Testo di Giovanna Bonfante
Alla fine del mese di marzo Nives Meroi e Romano Benet, la coppia “più alta del mondo”, sono partiti dalla loro Fusine alla volta del Piemonte per raccontare in una serata dal titolo simbolico “In cima, insieme” la loro ultima avventura: la salita dell’Annapurna, l’ultima cima che mancava alla loro collezione di ottomila. Nives Meroi e Romano Benet (Foto di Giovanna Bonfante)
La spontaneità e la semplicità di queste due persone così straordinarie nelle loro imprese, eppure così normali nella loro quotidianità, hanno immediatamente conquistato il pubblico torinese. Dopo l’attenta visione di un filmato in cui Nives e Romano hanno raccontato per immagini la propria storia, dai primi passi nelle Alpi Giulie, ai confini con la Slovenia, all’epoca blindata oltre cortina, alla collezione di ottomila, iniziata quasi per caso, il pubblico ha “intrevistato” ripetutamente i due alpinisti sui molteplici aspetti delle loro avventure. Anche noi abbiamo avuto la possibilità di rivolgere loro qualche domanda un po’ più approfondita sulla loro vita e le loro opinioni. «Nel vostro ultimo libro, “Il corvo timido” che narra la salita all’Annapurna, ricorre spesso la parola economia: del gesto, del pensiero, del materiale necessario in parete, delle energie che la vita animale e vegetale spendono in alta quota per sopravvivere… è forse in contrapposizione a qualche altra realtà che si vede ai vari campi base?» «Sicuramente!» dice Nives. «Quando abbiamo cominciato – prosegue Romano – non c’erano neanche le spedizioni commerciali. Nel mondo dell’alpinismo è cambiato tutto ad una velocità incredibile; all’inizio c’erano soltanto le grandi spedizioni nazionali, che assoldavano una notevole quantità di portatori e di climbing sherpa; in seguito c’è stato il periodo in cui si cercava di salire in maniera più leggera, per fare un alpinismo più pulito, mentre ora imperversa il turismo d’alta quota, figlio di un tempo in cui l’unico imperativo rimasto è quello dell’apparenza.»
«Ho avuto notizia – aggiunge Nives – di un’agenzia che organizza questo tipo di spedizioni la quale, rivolgendosi ad una clientela con poco tempo a disposizione, manda addirittura a casa dei partecipanti una tenda ipobarica (peraltro vietata in Italia) affinché possano già acclimatarsi prima della partenza! Si elimina così tutta quella parte “noiosa” della spedizione che è l’avvicinamento a piedi, i sali e scendi dai vari campi, l’interazione con gli ambienti naturali e le persone locali, come cuochi e portatori…»
«Invece voi spesso descrivete nei libri i paesi che attraversate; qual è quello che, nei vostri vent’anni di vagabondaggi per le montagne del mondo, vi è rimasto maggiormente nel cuore?» «è difficile fare una scelta – prosegue Nives –ma sicuramente per entrambe può essere il Pakistan; è senza dubbio bellissimo dal punto di vista paesaggistico, in quanto si tratta di una terra di contrasti talmente forti, di fronte ai quali è impossibile rimanere indifferenti. Inoltre è particolarmente intenso il legame che si instaura con le persone; se si eccettuano i grossi centri, dove la vita è comunque occidentalizzata, salendo verso le montagne si sperimenta uno stile di vita che poteva essere comune anche nelle nostre valli fino a cent’anni fa, in cui dominavano la semplicità e la disponibilità ai contatti umani. Si può dire che ci troviamo di fronte ad un ambiente che influenza le persone, ad una natura impegnativa, che detta quasi uno stile di vita.»
