Scialpinismo al femminile

Tutti gli anni a gennaio alla presentazione del corso di scialpinismo rimango piacevolmente colpita dall’incremento delle allieve iscritte al nostro corso. Ma a pensarci bene non c’è molto da stupirsi: questo sport è fatto di fatica, determinazione e passione sostantivi che noi donne sappiamo far nostri! La soddisfazione degli istruttori di vederle abbandonare le loro incertezze e illuminarsi in volto a ogni meta raggiunta non ha davvero prezzo. E allora perché non lasciare loro lo spazio di queste pagine per raccontarci come hanno vissuto quest’anno di scialpinismo?

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Scialpinismo sull’Etna

Sciare su un vulcano è un’idea che affascina molti, ma l’Etna non è un vulcano qualunque. I siciliani lo chiamano “a Muntagna”: con i suoi 3.350 metri, calcolati nel 2010, è il vulcano attivo più alto d’Europa e si trova su un’isola che ha molto da offrire. Risalire i pendii mentre “a Muntagna” sbuffa, resistere al vento per guardare il mare, disegnare curve sul “firn etneo”: questi sono solo alcuni motivi per regalarsi un weekend lungo, tipicamente a febbraio. Per noi torinesi poi, il collegamento aereo con Catania è diretto, quindi perché non andare? Leggi tutto “Scialpinismo sull’Etna”

Un giorno diventerò grande

Da sinistra. Giuse e Luca

Non sono nuovo a idee strampalate, per mia fortuna ho amici che le appoggiano. Il Monte Bianco in giornata? Perché no…

 

 

Il tempo di una telefonata alla persona giusta e tutto è già organizzato, la telefonata recita più o meno così:

“Sà Giuse sabato il meteo è buono, il Bianco sembra in condizioni ottime, visto che tu hai il tempo contato partiamo dopo lavoro venerdì, andiamo a Chamonix, arriviamo in cima e rientriamo, per le 16:00 di sabato sei a casa!”.

Ci troviamo al casello autostradale di San Giorgio alle 21:00 di venerdì 27 Maggio. Con Giuse cerco di regolare un suo sci sul mio scarpone da gara. Forse è solo Giuse che maneggia lo sci, io penso piuttosto a mangiare quello che ci siamo portati da casa: per una salita del genere non posso distrarmi, devo alimentarmi. Il problema è che partendo da casa mi sono accorto che un attacchino non è perfettamente funzionante e non mi fido a salire e, soprattutto, a scendere con quello. A conti fatti devo dire che lo sci di Giuse mi aiuterà e non poco.

Durante il viaggio ripassiamo i tratti cruciali della salita: io ripeto che ce la facciamo, Giuse naturalmente ribadisce l’esatto opposto. Arrivati al tunnel del Monte Bianco, forse per scaramanzia propongo: “Facciamo il dieci corse, ci costa meno e almeno se non riusciamo a salire questa volta torniamo la prossima settimana”.

Giunti in terra francese non abbiamo il tempo di prendere fiato, appena usciti dal tunnel si parcheggia sulla sinistra e via. Partiamo di buon passo con gli sci in spalla, lo zaino non è dei più leggeri, però il morale è tornato alle stelle. Le temperature sono decisamente alte, in maglietta e scarpe da ginnastica saliamo bene. I problemi iniziano quando incontriamo alcune lingue di neve: perdiamo il sentiero più volte, ci bagniamo i piedi e rallentiamo la salita.

All’arrivo della vecchia funivia a quota 2400m circa calziamo scarponi e sci: siamo a circa due ore di salita. Dal Ghiacciaio dei Bossons ci separa “solo” più un tratto ripido, in cui l’assenza di rigelo ci fa sprofondare nella neve fino al ginocchio. Arrivati sul ghiacciaio, eccoci nel caotico mondo di seracchi, crepacci e sinistri scricchiolii:  attraversarlo la notte è stato più rilassante che sotto il sole. Ci leghiamo: ramponi e sci in spalla per un centinaio di metri.

Le luci di tante frontali ci precedono e ci segnano il cammino verso un cielo stellato che sembra di buon auspicio. Fino al Rifugio dei Grands Mulets la traccia battuta il giorno prima è diventata una striscia di ghiaccio. La concentrazione è massima per evitare di sprecare forze inutilmente, procediamo legati senza dire una parola.

