Una breve premessa per chi fosse lontano dal mondo trail anzi ultratrail. L’Ultra Trail del Monte Bianco rappresenta la gara regina di una serie di gare di vario percorso che si svolgono a Chamonix nell’ultima settimana di Agosto, e dove si misurano atleti di grande livello internazionale e gente comune come la sottoscritta.
L’UTMB, con i suoi 171 km e 10.000 m di dislivello positivo, è il sogno di molti trailer, per potervi partecipare occorre prima aver concluso alcune gare di qualificazione, raggiungere un punteggio, e infine, dato il grande numero di richieste, incredibile ma vero, anche essere estratti.
Ed è a questo punto che inizia l’avventura, almeno così è successo a me, e da Gennaio in poi i mesi sono trascorsi pensando sempre all’UTMB, alla preparazione, alle gare intermedie, ma anche a non esagerare, e a curarsi gli acciacchi che inevitabilmente sono arrivati.
Nel 2014 avevo già partecipato alla CCC, Courmayeur-Champex-Chamonix, 100 km e 6100 m disl, questa volta avrei completato l’anello partendo da Chamonix.
Quante emozioni, a cominciare dalla partenza, atleti provenienti da tutte le parti del mondo, riconosco qualcuno incontrato in altre gare, riconosco qualche top runner, e mi piazzo nelle retrovie, sono lenta e il mio obiettivo è superare i cancelli orari lungo il percorso e arrivare, mi ripeterò spesso “ il ritiro non è contemplato”, e nei momenti di crisi “esiste davvero una ragione sufficiente a farmi ritirare proprio adesso?”.
La gara parte alle 18, i primi 8 km sono in piano e corribili, poi la prima salita, bella tosta, a Le Delevret, discesa e dopo il ristoro di Saint Gervais non mi sento troppo bene, sintomi da svenimento, devo coricarmi lungo il ciglio del sentiero, molti mi chiedono come sto, arriva anche un uomo dell’organizzazione, ma rassicuro tutti, tranquilli non è niente!
Insomma, non è vero che sia proprio niente, ma non accetto l’idea di mollare, mangio un gel pensando ad una crisi ipoglicemica non gestita bene, mi rimetto in piedi e riprendo faticosamente a camminare, però mi sento affaticata e per qualche ora rimugino nefasti pensieri di ritiro, il traguardo è mostruosamente lontano!
Ma mi riprendo fisicamente e psicologicamente, e da quel momento divento un caterpillar e macinerò km, salite e discese e avrò sempre pensieri positivi.
Capirò più tardi che dovevo aver avuto una sorta di congestione per una manciata di pezzi di banana ingurgitati al ristoro, non a caso per tutto il resto della gara, e ancora parecchi giorno dopo, la sola vista delle banane mi procurava nausea. Quindi MAI sottovalutare la gestione dell’alimentazione.
Da Les Contamines si sale sempre e inesorabilmente fino alla Croix du Bonhomme, non fa freddo, ma la giacchetta ci sta, discesa a Les Chiapieux e poi lunga salita, la prima parte su asfalto, noiosissima, fino al Col de la Seigne.
Durante questa lenta salita su asfalto, che chi sa correre corre, mi venivano i colpi di sonno, ciondolavo, letteralmente!
Finalmente arrivo al col de la Seigne, Italia, un abbozzo di discesa, ma subito ancora una salita, piccola ma bastarda, al Col des Pyramides Calcaires, variante introdotta proprio quest’anno. Non ne sentivamo la necessità giuro.
Panorama da fiaba, tra il sonno e la stanchezza così mi appare… Siamo sopra le nuvole che ancora coprono il Lac Combal, discesa brutta brutta tra i massi e finalmente Rifugio Elisabetta e lungolago.
Ancora una salita e poi Courmayeur, preceduta naturalmente da una discesa ripida e tecnica. Non ne azzecco una di previsione di tempi di discesa, sempre sassi e radici tra i piedi, e visto che la strada è ancora lunga meglio non rischiare.
Al ristoro di Courmayeur mi aspettano gli amici tra cui Silvia la mia psico-coach, una volta tanto non sono da sola e ho un po’ di assistenza, ma ne parlerò dopo.
Il ristoro di Courma è una base vita, mi fermo un po’ di più, mangio una pasta, cambio maglia e scarpe, ma non posso perdere tempo, non siamo ancor a metà quindi on the road again.
Obiettivo Col Ferret, ma prima i rifugi Bertone e Bonatti, dal profilo altimetrico ricordavo che dopo la salita al Bertone, che caldo pazzesco, si arrivasse con un dolce saliscendi al Bonatti, ma non è vero, questi saliscendi chissà perché sono prevalentemente sempre sali ed i rifugi sono sempre dietro l’angolo ma lassù!
Ad Arnouva ci sono di nuovo i miei amici a salutarmi e poi su verso il Colle.
