizioni, ad una nuova socialità. Sono questi i momenti in cui i ricordi e quello che di bello e positivo hai vissuto ti vengono in aiuto…un aiuto a tratti un po’ malinconico e lontano, ma vivido ed intenso. Così riesci a proiettare immagini di posti visti, ne riconosci gli odori, le sensazioni che ti hanno evocato, ti immergi in quel silenzio o in quella giornata di vento e fatica, o di sole in cima alla salita, e i tuoi ricordi ti accompagnano anche nel piccolo allenamento di casa, sulla tua bici da spinning, nei tuoi momenti di meditazione e riflessione.
Torneremo a quel vento, a quel sole, a quegli orizzonti che tanto ci mancano, ma che, in realtà, serbiamo nei ricordi e che possono accompagnarci anche in questo presente così atipico e difficile. Perciò grazie a chi verso quegli orizzonti ci ha accompagnati tante volte, ci ha incitati verso la vetta, ci ha fatti fermare per osservare e preservare il ricordo. A loro dobbiamo ciò che ora può essere tanto prezioso da regalarci un sorriso, uno stato di benessere che sarebbe difficile da trovare tra le mura di casa. Teniamoci stretti i bei ricordi nell’attesa di ripartire, di nuovo liberi, curiosi, ospiti rispettosi di quella natura che ora ci esclude ma che, speriamo presto, saprà di nuovo accoglierci.
A seguito delle nuove indicazioni del Governatore della Regione Piemonte in merito alla chiusura delle scuole prorogata a tutta la settimana ed a seguito delle indicazioni del Governo in merito alle raccomandazioni da osservare per ridurre il contagio, anche il direttivo della SSA ha provveduto a modificare i propri programmi come segue:
1. mercoledì 4 marzo non ci sarà la serata didattica indicata in calendario. Pertanto tutti gli allievi sono invitati a non venire in sede Uget.
2. la gita programmata domenica 8 marzo sarà effettuata e tutte le indicazioni per il ritrovo, orari e meta verranno date a mezzo e-mail giovedì 5 marzo, come pure saranno postate sul sito della SSA ( www.caiuget.it/ssa ). Chiederemo a tutti di confermare la presenza alla gita entro la mezzanotte di giovedì 5 in modo da poter organizzare in tempo i gruppi dell’uscita.
3. la gita sarà effettuata con auto proprie, no pullman per evitare affollamenti. Ci si troverà al luogo di ritrovo che indicheremo e lì si organizzeranno le auto ed equipaggi per procedere al luogo di partenza della gita.
4. la prevista lezione di mercoledì sera, “tecnica di discesa fuoripista”, sarà recuperata nella serata di sabato 21 marzo, nell’ambito della 5a gita che da programma si effettuerà su 2 giorni.
Stay tuned, controllate mail e sito, e arrivederci a presto!
Il numero di persone che ha effettuato la pre-iscrizione entro le 21 del 6 dicembre 2019 ha superato ogni aspettativa e dobbiamo dichiarare chiusa la possibilità di iscriversi ai corsi 2020 della Scuola di sci-alpinismo Cai Uget.
Mercoledì 4 Dicembre, alle ore 21, nel salone della Sede del CAI Uget Torino, alla Tesoriera, Corso Francia 192, avrà inizio la serata di Presentazione dei corsi di Scialpinismo che si svolgeranno nel 2020.
La Presentazione sarà accompagnata da immagini e filmati in tema.
L’iscrizione ai corsi potrà avvenire esclusivamente on-line a partire dal 6 Dicembre. Sul sito della Scuola, www.caiuget.it/ssa , sarà possibile (dalla mezzanotte del 5 dicembre) effettuare la pre-iscrizione compilando l’apposito modulo.
la Sede dell’Uget è nelle ex scuderie della Tesoriera:
Tutte le informazioni relative alla gestione dei corsi, alle uscite pratiche, alla didattica in sede, ai documenti necessari per l’iscrizione ed alla relativa quota di partecipazione saranno date durante la presentazione.
Dannazione! Follia! Mai
abbassare la guardia, mai rilassarsi!
E’ bastato un attimo di
distrazione, complici Bacco ed una serena sazietà, ed ecco che ti ritrovi
incastrato.