«Il paese che, invece, vi è piaciuto di meno, quello del quale, a parte il ricordo della scalata, non avete altre belle memorie?» «Senza dubbio il Tibet, afferma Romano, sicuramente a causa dell’invasione cinese. Ormai gli abitanti originari sono quasi scomparsi, o al massimo sono presenti come gli Indiani nelle riserve, sempre ubriachi o asserviti ai dominatori cinesi. Il paradosso è che, persa una cultura secolare, ora i Cinesi, con la collaborazione di parte dei Tibetani, stanno ricostruendo templi ed edifici che avevano distrutto per poterli mostrare, falsi, a beneficio dei turisti occidentali!» «Himalaya quindi catena di confine tra due mondi molto diversi. Voi che vivete sul confine delle Alpi, Romano da sempre e Nives da quando ragazza liceale hai iniziato ad andare in montagna con lui, che cosa pensate della ricostruzione delle frontiere che sta dilagando?»
«Romano è metà Italiano e metà Sloveno – dice Nives – e due anni fa gli è stata proposta e concessa anche la cittadinanza slovena, non senza polemiche da parte italiana…» «Da bambino e poi ragazzino – racconta Romano – sovente senza rendermene conto, mi trovavo a varcare i confini, e non senza spiacevoli conseguenze, per cui io auspico addirittura un passaporto europeo. Invece gli Austriaci stanno ripristinando confini che, tra l’altro, non fanno nemmeno parte della cultura storica della zona. I nostri bisnonni erano sotto la dominazione dell’impero austroungarico, ma in ogni regione l’insegnamento nelle scuole si svolgeva nella lingua locale e anche se i territori erano formalmente occupati veniva mantenuta e salvaguardata l’autonomia regionale.»
«In tanti anni di vita e di avventura in coppia non avete mai avuto il desiderio di ampliare la cordata, di avere dei figli?» «Per la cultura dei paesi orientali che abbiamo frequentato per quasi due decenni, risponde Nives, la nostra realtà di vita è di difficile comprensione, per cui abbiamo inventato” due figli già grandi e autonomi. Per la realtà occidentale, invece, all’inizio reputavamo che la presenza di bambini fosse precoce; ora è nagraficamente troppo tardi e… in mezzo abbiamo vissuto e coltivato una passione!» «Però durante la salita all’Annapurna vi siete integrati molto bene con i giovani Cileni e Spagnoli…» «Una delle parti più belle di questo viaggio – afferma Romano – è stata l’intesa e la collaborazione con i compagni di avventura. Noi siamo stati spesso abituati a salire le montagne in solitudine, nell’unione delle nostre due individualità, come dice Nives. Invece in quest’occasione abbiamo unito le forze, con persone così diverse da noi, per raggiungere un obiettivo comune che altrimenti ci sarebbe stato precluso. è stato stupefacente scoprire che ci sono ancora giovani che hanno voglia “di fare fatica”, che non hanno paura di mettersi alla prova e non pensano solo di passare la vita a smanettare col telefonino! In un paio di occasioni la loro irruenza e inesperienza ci ha fatti preoccupare; ad un campo avanzato si sono trovati senza fornello, in un’altra circostanza non hanno accudito con la dovuta attenzione i materiali di scalata, scatenando i predicozzi di Nives che, in queste situazioni, sale in cattedra! Ma la loro musica, onnipresente anche in alta quota, è stata determinante, durante la difficile discesa, per ridare la carica quando, persi i riferimenti nella nebbia, lo sconforto aveva assalito tutti!»
«Adesso che siete diventati “grandi”, che avete scalato sempre insieme, unica cordata al mondo, tutti i quattordici ottomila, avete ancora qualche progetto?» «Ci sono tutti gli altri versanti!» esclama Romano. «L’intenzione è di continuare ad esplorare le montagne – prosegue Nives – magari non necessariamente gli ottomila, ma l’idea è di proseguire a scalare finché la natura stessa non porrà dei limiti alla nostra voglia di avventura.»
«Quindi quale sarà la vostra prossima meta?» «Il Nepal, nella zona del Kangchendzonga, dove c’è una montagna che ci piace e che vorremmo salire…» dice Romano con un po’ di scaramanzia e mistero. Scopriamo che Nives e Romano sono prossimi alla partenza nelle settimane seguenti e auguriamo loro di realizzare una nuova salita, sempre all’insegna della schiettezza, semplicità e passione che li ha contraddistinti nella loro lunga “carriera”. Buon cammino. Insieme.
(Foto archivio Meroi-Benet)