Un anno celebrato

L’ultimo coriandolo era finito sotto la sedia della terza fila. Chinatosi a raccoglierlo, Luciano guardò la sala ormai vuota, le luci alte ancora accese. Ad accompagnarlo il silenzio, là dove poco prima il coro era schierato in formazione a ricevere i meritati applausi. I festeggiamenti per il 70esimo si erano chiusi in modo entusiasmante.

Foto di Giorgio De Bernardi

Non un concerto, ma uno spettacolo vero e proprio che di certo rimarrà nella storia del coro e (dovrebbe) in quella della Sezione CAI UGET che esso rappresenta.

Per raccontare 70 anni di storia siamo partiti fin dalla primavera con una serie di concerti nei capoluoghi di provincia piemontesi, senza dimenticare le montagne che rimangono la vera cassa armonica della musica popolare.

Lo spettacolo finale è stato frutto di un lavoro davvero corale non solo nell’esecuzione dei canti sul palco, ma ben prima nell’integrazione tra la parte burocratica, quella organizzativa e quella artistica. Per la prima volta abbiamo dato prova che un coro cosiddetto “di montagna” può portare la musica al centro di un evento che ha la musica stessa nella sua accezione più ampia.

Nel primo tempo, più tradizionale, il Coro ha eseguito alcuni brani storici del proprio repertorio. La classica formazione a semicerchio, il giovane maestro, Andrea Giovando ad un’estremità, anticipato da una breve scenetta, in cui si ricostruiva l’escursione primigenia che diede vita alla nostra compagine.

Via via che scorrevano i canti, introdotti di volta in volta da metriche poetiche, scherzi e equilibrismi verbali, la visione si arricchiva e impreziosiva della dolcezza e talento artistico di Cecilia Novarino che al pianoforte introduceva e accompagnava i canti sul palco; una dimostrazione che il linguaggio musicale è universale.

Con scoppio ilare e divertito faceva poi il suo ingresso sul palco una nuova, piccola realtà: il coro MiniUget! Figlie, figli e nipoti dei coristi che nella loro fiammante maglietta rossa eseguivano impeccabilmente “La Dosolina” supportati dagli adulti alle loro spalle che con sguardo tra il commosso e il divertito sottolineavano l’uscita dei piccoli cantori sulle note incalzanti di “Pietro Ritorna”.

Il pensiero corre immediatamente al nostro futuro: magari questa piccola, grande esperienza, gestita magistralmente da Beppe Varetto, farà germogliare nelle giovani menti, la passione per il canto.

Con tocco sensibile e competente, Luciano spegneva le luci sul palco mentre partiva la voce di Gilberto Zamara, primo direttore del Coro. La voce si diffondeva tra le file degli spettatori affascinati, trasportati in montagna ad ascoltare la strenua difesa dei confini con “Alpini in montagna”, partita, senza soluzione di continuità, proprio dopo le parole del Maestro. Momento di rara intensità che con la mente ci portava a ricordare Bobo, il nostro compagno prematuramente scomparso, ma ora con noi, qui sul palco.

Il primo tempo si chiudeva sulle parole dell’intramontabile Emidio Bergamasco, con un’ovazione e la consapevolezza di essere partecipi di qualcosa di davvero unico.

Celebrati gli ex coristi decani dalla figura istituzionale del Presidente Andrea Costantino, il suono prorompente di un violino attaccava dalle quinte. Partiva il secondo tempo, sul ritmo incalzante dell’ensemble ArchiTorti.

Il gruppo pinerolese, scandiva ora dolce, ora deciso le esecuzioni del coro, sottolineando con enfasi o con dolcezza, alcune tra le pagine più belle del nostro repertorio.

Un attimo, un battito d’ali poetico e, l’intro di No Potho Reposare lasciava commossi i 600 della sala, ammirati, e quasi estasiati, dalla bellezza delle voci di Stefano Giovando e Arianna Stornello.

Entrano poi le voci di Chorus, Il gruppo jazz-a-cappella, generato direttamente dalla storia del Coro, rende omaggio agli amici con una performance ritmica e complessa, lontana dal canoni armonici classici del canto popolare, ma sempre cosi intimamente adatta allo spirito dello spettacolo!

Tutto si chiude con un brano natalizio. One Single Bell, eseguito in comunione per la commozione di tutti.

Chiusura, in crescendo, con un Mazzolin di Fiori, omaggiato a tutto il pubblico, ad esplodere letteralmente in una cascata di coriandoli rossi e gialli ad inondare il palco e le prime file.

Persino le autorità, in testa la sindaca Appendino, rimanevano fino alla fine ad applaudire una realtà cittadina che forse non pensavano fosse cosi rappresentativa del territorio e cosi spendibile come immagine della città.

Nota di merito per i due gestori del palco, il duo Federici/Bastianelli che senza autocelebrazione, sono riusciti a immaginare, creare, e coordinare la scena. Ironia, giocoleria verbale, commozione si sono perfettamente integrate con il sapiente gioco di luci, suoni e armonie.

 

IL 2017 resterà un anno esemplare, pietra miliare nelle esecuzioni del canto di montagna, simbolo e rinascita di una cultura mai defunta, ma spesso relegata alle fiere di paese. Il nostro sforzo organizzativo e la sua riuscita, hanno dimostrato che il canto può essere spettacolo, attrarre i giovani, mantenere desta l’attenzione e lasciare il pubblico soddisfatto da una serata che probabilmente non avrebbero pensato di vivere.

Il solco tracciato, settant’anni fa, da quel manipolo di giovani escursionisti è stato debitamente arricchito, irrigato e coltivato da generazioni di coristi che ancora oggi, fedeli al loro motto, declamano: Passa Parola, che la monta ancora!