Anni di abili sotterfugi e
pietose sceneggiate gettati al vento. Quando ormai ti sentivi al sicuro, ecco
che il destino si compie, il Maelstrom ti inghiotte!
Con un inaspettato e plateale
colpo di mano, il Diretur ti affibbia l’incarico più temuto: la relazione di
fine gita.
D’altra parte, come hai
potuto anche solo aver avuto l’ardire di pensare di fargliela sotto il naso?
Relatori ben più degni del
sottoscritto hanno già in queste pagine descritto la mirabile potenza del
raggio della morte del Diretur. Diavolo di un uomo!
E’ quindi con rassegnazione
ed umiltà che proverò a redigere qualche riga a memoria dell’ultima gita del
corso di sci-alpinismo del CAI-UGET 2019.
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Notte fonda, appuntamenti a
orari improbabili in luoghi ancor meno probabili sono ormai cosa trita e
ritrita.
A questo giro niente bus. Che
diamine, siamo figli del XX secolo, l’impero dell’automobile!
Raccattate masserizie e
stanche ossa, proprie e degli amici e compagni, ci si avvia lungo buie statali
verso Pian della Mussa, punto di ritrovo designato.
Le prime luci non illuminano
uno straccio di bar aperto lungo la strada. Peggio per loro.
Al piazzale tira un vento
siberiano. Aprire la portiera e scendere mi pare una pessima idea, ma tant’è.
Al riparo di un muretto
pescato da una zona di guerra, uno sparuto gruppetto di istruttori e allievi
confabula.
Li osservo: questa è gente
tosta, che le rocce le sbriciola passandogli attraverso, mica le aggira. Roba
da tana delle tigri, per chi ha presente.
Dopo circa trenta secondi di
permanenza all’esterno sono colto da un certo pessimismo. In effetti, passa
qualche minuto e giunge la decisione di scendere verso Balme alla ricerca di
condizioni più agevoli.
Ripenso con piacere alle
lezioni in cui si è detto quanto sia saggio saper rinunciare quando non è cosa.
Ecco. Non è cosa.
Tornare a dormire non sarà certo
disonorevole. Noi ci si è provato.
Purtroppo (ehm…) pare che
la nuova località (frazione Cornetti) sia al momento più adatta allo
sci-alpinismo, oltre che alla vita umana in genere.
Sci a spalle, scarponi
attaccati in qualche modo, trolley, pollame e via, per un’oretta di portage che
ci porta ad un migliaio di metri dalla destinazione, il colle sotto la cima
degli Ortetti. Si calzano sci e coltelli.
Per tutelare la privacy
dell’istruttore capo del mio gruppo, gli verrà assegnato un nome di fantasia:
Vittorio Barella. Sapendo di poter contare sulla straordinaria condizione
atletica dei suoi allievi, oltre che su di una loro naturale predisposizione
alla fatica ed infine su una tecnica sopraffina, Vittorio impone fin da subito
un ritmo indiavolato. Ci si fa beffe del ripido pendio aggredendolo nei punti
più ardui ed uscendone con leggerezza. E’ una danza di punti e virgola e di
rapide accelerazioni nel candore delle nevi, quella che ci conduce ad uno
stretto canalone, dove il gioco si fa duro, e la neve sfasciosa. Divorato
l’ostacolo come un dolce babà, solo un lungo piano inclinato (muro
insormontabile è una definizione troppo forte?) ci separa dalla meta.
Graziosi animaletti spuntano tra le nevi lungo l’ascesa e si chiedono: – Chi sono questi tizi? Forse una nuova specie di ungulati, che nelle loro mute variopinte salgono veloci verso le cime per la stagione degli amori? – No, piccolo amico peloso. Essi sono sci-alpinisti. Salgono perché fa bene all’apparato cardio-respiratorio, perché amano la bellezza delle vedute e perché adorano scivolare veloci in discesa. Alcuni cercano la sfida, altri la pace, in generale sono degli squilibrati, insomma. La colorazione vivace serve ai commercianti per vendergli l’attrezzatura a caro prezzo. -Aaah, ok. Fico! Addio, addio!
