In quanto tempo

Testo e foto di Emilio Botto.

Elogio della normalità:

L’umanità ha iniziato questo nuovo secolo confermando quanto studiosi di varie discipline scientifiche hanno ipotizzato nel secolo passato. Mi riferisco in ultima analisi alla composizione della materia. In buona sostanza ciò che è sufficientemente condiviso dalla quasi totalità della comunità scientifica mondiale è che nelle leggi che finora è stato possibile definire che regolano le relazioni fra le particelle elementari, il tempo non è fra le grandezze presenti.
Sarà proprio così? Non ho le competenze tecniche per confutare questa idea. Lo accetto come vero. Quindi in sintesi prima idea: al livello delle particelle elementari sulle quali tutto il nostro universo conosciuto è fondato, il tempo non è fra le grandezze lì presenti. Non solo. Seconda idea: Il tempo come entità a se stante non esiste proprio. Qui mi fermo.
Terza idea: all’estremo opposto del pensiero sopra esposto, considerando gli incalcolabili spazi dell’universo, la quantità quasi infinita di stelle, di galassie, di ammassi e quant’altro può venire in mente il tempo non può essere considerato fra le grandezze univoche. Ciò che è un tempo qui attorno a me che scrivo non è lo stesso tempo dalla parte opposta del nostro pianeta. Meno ancora è lo stesso tempo in un altro angolo dello spazio siderale. Verrebbe proprio da scrivere uno, cento, mille tempi.
Fra questi due opposti c’è quello che comunemente è il tempo che noi percepiamo nel nostro quotidiano. Il trascorrere dell’alternanza luce-buio che chiamiamo giorni. Il trascorrere delle stagioni e con loro, il fluire inesorabile dei nostri anni. Verrebbe da chiedersi ma allora che cosa è il tempo che noi definiamo?
Impossibile per me rispondere con la conoscenza di uno scienziato per certo non è il tempo impiegato a raggiungere la cima di una montagna documentato in tante nostre relazioni. Mi piace pensare ad una idea del tempo un po’ diversa. Un tempo che non necessariamente è misurabile con gli orologi da polso per quanto sofisticati e precisi come quelli che oramai portiamo spesso con noi nelle nostre camminate. Veri e propri computer di “bordo” dove a volte l’indicazione dell’ora è forse l’accessorio meno evidente. Io comunque sono affascinato da questi orologi e li uso quotidianamente.
Nei nostri cammini in montagna percepiamo più che in altri luoghi come la Natura si sia modificata in quello che noi a questo punto del ragionamento comunemente chiamiamo tempo. Questa modificazione è avvenuta nel corso dei miliardi di anni del nostro universo. Graniti e altre formazioni rocciose sono la documentazione reale dei cataclismi avvenuti sotto i nostri piedi.
Quando appoggiamo la mano su una roccia di calcare questa qualche milione di anni fa era posata sul fondo di un mare. Un masso erratico ci racconta di un ghiacciaio che è stato dimenticato a valle qualche decina di migliaia di anni or sono. Che cosa dire di fronte alle intere montagne affiorate dalle profondità della terra oppure ribaltate dalle forze che ancora oggi operano e creano molto spesso immani disastri nei nostri paesi e città? Per creare tutto ciò non basta il tempo misurato dall’orologio che indossiamo al nostro polso.
Quando “siamo” in montagna “stiamo” fra questo tutto. Lo vediamo con gli occhi, lo tocchiamo con piedi, le mani e lo sfioriamo con la mente, se vogliamo.