Il sole già scalda alle dieci del mattino. Il capo-gita percorre il sentiero, per nostra fortuna ombroso qua e là, con il passo saggio dei settantotto anni – lo scaramantico lungo ombrello appeso al braccio.
Camminando ci affresca con poche efficaci parole la battaglia delle Alpi del giugno 1940, il colpo di pugnale contro la Francia già sconfitta dai nazisti. Le nostre truppe erano impreparate e male attrezzate, e perfino il tempo fu nemico, con neve e freddo fuori norma per la stagione: ma, inesorabilmente, il 1 giugno le leggere divise estive avevano sostituito quelle invernali (a Roma, dove le cose si pensavano, era già estate). La
disorganizzazione era tale che furono i francesi ad avvisare un nostro battaglione di alpini, alle ore 1 e 32 del 26 giugno, che era stato firmato l’armistizio. Alla fine, dopo sedici giorni di cui meno della metà effettivamente guerreggiati, si contano 220 caduti sul lato italiano e 6 su quello francese – e tra i 2200 feriti della nostra parte sono innumerevoli i congelati. Mussolini venne in visita sui luoghi della “vittoria” ma si fermò
a Ulzio – così era obbligatorio chiamare allora il paese, e non Oulx: si temeva che gli alpini Mussolini volessero accopparlo.
Intanto si procede con qualche fatica sul tracciato in forte salita; superata l’ultima baita ristrutturata (là ci saluta una giovane coppia con i due bimbi che ci offrono steli d’erba) sulla destra appare, come un castello gotico, il profilo roccioso della Torre Gialla di Barabba – per questo povero cronista è una vera scoperta da viaggio nell’Altrove. Lontano, piccola alle nostre spalle, s’intravede al fondo di Valle Stretta la rotondità del Tabor, ancora totalmente bianca (il bianco fa ripensare gli alpini del 1940 e i loro improvvidi generali). Qualche mountain bike c’incrocia in discesa. Alcuni tratti del cammino sono ameni oltre ogni attesa e ricordano che non è il caso di andar troppo lontano per vivere belle montagne – quelle che il nostro capo-gita, che reca un chiaro cognome di Alta Valsusa, ha percorso tutte fin da bambino. Siamo ora arrivati ai prati del colle des Acles, a 2200 metri di quota, sotto le pareti dellaguglia del mezzodì.
Oltre e sotto di noi la vista è quella di una nuova valle, profonda e scura, che piega poi in curva verso sud. Un cippo antico reca da un lato la croce dei Savoia, dall’altro i gigli di Francia.
Una piccola sorgente “al di qua” guarda il Po, un’altra “al di là” pensa invece al Rodano: ma dalle prove subito effettuate emerge che il sapore dell’acqua è lo stesso.
di Eugenio Masuelli