Ci coglie il giorno verso quota 3500m dove inizia la cresta del Gouter, raggiungiamo cordate partite dal rifugio, ramponi di nuovo ai piedi e su per questa cresta affilata che sembra portarti in paradiso. Il passo è ancora buono, arrivati sui 3900m dove si possono calzare gli sci veniamo colpiti dal sole, che bellezza potersi sedere sullo zaino mettersi gli occhiali, bere un sorso e mangiare qualcosa.

La ripartenza qui segna la svolta della salita, giunti sul piano nei pressi del Col du Dome sotto la Capanna Vallot, siamo presi da un sonno incredibile: siamo partiti dopo una giornata di lavoro e non abbiamo ancora dormito. Le cordate che superiamo sono tantissime di ogni nazionalità ed età, alla Vallot sembra ci sia un raduno di cadaveri viventi, ma decidiamo di partecipare anche noi alla festa: giù di nuovo lo zaino e via con bevande e barrette. Sono le 8:30, fossi stato a piedi sarei tornato indietro, invece con gli sci al seguito continuo a scrutare la parete Nord: si scende dalla cima sci ai piedi, non possiamo mollare.

Il percorso

Da qui in avanti, sci in spalla, saliamo lungo la Cresta des Bosses, la neve è dura e la traccia buona, ma è il passo a non essere dei più sicuri.

La cima sembra irraggiungibile: molte cordate come noi e con il nostro stesso sogno sono lì. Dopo l’ennesimo dosso che nasconde la vetta, mettiamo piede sul tetto d’Europa! La salita è finita e d’ora in avanti sarà solo discesa sui nostri amati sci.

Mi succede spesso al termine di un grande sforzo di commuovermi, anche questa volta è successo, credo ne sia valsa la pena, anche per Giuse che non lo ammeterebbe mai.

Vista della parete nord del Bianco,siamo scesi sopra il seracco

La discesa è filata via veloce tutto a ritroso giù per la Nord e poi sulla normale dei Grands Mulets. Alle 14:30 siamo all’auto, alle 16:30 a casa. Meno di venti ore per un Bianco da ricordare.

I tempi non sono da record, abbiamo gestito la salita da uomini di esperienza e non da atleti, categoria a cui non mi sento di appartenere. Alla base di tutto la grande passione per la montagna, la voglia di soffrire e di misurare le proprie capacità di resistenza, quello che ti dà quella soddisfazione una volta alla macchina di dire a te stesso: “Hai visto? Ci sei riuscito”.

Non mi resta che riaprire il libro dei sogni che per me è ancora lontano dal terminare, e come un bambino sognare nuovi progetti e nuove avventure…

Luca Berta

Tutti gli uomini di Mara

Il trofeo Mezzalama è una competizione internazionale di sci alpinismo che si svolge ogni due anni sul Monte Rosa. E’ nato negli anni 30 del secolo scorso, a memoria di Ottorino Mezzalama, uno dei pionieri dello sci alpinismo in Italia, nonché socio dello storico Ski Club Torino, il primo Ski Club d’Italia.

Dopo una serie di interruzioni pluridecennali, nel 1997 la competizione è ritornata con continuità e con frequenza biennale, sfruttando il sempre crescente sviluppo degli sport di fatica in ambiente montano, e forse contribuendo anche ad alimentare questa nuova tendenza.

Le peculiarità che  rendono unico il Trofeo Mezzalama sono il fatto che si svolge in ambiente di alta montagna, per buona parte intorno ai 4000 metri di altezza, ed in squadre di tre componenti per ragioni di sicurezza.

Viene denominata la maratona bianca, e come le maratone delle grandi città vede sulla linea di partenza i migliori professionisti insieme con gli sportivi della domenica, seppur ben preparati.

Siamo partiti da Cervinia alle 5,30 di mattina del 22 Aprile e siamo arrivati a Gressoney dopo un percorso di 45 km e circa 2800 metri di dislivello in salita e 3000 in discesa; passando dal colle del Breithorn, poi dalla punta del Castore, attraversando una bellissima cresta aerea, e siamo giunti a Gressoney dopo avere scavalcato l’asperità finale del Naso del Lyskamm.