Panorama superbo ovunque, per non parlare dell’accoglienza e dell’incoraggiamento ai ristori e lungo il percorso.
La discesa a La Fouly è prima tecnica poi corribile, non so come faccio ma una corsetta in discesa riesco ancora ad abbozzarla, i tetti che vedo dall’alto però non sono quelli del ristoro, ancora giù giù a fondovalle.
A Champex di nuovo incontro Silvia, mangio la minestrina e riparto. C’è un temporale, sento tuoni e vedo i fulmini ma sono ancora lontana e quindi ne evito le fasi più temibili, solo un po’ di pioggia giusto il tempo per farmi indossare i pantaloni impermeabili che già ha smesso.
Una eterno falso piano in salita e poi discesa in teoria corribile, ma ho un sonno sonnissimo, ogni tanto mi fermo per sedermi su qualche scomoda pietra, i massi più comodi sono già occupati, ma riesco lo stesso ad addormentarmi per pochissimo tempo, forse neanche un minuto, ma basta per resettare il cervello e riprendere.
Siamo a 130km, penso mancano “solo” più 40km, meno di una maratona, meno di un trail medio, ma mancano ancora tre temibili salite, Bovine, Catogne, Tete aux Vents.
Prima di Col de Montets e Tete aux Vents vedo ancora gli amici a Vallorcine dove arrivo poco prima delle 11.
E siamo a 150km, davvero siamo quasi alla fine, sto bene, anche se sono un po’ rallentata, non me accorgo ma poi rivedendo i filmati è ben evidente, e ho anche avuto le allucinazioni da privazioni di sonno, tutto regolare insomma.
Nell’allucinazione più nitida e articolata mi sembrava di vedere sedute su una panchina lungo il sentiero di discesa a Vallorcine due figure, di cui una donna vestita di verde, pensavo fossero parenti di qualcuno, ma in realtà non c’erano né la panchina né le persone, e il vestito verde erano le foglie degli alberi…
Per non parlare poi delle immagini provocate dai giochi di luce della pila frontale, ho visto interi palazzi costruiti nel cuore del bosco!
L’ultima salita a Tete aux Vents penso di ricordarmela bene dalla CCC, ma non abbastanza bene infatti me la prendo comoda e poi dovrò correre come non avrei pensato di poter ancora fare per non mancare il cancello orario di La Flegere, perché quel vantaggio che avevo ai cancelli dopo la seconda notte è andato via via riducendosi.
Ancora 7 km di discesa e poi l’arrivo, ma ancora dobbiamo soffrire su un sentiero ostico, vorrei correre un po’ per arrivare prima e fermarmi. Negli ultimi 2km posso accelerare, ormai ci siamo, corricchio e finalmente imbocco il percorso lungo il torrente dove uno mi chiama, mi dice brava, mi fa una foto da mandare ad un’amica, lui che applaude me, una tapasciona, è un trailer molto forte di Torino, saprò dopo che si era ritirato.
L’emozione all’arrivo non si può descrivere, sono ormai tra gli ultimi, dopo di me poche decine ancora, ma il pubblico applaude e ti porta alle stelle, mi fermo poco prima del tappetino, è occupato dai fotografi e altri dell’organizzazione, finalmente ancora un passo e tutto si è compiuto, sono FINISHER!
Siamo partiti in 2555 e siamo arrivati in 1468, 1087 runner hanno lasciato il proprio sogno lungo il percorso, ma io ce l’ho fatta.
E ho portato al traguardo con me mio marito Ezio, il mio personale angelo custode, perché anche lui amava correre in montagna, ma ora non è più tra noi perché un maledetto male lo ha scelto.
Devo necessariamente aprire una parentesi relativamente ad una parte molto particolare del mio allenamento. Silvia è una cara amica psicologa che l’anno scorso ha iniziato un master di psicologia dello sport con il prof. Giuseppe Vercelli dell’Unito nonché psicologo e trainer di campioni olimpici.
Essendo alla ricerca di un caso per la sua tesi Silvia mi propone di lavorare insieme, accetto ben volentieri e inizia un percorso di applicazione della metodologia SFERA.
E’ difficile condensare in poche parole in cosa consista, si lavora sulle paure, sul dialogo interiore, ma anche aspetti più pratici quali gestione dell’energia e del sonno. Fondamentalmente si deve giungere ad una sincronia tra corpo e mente affinché il corpo esegua ciò che la mente pensa.
Non so come sarebbe andata senza l’esperienza SFERA, impossibile dirlo, ma sicuramente mi è stata di grande aiuto perché molte volte sono ricorsa a quanto avevo imparato e accolto in questi mesi.
Inoltre penso che per concludere una prestazione di endurance si debba partire con l’intima convinzione e consapevolezza che sarà molto molto faticoso, senza distinzione tra i primi e gli ultimi si soffrirà, che nulla sarà regalato e tutto dovrà essere conquistato. Altrimenti la disillusione può fermare ancora prima della reale necessità fisica o fisiologica.