Dietro il più celebre canto di montagna, tradotto in trenta lingue, nome e vessillo dell’ambiente alpino, si cela una storia piemontese. Il suo compositore Toni Ortelli, all’epoca studente universitario a Torino, nel luglio del 1927 si trovò a fare una gita al Pian della Mussa. L’incanto del paesaggio, dove giochi di luci e suoni lo suggestionarono oltremodo, lo portò a creare quei versi immortali
Lassù tra le montagne,
tra boschi e valli d’or…
Rientrato in città, insieme ad alcuni amici trentini, Ortelli completò lo spartito partendo da una melodia di ispirazione popolare ascoltata la sera prima in un’osteria di Balme e la mattina stessa probabilmente da un pastorello, fondendola con un testo che toccava una delle figure storiche e mitiche delle leggende dolomitiche, quella di Soreghina, la figlia del Sol che non poteva stare sveglia oltre l’arrivo del buio. Un maleficio l’aveva condannata a morire all’istante se fosse rimasta sveglia al calar del sole. Un giorno Soreghina prestò soccorso ad un bel principe che cadendo da cavallo aveva perso la memoria. Fu così che i due si innamorarono e vissero felicemente insieme. Una sera d’autunno però il principe ricevette la visita di un amico che gli fece ricordare la verità: lui era innamorato della regina dei Fanes! Soreghina lo ascoltò a lungo ma senza accorgersi del sopraggiungere del buio e così morì, distrutta dal dolore. A nulla valsero i pianti del principe nel chiederle perdono, la fanciulla rimase inerte tra le braccia sconsolate del ragazzo. Il canto scritto da Toni Ortelli arrivò poi all’orecchio di Luigi Pigarelli che lo armonizzò per coro a voci pari per il coro SOSAT (futuro SAT); da allora quelle note conquistarono il mondo. Un secondo canto, intitolato proprio “Soreghina”, riprende il tema della leggenda suddetta attraverso l’utilizzo della struttura della villotta friulana. In pochi versi, grazie ad un’armonizzazione di grande efficacia, si ricostruisce il clima dei racconti orali degli anziani attorno al fuoco la sera. Anche qui la storia non viene realmente narrata, ma fa da spunto a ricreare una situazione antica nella memoria del tempo, dove la fantasia e la parola erano le protagoniste nel nutrire le giovani menti che estasiate ascoltavano. Aladar Janes scrive nel 1948 questa melodia di rara intensità, avvolgente e spirituale, paragonabile per certe sonorità ad alcune composizioni di Arvo Pärt, dove la base armonica continua crea un tappeto attorno alla musicalità naturale della lingua friulana.

Il coro Cai Uget esegue la Montanara in chiusura di tutti i concerti e Soreghina è parte attiva del repertorio. Ogni volta che l’atmosfera lo consente si sente il respiro leggero della figlia del Sol, seduta davanti alla sua casupola ad ascoltare il suono e la magia della natura.
Sa la costa de Fraghina i nes vejes i contea che ‘na ota je stasea la lusenta Soreghina.
(traduzione: Sulla costa di Fraghina i nostri vecchi raccontavano che un tempo vi abitasse la luminosa Soreghina)
di Pietro Bastianelli