Un percorso mozzafiato e “spaccafiato”, che per essere affrontato richiede preparazione ed esperienza in montagna. Tutto il tratto in quota viene affrontato dai componenti di squadra legati in cordata, in condizioni che richiedono affiatamento e forte spirito di collaborazione.

Veniamo ora alla mia esperienza.

Per me il Mezzalama 2017, pur essendo il quinto, è stato unico ed irripetibile. Nel 2007, in occasione della mia quarta partecipazione, avevo pensato che sarebbe stata l’ultima. L’età che avanza, la famiglia che cresce e gli impegni di lavoro. Queste situazioni cambiano notevolmente gli scenari, rendendo più difficile preparare questo tipo di competizione.

Poi è successo l’imprevedibile: mio cognato Andrea ha sparigliato le carte invitandomi a farlo insieme a lui ed a suo papà Livio, nonché mio suocero.

Fin da subito ho avuto il supporto di mia moglie Mara, che ha mostrato grande entusiasmo nell’appoggiare questa iniziativa che impatta sull’organizzazione famigliare in quanto comporta impegno ed allenamento nei mesi precedenti. E’ stata questa la vera fatica, più che quella del giorno della gara. Considerato il lavoro ed i figli ancora piccoli, solo una grande motivazione ed un profondo volersi bene ha potuto sostenere questa decisione. Non è stato il mio Mezzalama ma il nostro Mezzalama.

Gli allenamenti nella valli di casa

Ho avuto un pretesto unico per vivere ciò che mi piace tantissimo: la montagna nella sua dimensione dell’attività fisica e della condivisione di momenti speciali con le persone a cui vuoi bene. Sono stati mesi vissuti con impegno e spensieratezza, scorrazzando per le montagne con un chiodo fisso in mente: partecipare con successo al Trofeo Mezzalama. Ed in questa competizione, per uno sci-alpinista della domenica, il successo coincide con il concludere la gara, senza particolari velleità di classifica.

Il 22 Aprile, giorno della gara, è stato unico. Nella prima parte, che si è svolta in parte al buio, l’unica preoccupazione era di arrivare al colle del Breithorn entro il cancello orario di tre ore, pena l’esclusione dalla gara. Lavorando di squadra e sostenendoci a vicenda abbiamo centrato l’obiettivo cronometrico per nulla scontato. Poi siamo ascesi fino al Castore, calzando i ramponi e legati in cordata. Nello spettacolare tratto in quota le emozioni hanno preso il sopravvento: insieme ai miei compagni abbiamo dedicato un pensiero ad Ugo, un caro amico con cui ho avuto l’onore di fare la stessa gara nel 2003, che ora non è più con noi. Ho poi pensato a tante persone a cui ho voluto bene e con cui ho passato tanti bei momenti in montagna, che ora non ci sono più. Pensieri accompagnati da lacrime di commozione. Emozioni positive; come se questa perfezione di ambiente circostante, di fatica, di comunione con i compagni, fosse una condizione di maggior vicinanza a chi non c’è più e mi manca ancora tanto.

Un momento della gara

Seppur nei dubbi della fede che accompagnano tutti, difficile pensare che ciò di bello che ho vissuto sia solo frutto del caso e non ci sia il disegno di un Dio che veglia su di noi e ci rende liberi di vivere la vita con pienezza.

Tutti gli uomini di Mara: da Sinistra Andrea e Livio Berta, Luciano Peyron e il piccolo Giacomo.

Poi la lunga discesa, prima legati e poi sciolti dal vincolo della cordata nella parte finale. Quale emozione l’arrivo, dove alcuni parenti e molti amici del CAI Uget e dello Ski Club Torino, per cui abbiamo gareggiato, ci aspettavano. Quale regalo vedere mio figlio Giacomo che anche dieci anni fa mi aveva aspettato a questo traguardo, e che ora è motivato ancora di più ad andare in montagna con me. Unica anche la gioia di Mara che ha visto passare insieme la linea del traguardo fratello, padre e marito.

di Luciano Peyron

Cercatori di Perle

Lo sguardo di chi ha salito almeno una volta i facili pendii di Cima del Bosco è stato sicuramente attratto da una strana conca sospesa, cesellata nella parete di roccia nera sulla destra.