Salutato Pikachu, capisco che
è il caso di rallentare un pelo per consentire un maggior afflusso di ossigeno
verso il sistema nervoso centrale.
Ma ecco che vedo il Diretur
di vedetta, ecco che compare il gruppo di amici. E’ fatta! Non siamo sulla
cima, ma più o meno al colle sottostante (quota 2900, tricabranca…) Va bene così. La vista spazia, la temperatura
non è troppo bassa, il vento non eccessivo. Delle pessime condizioni viste
poche ore prima e pochi chilometri più in là, non resta che il ricordo.
La discesa è piuttosto
divertente. Neve strana, ma non traditrice. Avesse mollato ancora un po’,
chissà… Io una bella bella dieci minuti di riposo in più me la sarei fatta,
ma le decisioni della scuola rispettano un superiore piano infallibile, la
sicurezza prima di tutto.
I tradizionali banchetti
finali sono ormai sfacciati. Si sta prendendo l’abitudine di andare nei
ristoranti a mangiare le cibarie che ci siamo portati da casa. Fantastico! Il
prossimo passo sarà di calare sui villaggi per metterli a ferro e fuoco.
Ma tutto questo il vostro
relatore lo leggerà sui giornali l’anno prossimo. Già, perché il corso 2019 è
terminato, e per me e qualche altro/a è stato il fatidico terzo anno, l’ultimo
possibile.
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Tutto iniziò sotto una
romantica nevicata nel bosco di Pragelato…
Stop! Vi risparmierò
struggenti commiati, ma voglio sinceramente ringraziare maestre e maestri che
nelle decine di giornate trascorse insieme ci hanno regalato la loro pazienza e
soprattutto il loro tempo. Mica è roba che si compra al supermercato.
Certo, è chiaro che con
campioni del nostro calibro la soddisfazione deve poi essere notevole!
When things get tough. Si fa dura, ad Aprile. Tra veri o presunti impegni lavorativi, doveri coniugali e/o genitoriali, matrimoni, cresime, tentazioni enogastronomiche, previsioni meteo tanto inquietanti quanto inaffidabili, o semplice allergia a una doppia levataccia consecutiva. Insomma, la selezione diventa severa. Più di quella imposta dal Comitato Direttivo per la promozione da SSA1 a SSA2. Al terzo appuntamento con la classica gita-di-due-giorni, il nostro gruppo di indomiti registra inevitabili defezioni.
(track: Hero, Family of
the Year
The tough get going. Il primo frame del weekend è l’usuale appuntamento nel
piazzale un tempo noto come Toxic Park. Uno dei luoghi più tristanzuoli del
nord ovest. Forse serve a marcare più nettamente la differenza tra imbarco e
destinazione. A rendere più acuto il desiderio di evasione. Funziona.
(Certo che. Ecco lo spettacolo che Torino offre ai visitatori defluiti
dall’autostrada: casermoni Falchera, grattacieli corso Vercelli, McDrive,
Auchan. E il massimo del kitsch, la statua della Sfinge che signoreggia al
centro della rotonda. Una lacca da madamine sullo squallore periferico.
Scusate, non riesco a trattenermi. Fine digressione)
Salpiamo.
Il corpo assonnato cigola nell’alba subalpina, ma l’occhio scintilla di voglie
malandrine. La montagna chiama, come un magnete inesorabile. Il piacere di
vedere intorno a te volti amici e sorrisi ormai familiari corrobora
l’ottimismo. C’è tempo per una tappa? Sicuro: ci vuole un caffè, magari un
cornetto. Ma niente autogrill, non scherziamo. Abbiamo già il nostro bar
totemico, lungo la statale della Vallèe, non ricordo il nome, ma è perfetto,
prepara cappuccini alla curcuma, must have, e soprattutto cheap: tutto a 1
euro.
Imbuchiamo
la Val di Rhemes, il morale lievita con l’altitudine, tornante dopo tornante.
(track: 50 million year trip, Kyuss
La
gita di oggi, ancora lo ignoriamo, appartiene alla categoria “no pain, no
gain”. 21 km complessivi. Una mezza maratona non esattamente indicata per chi è
reduce da una settimana di orari coatti, lavoro sedentario e abitudini malsane.
