Non sono nuovo a idee strampalate, per mia fortuna ho amici che le appoggiano. Il Monte Bianco in giornata? Perché no…
Il tempo di una telefonata alla persona giusta e tutto è già organizzato, la telefonata recita più o meno così:
“Sà Giuse sabato il meteo è buono, il Bianco sembra in condizioni ottime, visto che tu hai il tempo contato partiamo dopo lavoro venerdì, andiamo a Chamonix, arriviamo in cima e rientriamo, per le 16:00 di sabato sei a casa!”.
Ci troviamo al casello autostradale di San Giorgio alle 21:00 di venerdì 27 Maggio. Con Giuse cerco di regolare un suo sci sul mio scarpone da gara. Forse è solo Giuse che maneggia lo sci, io penso piuttosto a mangiare quello che ci siamo portati da casa: per una salita del genere non posso distrarmi, devo alimentarmi. Il problema è che partendo da casa mi sono accorto che un attacchino non è perfettamente funzionante e non mi fido a salire e, soprattutto, a scendere con quello. A conti fatti devo dire che lo sci di Giuse mi aiuterà e non poco.
Durante il viaggio ripassiamo i tratti cruciali della salita: io ripeto che ce la facciamo, Giuse naturalmente ribadisce l’esatto opposto. Arrivati al tunnel del Monte Bianco, forse per scaramanzia propongo: “Facciamo il dieci corse, ci costa meno e almeno se non riusciamo a salire questa volta torniamo la prossima settimana”.
Giunti in terra francese non abbiamo il tempo di prendere fiato, appena usciti dal tunnel si parcheggia sulla sinistra e via. Partiamo di buon passo con gli sci in spalla, lo zaino non è dei più leggeri, però il morale è tornato alle stelle. Le temperature sono decisamente alte, in maglietta e scarpe da ginnastica saliamo bene. I problemi iniziano quando incontriamo alcune lingue di neve: perdiamo il sentiero più volte, ci bagniamo i piedi e rallentiamo la salita.
All’arrivo della vecchia funivia a quota 2400m circa calziamo scarponi e sci: siamo a circa due ore di salita. Dal Ghiacciaio dei Bossons ci separa “solo” più un tratto ripido, in cui l’assenza di rigelo ci fa sprofondare nella neve fino al ginocchio. Arrivati sul ghiacciaio, eccoci nel caotico mondo di seracchi, crepacci e sinistri scricchiolii: attraversarlo la notte è stato più rilassante che sotto il sole. Ci leghiamo: ramponi e sci in spalla per un centinaio di metri.
Le luci di tante frontali ci precedono e ci segnano il cammino verso un cielo stellato che sembra di buon auspicio. Fino al Rifugio dei Grands Mulets la traccia battuta il giorno prima è diventata una striscia di ghiaccio. La concentrazione è massima per evitare di sprecare forze inutilmente, procediamo legati senza dire una parola.
Ci coglie il giorno verso quota 3500m dove inizia la cresta del Gouter, raggiungiamo cordate partite dal rifugio, ramponi di nuovo ai piedi e su per questa cresta affilata che sembra portarti in paradiso. Il passo è ancora buono, arrivati sui 3900m dove si possono calzare gli sci veniamo colpiti dal sole, che bellezza potersi sedere sullo zaino mettersi gli occhiali, bere un sorso e mangiare qualcosa.
La ripartenza qui segna la svolta della salita, giunti sul piano nei pressi del Col du Dome sotto la Capanna Vallot, siamo presi da un sonno incredibile: siamo partiti dopo una giornata di lavoro e non abbiamo ancora dormito. Le cordate che superiamo sono tantissime di ogni nazionalità ed età, alla Vallot sembra ci sia un raduno di cadaveri viventi, ma decidiamo di partecipare anche noi alla festa: giù di nuovo lo zaino e via con bevande e barrette. Sono le 8:30, fossi stato a piedi sarei tornato indietro, invece con gli sci al seguito continuo a scrutare la parete Nord: si scende dalla cima sci ai piedi, non possiamo mollare.
Da qui in avanti, sci in spalla, saliamo lungo la Cresta des Bosses, la neve è dura e la traccia buona, ma è il passo a non essere dei più sicuri.
La cima sembra irraggiungibile: molte cordate come noi e con il nostro stesso sogno sono lì. Dopo l’ennesimo dosso che nasconde la vetta, mettiamo piede sul tetto d’Europa! La salita è finita e d’ora in avanti sarà solo discesa sui nostri amati sci.
Mi succede spesso al termine di un grande sforzo di commuovermi, anche questa volta è successo, credo ne sia valsa la pena, anche per Giuse che non lo ammeterebbe mai.
La discesa è filata via veloce tutto a ritroso giù per la Nord e poi sulla normale dei Grands Mulets. Alle 14:30 siamo all’auto, alle 16:30 a casa. Meno di venti ore per un Bianco da ricordare.
I tempi non sono da record, abbiamo gestito la salita da uomini di esperienza e non da atleti, categoria a cui non mi sento di appartenere. Alla base di tutto la grande passione per la montagna, la voglia di soffrire e di misurare le proprie capacità di resistenza, quello che ti dà quella soddisfazione una volta alla macchina di dire a te stesso: “Hai visto? Ci sei riuscito”.
Non mi resta che riaprire il libro dei sogni che per me è ancora lontano dal terminare, e come un bambino sognare nuovi progetti e nuove avventure…
Luca Berta