La parete è quella del Monte Furgon e quella conca misteriosa è chiamata da sempre La Coppa. 
Quasi a nessuno è venuto però in mente di andare a portare i propri sci fin lassù.
Quasi a nessuno, esclusi i cercatori di perle.

Sul fondo la Coppa al sole (ph Paolo Montaldo)

Siamo verso la fine dell’anno e… come concluderlo degnamente? Il 28 dicembre abbiamo fatto il Roc del Boucher con la speranza di trovare un po’ di farinella, ma il vento dei giorni precedenti aveva fatto danni. Qualche bella curva dalla punta c’è stata ma da cercare nelle pieghe del terreno e tutto sommato speravamo in qualcosa di meglio: tre stellucce non di più!

Con questa premessa avevo deciso che il giorno seguente un meritato riposo ci stava tutto. Al tardo pomeriggio il gruppo di WhatsApp fa trillare il cellulare come una radiosveglia che suona sempre fino a quando non la spegni.

Allora domani chi c’è, cosa facciamo, dove andiamo? E fra e tante idee che circolano ci scrivo anche la mia: Monte Furgon. Ci sentiamo domattina.

L’avevo adocchiato il giorno prima e mi pareva buono. Il rischio lo danno 3 marcato ma dall’ultima nevicata è passato parecchio tempo, unica incognita: cosa avrà combinato il vento prima della Coppa? Il mattino del 29 alle 8, giusto per sapere cosa combinavano, chiamo Popino:
“Allora dove andate oggi?”
“Furgon e ci troviamo alle 9”
“Bene vengo anch’io”.
A dire la verità non ne avevo molta voglia, ma vista l’allegra compagnia e gli ottimi elementi convinco la mia pigrizia. Alle 9 ci troviamo a Thures, dove di questo periodo è meglio arrivare presto per parcheggiare: se arrivi mezz’ora più tardi non trovi posto. Siamo in sette, due dei quali con la split-board ma loro son giovani e forti… Lo sono davvero Lurens e Fabrizio, oltre a essere molto simpatici. Lasciamo le baite di Thures di buon passo e, con un lungo traverso ascensionale, tagliamo i pratoni dirigendoci verso la Costa Bouchars.

Soste tecniche (ph Paolo Montaldo)

Sotto il colle Chalvet a destra di Cima del Bosco ci sono due vallette molto marcate che partono da sotto le pareti del Furgon, meglio risalire la prima e quando la pendenza aumenta e finisce la pineta portarsi sulla dorsale tra le due. Così abbiamo fatto noi, tenendo come margine di sicurezza una decina di metri tra uno e l’altro.

La strettoia con il vetrato

Fatta la traccia sul tratto ripido e delicato non ci rimane che fare il traverso con attenzione e passare uno alla volta fino all’inizio della conca chiamata Coppa. Qui si apre un bellissimo anfiteatro che si percorre andando a sbattere quasi il naso contro le rocce verticali che lo sovrastano dove come d’incanto appare un canale nascosto che concede l’accesso alla punta. Concede? Altre volte son passato sulla neve compatta con picca e ramponi dove si restringe, ma questa volta vuol farci pagare pegno!
“Il vetrato, c’è il vetrato!” dico io “Di qui non si passa e poi per scendere dovremmo fare una doppia e chi ce l’ha l’attrezzatura?”. Questa è la parte più difficile e appagante della gita. Cardonatti e Negri sul loro “Ripido” lo danno: Canale SW 300m / max 40°- 45° / 4.2 / E2.

Sul Fondo La Coppa Al Sole E La Traccia Di Fianco Al Canale

Beh noi ci giochiamo il jolly: entra in funzione il caterpillar Fabrizio che in men che non si dica gira a sinistra e fa una traccia parallela al canale con neve profonda quasi fino al ginocchio molto farinosa tant’è che ogni tanto si sente la roccia sotto i ramponi. A un certo punto gli urlo:

“Ma perché vai dritto e sulla verticale, devi girare a sinistra per l’ometto di vetta” e lui:
“Sì, ma qui c’è un cartello con scritto Furgon!?”

