Finnmarksvidda, ovvero il pesce al cartoccio

Finnmark, contea a Nord della Norvegia. Immagine di  TUBSOpera propria 

Pesce al cartoccio? Come può venire in mente un’immagine del genere in Norvegia? Dal 24 al 29 febbraio saliamo in quattro italiani ad Alta, al nord della Norvegia, per partecipare ad una mini spedizione di 80 chilometri in autonomia, cioè con slitte e tende, unitamente ad un polacco e ad un inglese accompagnati da due guide, nel Finnmark.

Siamo confortati da un tempo sempre bellissimo. Il primo giorno io, il polacco e l’inglese impariamo ad usare gli sci stretti da escursionismo, mentre gli altri italiani sono del calibro di Giorgio Daidola, Leonardo Bizzaro e Filippo Iacoacci espertissimi di importanti spedizioni extraeuropee anche con le pulke. Mi chiedo: ma come fa uno scialpinista senza i suoi amati scarponi e sci e pelli? Bisogna: caracollando, piegando le caviglie di lato, scivolando malamente in discesa; e non parliamo della salita. Al termine degli 80 chilometri qualcosa è migliorato.

Pulka in marcia, di F. Iacoacci

Il primo giorno siamo molto fortunati perché siamo solo a -20 gradi. Però dobbiamo montare le tende nella neve profonda sino a metà coscia e prepararci alla prima notte. Monta, riponi, stiva, stendi, gonfia, pompa, accendi, scalda, bevi. Senza sosta. La cena: un bel preparato disidratato di renna e verdure sciolto nell’acqua bollente. Sono solo le 18,30, ma ci si infratta nei sacchi a pelo, distrutti. Nella notte solo l’abbaiare (si dirà così?) di una volpe bianca ci distrae dai nostri sogni.

Sveglia alle 5. Smonta, riponi, ri-stiva, piega, sgonfia, pompa, accendi, scalda, bevi. Si parte. Sempre a -20. Che fortuna!

Tutto il dì si sale e si scende in uno scenario lunare: sole bassissimo, ombre lunghissime. Soste ogni 50 minuti per rifocillarsi e bere, se no si va poco lontano. A pranzo mezz’oretta per scaldarsi dei fantastici noodles con l’acqua calda delle borracce: sono insaporiti con salsette disidratate.

Alle 17 si ricomincia con il campo: monta, riponi, stiva, stendi, gonfia, pompa, accendi, scalda, bevi. Senza sosta. Il morale è alto, anche se il ritmo è serenamente moderato.

Dormitona solita; sveglia solita. Unica variante: siamo passati a un bel -26, quando ripartiamo. Inauguro la giacca da spedizione: per fortuna che l’ho portata! Senza non sarei tornato a casa.

Ancora una giornata bellissima, passata a tirare e ad ammirare un panorama sconosciuto e sempre lunare. Si ride, si chiacchiera, si salutano le ragazzine bionde che vanno come il vento e ci sorpassano e le squadre di escursionisti con solo gli zaini ed i materassini, e qualche slitta trainata da cani dalle colorazioni più strane. Si raccontano le reciproche esperienze, i progetti per il futuro. Alle 17,30 si ricomincia al campo. Con una prima variante: mi sembra che stia divenendo più freddo. Spezzo una patta della giacca a vento perché non mi accorgo che è congelata: ho tutto l’interno della giacca e dei pantaloni completamente bianchi dal gelo. Mi tolgo immediatamente almeno la giacca e indosso il giaccone. Lavoro così anche se ho caldo. Il riscaldamento della tenda aiuterà ad asciugare tutto. Si mangia e si beve: anche acquavite norvegese e vodka polacca. E di nuovo nanna.

