Licheni

L’angolo della scienza
Testo di Alberto Cotti. Foto di Roberta Cucchiaro

Nel suo libro “Storia popolare delle alghe britanniche” del 1856, il dotto David Landsborough scrisse che i licheni li creò Dio per aggiungere colore e varietà alle rocce e ad altri substrati.

Quale poetica visione! Già argomento di studio di Aristotele e Teofrasto suo allievo, niente come un lichene ci porta indietro negli eoni del tempo in antiche foreste brumose dagli odori dimenticati, in lande rocciose senza tempo. Esempio di vita elegante e ingegnosa, essi sono il frutto di un aiuto reciproco che fa dello sfruttamento dell’altro il “do ut des” naturale,
la convivenza, dal greco Sim (insieme) e Bios (vita). La simbiosi. E per la maggior parte dei licheni si tratta di una simbiosi mutualistica, cioè di un rapporto nel quale entrambi gli individui ne ricavano un vantaggio.
Il lichene è composto da un fungo e da un’alga che uniscono le forze per riuscire a vivere dove non riuscirebbero da soli; l’alga, che possiede la clorofilla, provvede alla respirazione e dunque al nutrimento e il fungo, che presenta la struttura, provvede ad un corpo (il tallo) ed alla riproduzione.
Non possiedono né radici né una cuticola che li protegge e dipendono esclusivamente dall’atmosfera per il reperimento dei nutrienti minerali; queste caratteristiche li rendono estremamente sensibili all’inquinamento atmosferico, come già osservato a metà del 1800 con la scomparsa dei licheni dai Jardin du Luxembourg di Parigi. Nella scienza odierna, infatti, i licheni sono considerati affidabili indicatori degli effetti biologici dell’inquinamento atmosferico. In tal senso rappresentano uno strumento potente per la ricerca scientifica e per il camminatore lento che, affrontando l’ennesimo passo, li osserva e raggiunge la meta respirando a pieni polmoni.