C’è sempre da imparare. Io per la punta alla fine del canale ho sempre girato a sinistra e trovato l’ometto relativo, si vede che qualche buontempone ha messo un cartello dieci metri più in alto.

Due pensieri sulla discesa, ph Paolo Montaldo

Discesa. Visto che qualche cosa si toccava in salita io, per preservare le solette dei cari (in tutti i sensi) Movement ridiscendo con i ramponi fino alla strettoia; chi scende in sci se la cava comunque con qualche leggera grattatina ma senza grossi problemi. L’onore dell’integrale è salvo.

Scherzi a parte, tolti tutti i ramponi discesa da 4 stelle nella Coppa e da 5 sulla Costa Bouchars fino ad attraversare il rio, dove diventa più incassato per passare nei grandi pratoni sopra Ruilles. Tenendosi un po’ alti, sulla neve che da dura è diventata ben sciabile, senza faticare rientriamo felici all’auto sci ai piedi io e i miei sei splendidi amici Popino, Albi, Andrea, Mass, Lurens e Fabrizio.

In questa zona non esistono solo Terra Nera, Dormillouse, Giaissez ma ci sono tutt’intorno tante perle nascoste: bisogna solo cercarle.

di Orfeo Corradin

Ski spirit, sciare oltre le piste

 

Sì, mi è piaciuto.

Condivido il suo modo di intendere lo scialpinismo e invidio i suoi grandi raid scialpinistici in giro per il mondo.

Giorgio Daidola nel 1977 succede a Gian Piero Motti nella direzione della Rivista della Montagna, fondata nel 1970,  primo direttore Piero Dematteis: da notare che su dieci redattori del primo numero ben cinque facevano parte del Gruppo Scialpinistico del Cai Uget. Per tanti anni Giorgio ha coordinato Dimensione sci, della purtroppo defunta Rivista della Montagna. 

Ski spirit si basa sui numerosi articoli scritti da Giorgio negli anni, per varie testate tra cui Alp, Montagnard, Telemarkmag e Skialper. Gli articoli sono stati adattati, aggiornati, talvolta riscritti: sono tralasciate tutte le parti tecniche, le descrizioni degli itinerari percorsi e dell’attrezzatura utilizzata, in sostanza ha puntato tutto sullo “spirit”. Il libro non è un “racconto d’ascensione” o una mera autobiografia,  no, Giorgio ha creato della letteratura scialpinistica, cosa rara in Italia se non unica.

In Ski spirit sono citati due libri,  che consiglio di leggere a tutti gli appassionati di scialpinismo che abbiano una certa dimestichezza con il francese, poiché purtroppo non sono mai stati tradotti in italiano Il primo è Ski de printemps di Jacques Dieterlen definito nel testo come “…un piccolo capolavoro di letteratura dello sci…è un inno al piacere di sciare al sole, alla vita di rifugio in alta montagna, a lasciare tracce delicate sulla neve argentea e granulosa.” . Il secondo è “Léon Zwingelstein: Le Cheminau de la montagne”: non è un romanzo, ma sono i diari di Zwingelstein, uno dei più grandi sciatori alpinisti di tutti tempi, raccolti da Dieterlen.

Giorgio Daidola, Ski Spirit, Alpine Studio Editore, 2016.

di Riccardo Valchierotti

Quelli di lassù, i villaggi più isolati delle alpi

Ezio Sesia è sempre stato incuriosito dalla vita in quei villaggi in quota, arroccati nel nulla, dove tutto sembra più difficile e probabilmente lo è. Negli ultimi vent’anni ha approfondito la storia di villaggi come Mollières, un paese francese a 1571 metri, che nella sua lunga storia ha visto la scomoda annessione all’Italia: con una semplice passeggiata di 40 chilometri e un buon dislivello gli abitanti potevano raggiungere il “loro” comune, a Valdieri!

Quelli di lassù, itinerari alpini
Quelli di lassù – Ezio Sesia

Ezio ha visitato questi villaggi, d’estate e d’inverno, e ce li presenta, con tanto di percorsi escursionistici e non solo nel volume “Quelli di lassù” edito da Mulatero. In 288 pagine di storia, itinerari e immagini ci dimostra che non esiste solo la croce di vetta, esiste anche la curiosità, il piacere di una passeggiata per raggiungere Obermutten, dove tutto è di legno, o per andare a scoprire il mistero di San Bernolfo.