Niente di estremo, per carità. Solo un estenuante sviluppo orizzontale, che
significa lunghi “traversi”, una metronomica tortura per caviglie, stinchi e
malleoli, insomma tutto ciò che sta compresso nello scarpone.
Partiamo baldanzosi, ovvio, incoraggiati dal dolce pendio che scricchiola sotto
le nostre lamine foderate in pelle. Destinazione Rifugio Benevolo, nome
antifrastico per un rifugio CAI che non ama i gruppi CAI, segnatamente le
Scuole di Sci Alpinismo. Lo ricambiamo, girando al largo. Laggiù, a sud ovest,
occhieggia il Vallone della Vaudala, che in breve si apre lasciando intravedere
la nostra meta: Grand Vaudala. Si prende quota dapprima dolcemente, persino
troppo, tra un saliscendi di gobbe. Poi il pendio diventa ripido, scatenando
l’istinto killer del peraltro diretùr, il quale impone un’andatura da tappone
dolomitico.
Gli
incauti che cercano di resistergli arrivano in vetta parecchio provati. E con
troppo anticipo: mentre si attende il resto del gruppone, contemplando la
sagoma regale del Gran Paradiso, quel che non ha fatto la salita lo completa il
wind chill, surgelando energie ed entusiasmi. Beati gli ultimi, insomma.
Discesa dal versante nord-ovest (mi pare): neve superba in alto, poi da
“interpretare”. In basso ci attendono i traversoni della mattina, da
ripercorrere in senso inverso. L’alternativa sarebbe rimettere le pelli per
guadagnare quota. Mozione respinta, con sollievo che immagino collettivo.
Meglio i traversoni. Molti di noi già sognano doccia, leccornie e cervogia, non
necessariamente in quest’ordine. Io mi accontenterei di sfilare gli scarponi,
qualcuno deve avermi conficcato un chiodo nelle tibie.
La
Valle di Rhemes ha due, diciamo, capoluoghi: St. Georges e Notre Dame. La Val
di Gressoney, per dire, ha St. Jean e La Trinitè. Una regione devota, la
Vallèe.
Rhemes Notre Dame (fa un certo effetto, stasera, scrivere “Notre Dame”) è dove
passeremo la notte. L’Hotel Galisia, dopo la randonnée odierna, ci sembra il
Plaza. Ok, manca l’incanto del Rifugio degli Angeli: ma vuoi mettere il
disincanto di avere acqua corrente, calda per di più, e un letto con lenzuola?
A cena viene servito il tipico menu locale ammazza vegani, in quantità tali da
coprire il fabbisogno calorico di una settimana normale. Ma oggi abbiamo
bruciato, cazzo se abbiamo bruciato. Terminata la crapula, si è fatta una
certa. Il paese non offre molto, quanto a vita notturna. In alta montagna si
tende a fruire del buio in termini spenti e orizzontali. A nanna, ragazzi.
Domani ci aspetta l’Entrelor, che suona come Everest. Ma sopra di noi, il cielo
valdostano trafitto di costellazioni promette un’altra giornata colorata
d’azzurro.
“Suppongo
che andiamo all’Everest perché – in una parola – non possiamo farne a meno”,
diceva George Mallory, pragmatico come tutti gli alpinisti e concreto come un
vero figlio d’Albione, “chi rifiuta l’avventura corre il rischio di inaridirsi”.
Il
nostro Everest, la nostra avventura, oggi si chiama anticima dell’Entrelor
(l’ho già detto, si), una sgambata di 1.700 metri di dislivello. Lasciamo il
paese poco dopo le 7. Si sale, sci in spalla, attraverso un ripido bosco di
conifere. Portage inevitabile, ma proficuo. Acquistiamo quota rapidamente,
scaldiamo i muscoli. Fa un freddo becco. L’inverno incompiuto ha ancora in
serbo qualche colpo di coda. Uno di questi ci tende l’agguato all’uscita del
bosco, dove la pendenza digrada per raccordarsi con il
Vallone di Entrelor, soffia un vento caimano. Ripariamo al vicino Rifugio delle
Marmotte. Altro che Benevolo. Qui ci accolgono come vecchi amici e un bicchiere
di tè che è un vero salvavita. Ripartiamo con il termometro che segna -10,
sempre in compagnia di Eolo. La neve a quota 2200-2300 ha la consistenza del
marmo. Laggiù, in fondo al vallone, un’ipotesi di sole illumina la nostra meta.
