Da una ricognizione scialpinistica di Andrea Gobetti e altri attempati delinquenti esce la montagna inviolata. Si chiama Mali Dejes è alta 2200 metri ed è in Albania. La sorpresa sta nel fatto che trovare oggi un massiccio calcareo mai calpestato da speleologi ad una distanza ragionevole da casa è, fatti i debiti confronti, come scoprire sulle Alpi un quattromila che nessuno ha ancora salito.
Che dire dell’organizzazione Gobetti? Quantomeno flemmatica nei preparativi, possibilista nella permanenza, indeterminata al ritorno. Una gustosa serata preparativa vedeva due solerti ingegneri porre indiscrete domande inerenti l’imminente spedizione: Quando si parte? Chi ci sarà? Mezzi di trasporto? Domande alle quali l’ineffabile rispondeva cantando di pozzi infiniti, di meandri sinuosi e sorgenti misteriose in un crescendo di pura letteratura orale. Al momento le quattro spedizioni finora effettuate, la quinta è in preparazione, hanno visto partecipazioni eterogenee all’interno di una solida base tosco-torinese.
“Si può perdonare il sangue del padre, del fratello o del figlio, ma non quello dell’ospite, a chi è stato offeso l’ospite resta la sola scelta fra disonore o rovina”
trovammo scritto in una guida datata 1940 che Marziano portava prudentemente con sé. Scoprendo anche che la citazione risale niente meno che a Procopio, ritenemmo pratico trovare una base logistica in loco e presentarci infine in veste di ospiti. Mecukul sarà il nostro punto di partenza e Hysnie il nostro padrone di casa. In questo modo ci siamo garantiti una buona accoglienza presso tutto il paese, salvo essere colti a compiere gesti di imperdonabile sconvenienza quali curiosare dentro le pentole della cucina: siamo nelle terre del kanun. Il kanun è il codice comportamentale che ha regolato per secoli tutti gli aspetti della vita sociale delle montagne del nord dell’Albania. Redatto all’inizio del XV secolo, pare avere antichissime origini illiriche.
Mecukul invece è un paese di un migliaio di anime posto un centinaio di chilometri a nord di Tirana, non ha un centro ma è composto da agglomerati di 3 o 4 case abitate da famiglie alleate, sparse per un ampio pianoro ai piedi del Mali Dejes. Il paese è musulmano, blandamente. Niente moschee, niente minareti, niente muezzin, niente preghiere e soprattutto niente divieti per gli alcolici. Sicché se vieni invitato per un caffè puoi mettere in conto in partenza anche un paio di litri di raki, che poi è il distillato di prugne che abbonda in tutti i Balcani dalla Slovenia in giù.
Se ti comporti bene e bevi senza fare storie ti accompagnano agli ingressi delle grotte. Il primo colpo è clamoroso: un pozzo di dimensioni colossali (20 x 40m) profondo 170 metri. In breve le esplorazioni diranno che la grotta, chiamata Ne Shehe, è profonda 450 metri e chiude in vari punti su sifoni dopo un paio di chilometri di grandi gallerie. Non male come esordio. Il rovescio della medaglia è la presenza di un pastore matto dedito al lancio di grandi massi dentro al pozzo che ci ha costretti a lasciare all’ingresso, durante le discese, un paio di sentinelle atte a scongiurare incidenti. Il resto è storia di grandi camminate in cerca di abissi peraltro puntualmente trovati: un centinaio di cavità, per lo più grandi pozzi, hanno qua e là interrotto il nostro cammino. Alcuni sono stati scesi ed in genere continuano a scendere, al momento abbandonati per mancanza di corde. Qui un dilemma: se porti molto materiale cammini carico come un dromedario e vai meno lontano, se ne porti poco ti trovi a pendolare nel vuoto perché la corda è finita ma il pozzo no. Finora sono stati esaminati i pendii del Mali Dejes fino a 5-6 ore di cammino dal paese che, considerato il ritorno, fanno giornate di più di 12 ore di movimento: ci resta da controllare l’altra metà della montagna a distanze di più di 10 ore di marcia dalla base. Dormire sui monti? Possibile se non fosse per le bestie: i pastori locali viaggiano armati come marines, fucile per i lupi, kalashnikov per gli orsi. Pare che pernottare fuori non sia salutare.
E così ha inizio la medesima solfa di sempre: capire dove l’acqua entra, cercarne le sorgenti, individuare i livelli freatici nei quali l’acqua scorreva milioni di anni fa, indovinare le morfologie passate, rintracciare i basamenti di rocce impermeabili, inseguire nelle correnti d’aria sotterranee il respiro delle montagne.
Girovagando, grazie anche Google Heart finalmente incappiamo in una sorgente, un mostro da 1500 litri al secondo (in magra) a 150 metri sul livello del mare. Ci dice che potenzialmente potremmo trovare una grotta profonda più di 2000 metri. L’ennesima sessione di caffè, debitamente arricchito, ci procura poi le informazioni per arrivare a Spela Linas, una grotta che beve le acque di un lungo vallone. Al momento è ferma alla profondità di 230 m su un sifone: la prossima volta dovremo presentarci muniti di speleosub.
“Cosa ‘t cerche st’ani ‘nt le tane? Cerche ‘d resteie?”
domandava Giuanin Magnana, il decano dei pastori del Marguareis. Cerchiamo. E cercando di restare bambini abbiamo trovato gli animali ipogei, un grosso trechino, – “nuova specie, sconosciuta alla scienza” – hanno sentenziato i dottori e un gigantesco (relativamente all’ambiente ipogeo) pseudoscorpione quasi sicuramente anch’egli nuova specie, sconosciuta alla scienza. E ravanando in una grotta vicina a Mecukul sono sbucate un paio di ceramiche preistoriche, assai arcaiche, per cui la prossima spedizione partirà corredata pure di un paio di archeologi.
Eh sì, cerchiamo.