Un’idea di cartoccio, foto di F. Iacoacci

E qui arriva il pesce al cartoccio: qualcuno dirà, l’indomani, che siamo a -34 e in tenda nella notte non si sa bene a quanto ci trovassimo, ma l’effetto, peraltro già vissuto la notte prima, è quello che l’interno della tenda si trasforma in un igloo tutto bianco e che il sacco a pelo ha l’esterno di ghiaccio. Qui la mia fantasia (malata di freddo?) fa nascere il paragone/domanda: si sentirà così il pesce nel cartoccio? Questa bella pellicola gelida, che scricchiola, sarà come la carta da forno o la pellicola di alluminio? E’ una stupidaggine, ma è quanto ho pensato. Dopodiché, dormire si dorme perché pesce o no si è cotti a puntino ed un bel sacco da -40 fa miracoli (oh: dentro tutti belli vestiti eh!).

Interessanti temperature del periodo.

Sveglia alle 5,30. Mamma mia che freddo. Se gli altri giorni passavamo i primi venti minuti di tiro a velocità sostenuta per scaldarci e far riprendere la circolazione, qui siamo frenetici. Ho i due pollici con un inizio di congelamento. Sono un po’ preoccupato. Giorgio lamenta di non aver dormito la notte per il freddo e probabilmente da lì sono iniziati i problemi che avrà.

Una nebbia fitta ci avvolge, foto di F. Iacoacci.

Per le prime due-tre ore una nebbia bassa ci avvolge. Il sole non riesce a vincerla. Facciamo tutti il tifo; quando accade è come se un miracolo si avverasse e ci trovassimo in chissà quale Paese del sud. Dobbiamo arrivare ad una Stue, cioè un bivacco statale come ce ne sono sul percorso per poi proseguire e campeggiare qualche chilometro dopo ed accorciare il tragitto dell’ultimo giorno a 12-15 chilometri. Non va però come previsto: arriviamo alla Stue, ci riscaldiamo, ma scopriamo che Giorgio ha due-tre dita di una mano bianche, violacee e con sfumature nere. La guida senza indugio lo fa trasportare a Karasjock, nostra meta finale. Sapremo poi che si è trattato di congelamento iniziale e con decorso positivo. Di qui la variante che, senza compagno, mangio e dormo in una branda! Si rivela utile, perché per effetto del cambio di programma domani dovremo fare 24 chilometri ed arrivare ad un’ora decente a Karasjock.

Alle 8 circa partiamo e copriamo tutto il percorso in circa 7 ore, comprese le soste. Non male. Il panorama aveva già iniziato a mutare sul finire del giorno precedente: arbusti e betulle contorte si sono intensificate sino a divenire foreste di pini nella discesa su Karasjock.

Discesa: maledizione, le salite sono già un bell’incubo con gli “scietti” a spina di pesce (sempre lui!), ma qui ci si gioca la sopravvivenza. Soluzione: montare sulla slitta e tornare bambini. I risultati si possono immaginare.

Arriviamo alla nostra destinazione: Engholm Husky. Il primo è il cognome di Sven, uno svedese leggenda vivente delle corse di slitte con i cani; il secondo ne suggella l’attività. Allevamento di 40-50 cani da slitta. Ultima fatica per issare le pulke dal fiume gelato al bosco di destinazione con sforzi per fortuna finali. Il luogo, non è comune: il bosco è pieno di casette delle favole, tutte in legno, con le pelli e le corna degli animali appese dentro e fuori. Tutte costruite dallo Sven e arredate dallo Sven con materiali naturali: pietra, legno, pelli, piume (e, sì, anche i paralumi sono costruiti e quindi con delle piume!).
Finalmente una doccia (il tempo non vi è stato per la sauna, purtroppo). Troviamo Giorgio che sta meglio. Ci raccontiamo il nostro viaggio. E coroniamo la giornata con alcuni piatti di lasagna all’alce.

Foto di F.Iacoacci

Un’esperienza totalmente nuova e diversa, in un mondo lontano dalle nostre abitudini. Un fascino quasi sinistro per una tranquillità che fa percepire il pericolo, l’abbandono, la morte, ma anche la potenza profonda della vita che ti porti addosso mentre ne sei partecipe.

Da provare, pesce o non pesce.

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