Sembra lontanissima. È bellissima. Andiamo a prenderla.
Attraversiamo
il vallone mantenendo una leggera sinistra orografica, fino a un colletto
pianeggiante. Qui scatta la giornata dell’orgoglio femminile: Francesca Restano
guadagna la testa del gruppo, diventa capobranco e trova un passo che mette
d’accordo tutti, i belli con i brutti. In breve, seguendo una traccia evidente
come una pista da bob, risaliamo ripidi pendii, pieghiamo a sinistra in
direzione della cresta spartiacque e poi a destra per uscire finalmente in
vetta, a quota 3.397.
Il
vento si è posato, l’aria è secca, energizzante, allegra. Intorno a noi,
un’assemblea di giganti. Gran Paradiso, Ciarforon, Monciair, Tresenta, Bioula,
Herbetet, Grivola, Gran Nomenon. Qualcuno si schermisce sdegnoso dietro nubi
paffute. Se rinasco, voglio dare il nome a una montagna.
Per buona parte della discesa, il vallone di Entrelor ci regala emozioni
sopraffine. C’è gloria e polvere per tutti, o quasi. Gemiti di piacere e
barbarici “yawp!” echeggiano tra l’aspre rupi mentre ariamo coscienziosamente
il pendio. Troviamo qualche tratto di crosta, ma è poca roba, non c’è rosa
senza spina.
In basso, in compenso, la neve ha mantenuto quasi la consistenza marmorea del
mattino. Un ultimo sforzo di quadricipiti e siamo in vista del rifugio. Sono le
14, come previsto da Sergio Bandini. Diavolo di un ingegnere.
(Track: Land of 1000 dances, Wilson
Pickett
Siamo
attesi da una polentata terrificante e facciamo onore al cuoco. Il rifugio
Delle Marmotte è gestito da volontari dell’Operazione Mato Grosso. Gli incassi
dei pasti e dei pernottamenti coprono le spese e l’utile va nelle casse
dell’OMG, per sostenere le attività svolte in Sudamerica a favore dei
bisognosi.
Sono ragazzi e ragazze che dedicano al rifugio il tempo libero. Scenderanno
stasera, dopo di noi. Hanno turbina idroelettrica e pannello solare per
produrre energia, usano detersivi ecologici, piatti e posate sono in materiale
compostabile.
Scendiamo
a valle, sciando finché lo permette l’innevamento a macchie di leopardo, poi a
piedi fuori dal bosco, fino in paese. È andata. Ci aspetta il sublime piacere
di sfilare gli scarponi e la delizia di una birra ghiacciata. Brindiamo al Dio
Delle Piccole Cose, che ci ha regalato la Giornata Perfetta.
(Track: Del tempo che passa la felicità, Motta
Si
avvicina “l’ora che volge il disio ai navicanti”, ora di riprendere la strada
di casa. Salutarsi è un po’ più difficile del solito. O forse sono io a essere
diverso, oggi. Non so. Siamo tutti piccoli battelli ebbri, in fondo, non
vediamo l’ora di spezzare gli ormeggi e lasciare le rotte abituali, di quando
in quando. Tenere vive e ardenti le “inutili” passioni: è l’unica cosa che ci
fa vivere. La saggezza ci fa semplicemente durare.
È
stato un onore e una gioia “suonare” con voi, oggi. Siete un gruppo fantastico.
Grazie a tutti, ma proprio tutti. Anche quelli di cui non ricordo mai il nome.
Ma tra buoni compagni di viaggio ci perdoniamo questi dettagli. Ai nomi
penseremo la prossima volta.
Un
grazie speciale a Francesca e Dario: sono la ragione per cui sto scrivendo
queste righe, che vado a terminare, ringraziando infine chi è arrivato fin qui
a leggerle. Spero di non aver tediato troppo. Apposta ho aggiunto le musiche. E questo è
tutto.