Gli itinerari proposti sono decisamente originali, e coprono tutto l’arco alpino, dalle Marittime alle Giulie.  Non presentano particolari difficoltà (E, massimo EE) e dislivelli moderati, dai 500 ai 1000 metri. Oltre ai percorsi di escursionismo, il libro suggerisce anche anelli di fondo e percorsi di ciaspole e sci.

Simona Righetti ha introdotto la serata di presentazione testimoniando l’interesse della casa editrice Mulatero per questi territori isolati:  “In quest’epoca in cui si cerca di fuggire dalla ‘comfort zone’ raggiungendo le zone più isolate in montagna, in cui anche i territori più impervi vengono vissuti come un fantastico parco giochi, abbiamo ritenuto che fosse opportuno riscoprire la vita di quelle comunità che la parola comfort non sapevano nemmeno cosa volesse dire.”

Durante la serata, Ezio ci ha deliziati con aneddoti e diapositive, lasciandoci con tanta curiosità ed un nuovo volume in biblioteca.

Grazie Ezio!

 

 

 

Grand Galibier, il labile confine tra scialpinismo e sci ripido

Il Grand Galibier è una montagna francese delle Alpi Cozie che quota 3228 metri. Si trova al confine tra i dipartimenti delle Alte Alpi e della Savoia tra i comuni di Valloire e di le Monêtier-les-Bains. A poca distanza dalla vera e propria punta parte, lato Valloire, un ripido canale che è meta ambita di tanti sciatori amanti dei pendii inclinati.

Grand Galibiè, il canale visto dalla Tete Noire (Ph C. Giovando)

Anche io ne avevo subìto il fascino e vi avevo pure visto alcuni francesi “sbucarne” fuori con evidente soddisfazione per la bella salita in un ambiente severo. Ciò che rende praticabile una pendenza sostenuta è più la qualità della neve che la sua ripidità. La discesa è un 4.3-E2 ovvero un po’ più difficile di un OS il che significa… abbordabile, facendo un po’ di attenzione!
L’itinerario più veloce per noi italiani è quello di percorrere la traccia per la frequentata Tete Noire svoltando nella parte alta a destra per infilarsi, con ramponi e picca, in uno stretto e ripido canale che adduce ad una piccola spianata a venti minuti dal Grand Galibier. Questa salita la percorremmo in gita sociale del GSA il 13 aprile 2014 e tutti i 32 partecipanti salirono, senza problemi, l’apparentemente ostico canalino (come testimonia la relazione della gita).
Domenica 10 Aprile 2016 siamo di nuovo qua in veste “privata”! I volti dei “runner” amici di Orfeo lasciano presagire un’andatura non troppo “meditativa”.
La meteo oggi è fantastica e le previsioni sembrano ottime. Anche la temperatura è perfetta. Assenza totale di vento. Insomma, tutto sulla carta sembra assicurare il successo!

Grand Galibier, canale di salita (ph. C. Giovando)

In undici ci avventureremo nel ripido budello mentre i restanti sette opteranno per la meno adrenalinica ma pur sempre bellissima “normale” verso Pont de l’Alpe il che è esattamente il percorso seguito nella sociale nel 2014. Sappiamo che ha nevicato venerdì notte, una spanna, anche se al sole di tale neve non c’è traccia.
Quando, uscendo dal primo canale, giungo al piccolo pianoro ad oltre 3100, i super-runner stanno già facendo ritorno, a piedi, dalla sommità del Gran Galibier. Per non perdere tempo tolgo subito le pelli e, salutati gli amici che torneranno verso Pont de l’Alpe, percorro i pochi metri che mi dividono dall’imbocco della “canala”.

