Fummo monti, ed or siam sassi

Le prime due glaciazioni che hanno lasciato tracce in Val Susa sono avvenute nel Pleistocene medio, fra 700.000 a 400.000 anni fa, e nuovamente fra 200.000 a 100.000 anni fa. In questi periodi sul versante settentrionale delle Alpi si formarono estese calotte glaciali; il clima del versante italiano, anche allora notevolmente più mite, era insufficiente per calotte glaciali ma bastante per formare enormi ghiacciai vallivi. Durante la prima glaciazione (detta Mindel nelle Alpi austriache), il ghiacciaio valsusino si espanse a ventaglio in pianura sino all’altezza di Druento, Pianezza, Grugliasco, Rivalta, Bruino, Giaveno. Come un nastro trasportatore, portò un’enorme quantità di detriti giunti al ghiacciaio per frane e valanghe o strappati dal ghiacciaio stesso ai fianchi vallivi. Accumulati in lunghi cordoni morenici ai margini del ghiacciaio, furono poi erosi a poco a poco, facendo emergere i massi che contenevano, troppo grandi per essere asportati dalle acque di ruscellamento dei versanti. Così oggi questi massi talvolta appaiono isolati in aree pianeggianti, cui sembrano del tutto estranei: sono i primi massi per i quali fu coniato il termine di erratici.

Al termine della prima glaciazione il clima diventò caldo e relativamente umido, tanto da permettere il ritorno di antenati degli elefanti, rinoceronti e buoi. Questo clima alterò profondamente i ciottoli superficiali delle morene, formando un suolo argilloso dal caratteristico colore rosso vivo.  Nella seconda glaciazione (detta Riss nelle Alpi austriache), il ghiacciaio valsusino si espanse nuovamente sino alla pianura, arrivando però solo all’altezza di Alpignano, Rivoli, Villarbasse, Trana. Le morene di questa glaciazione sono molto vistose perché, avendo meno della metà dell’età delle precedenti, sono più alte e conservano bene la forma originaria: ad esempio, la Cresta Grande fra Rosta e Villarbasse.

I massi del Pleistocene medio di serpentinite sono ricoperti da una patina d’ossidazione lucida e rossastra analoga alle “vernici del deserto”, che deriva da un periodo di clima subarido, collocabile fra 100.000 a 75.000 anni fa, quando nel Mar Ligure vivevano molluschi subtropicali e in Piemonte rinoceronti, iene ed elefanti, in un ambiente paragonabile a quello delle attuali savane africane.

Pera Grossa di Rosta, masso erratico
Pera Grossa di Rosta (ph Michele Motta). La Pera Grossa di Rosta, in gran parte scavata dall’uomo, mostra un netto contrasto cromatico fra il verde bluastro della serpentinite non alterata, visibile dove la roccia superficiale è stata cavata, e il rosso ruggine delle parti che hanno conservato la superficie originale. Queste ultime sono alterate con la formazione di un rind, patina d’ossidazione sviluppata a spese dei minerali di ferro contenuti nella serpentinite.

Nel Pleistocene superiore (75.000 anni fa, Würm) il ghiaccio tornò ancora una volta allo sbocco della Val di Susa ma, poiché l’avanzata fu inferiore alla precedente, non riuscì a superare le morene lasciate dalle glaciazioni passate e si accumulò in destra orografica. Qui il ghiacciaio si divise in due lobi, uno dei quali risalì lungo il Sangone, a quel tempo affluente nella Dora Riparia. In questa valle era presente un ghiacciaio grande, ma non abbastanza da riunirsi a quello valsusino. Le sue acque di fusione, non potendo seguire il percorso originario, trovarono una via per la pianura, incidendo la stretta forra ancora oggi seguita dal Sangone fra Trana e Giaveno. Ultimo residuo dell’antico spartiacque fra Val Sangone e pianura, rimase la dorsale del Moncuni, circondata e parzialmente seppellita dai depositi glaciali e costellata di massi erratici.

L’area fra Trana e Avigliana, non subendo più l’erosione fluviale, ha conservato bene diverse morene frontali (molto visibili perché delimitano laghi e zone palustri), formate da successive e sempre meno forti avanzate glaciali dell’ultima glaciazione.

Modelli della parte terminale della Val Sangone, illustrazione di D. Giordan. Il modello superiore ricostruisce l’aspetto dell’area durante l’ultima glaciazione, quello inferiore le tracce rimaste nel paesaggio attuale: la torbiera di Trana, la morena di S. Bernardino, lo stretto passaggio in cui scorre il Sangone presso Trana.

Nel Pleistocene superiore il paesaggio doveva somigliare a quello dell’attuale Terra del Fuoco. Prive di vegetazione, le colline erano spazzate da forti venti asciutti tipo föhn, che alzavano nuvole di polvere per depositarla nuovamente sulla Collina di Torino e sull’Altopiano di Poirino. Vi vivevano animali della fauna alpina attuale quali lo stambecco e la marmotta, accanto ad altri ormai scomparsi per la caccia, quali l’alce e il castoro.

Michele Motta

 

 

 

 

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