Grand Galibier, ingresso nel canale.(Ph C. Giovando)

La conosco già ma valuto, come tutti, la consistenza della neve e la tenuta della stessa. Due francesi stanno per uscirne dopo averlo salito picca e ramponi: si stupiscono di trovare così tanta gente ad accoglierli (in realtà stiamo aspettando che si tolgano perché non vorremmo scaricare loro addosso della neve provocandone la caduta). Sono giovani e forti e, in breve, escono e possiamo scambiare due parole con loro sullo stato del manto nevoso.
Confermano le nostre impressioni, cioè la presenza di una spanna di neve fresca su uno strato duro. Tutti siamo già pronti per cui, dopo qualche secondo, respirone e giù nel budello. L’imbocco è ripido ma tranquillamente sciabile. Si salta, come sempre nel ripido, ma la presenza dello strato di neve superficiale mi frena agevolmente, limitando parecchio la paura che un po’ prende quando ci si imbarca in avventure sciistiche simili.
Dopo i primi 20-30 metri la pendenza aumenta parecchio e, al contempo, la presenza di due fasce rocciose laterali, restringe il canale a pochi metri di larghezza. I famosi 50 gradi devono essere qua e mi auguro che non ci siano altri tratti simili.

Mi sposto sul lato sinistro e procedo con un cauto “dérapage” per alcuni metri usando la mano a monte come appoggio.

Per rendere più adrenalinico il passaggio cominciano a sibilarmi proiettili di neve gelata provenienti dall’alto. I compari sono partiti e non possono certo fermare le colate di neve e tutto quello che si stacca…
“Sarà meglio muoversi e togliersi dalla linea di tiro!” penso ma il pendio è ancora tostino… i 50 gradi continuano ma appena terminati, mi sposto a sinistra per togliermi dai casini e trovo anche neve bella. Bene, qui è proprio divertente, scendo abbastanza veloce, incontrando piccole aree ghiacciate che obbligano ad una maggiore presa di lamine. Comunque sono sempre veloce a cambiare assetto e tenere gli sci paralleli ma distanti tra di loro. Mi godo il percorso, fuori dai blocchi di neve gelata che, con grande fortuna, mi passano a pochi metri ma non mi colpiscono mai.
Raggiungo così una piccola area assolata, forse l’unica del canale, e mi volto a guardare le evoluzioni di chi mi segue. È veramente raro vedere una simile truppa impegnata in un canale ma oggi va così! I miei compagni di avventura tirano giù di tutto.
Orfeo, poco più alto di me, si è stancato di prendersi in testa le continue scariche di chi sta sopra e lancia epiteti irripetibili. In questi casi il casco è d’obbligo proprio per attutire la caduta di tutto ciò che piove incessantemente dall’alto. Qualcuno mi ha fatto osservare che chi scende per primo trova la neve migliore…
Probabilmente è vero: il canale è intonso e c’è più possibilità di essere frenati dallo strato di polvere superficiale che si accumula a valle però oltre a prendersi le scariche di tutti, aprire la discesa implica sempre un po’ di incoscienza/coraggio perché le condizioni “reali” del canale sono ignote!
Scendo ancora un po’, ormai sono a metà canale (che misura sui 600 metri di dislivello) portandomi tutto a destra. Di tanto in tanto discrete colate di polvere transitano silenziose e imponenti nel centro del canale. Passarci dentro con gli sci vorrebbe dire essere trascinati via perché la massa di neve, pesante si approprierebbe della spatola dello sci e, sbilanciando il povero skieur, ne causerebbe la caduta.
Noto una figura sola salire lentamente, fortunatamente fuori dalla linea di massima pendenza. La raggiungo, sia per portarmi al sicuro che per curiosità: è una bella ragazza sola! Il padre è rimasto alla base del canale ed ora la sta osservando crogiolato al sole qualche centinaio di metri più in basso. La fanciulla si stupisce parecchio quando la informo che siamo quasi una dozzina impegnati in discesa. Dalla sua posizione non poteva vedere la parte alta del canale. È perplessa quando le comunico simili numeri e resta indecisa sul da farsi. Tipa tosta, di Villeneuve, la lascio alle sue elucubrazioni e proseguo la discesa, ormai facile e sicura.
Orfeo mi raggiunge e giochiamo per un po’ a scaricarci pendii nevosi uno addosso all’altro, ormai mancano pochi metri al sole ed all’uscita. Ci teniamo sulla sinistra dove il terreno sembra meno cosparso dalle tante piccole gobbe residui di vecchie valanghe. Dall’uscita del canale entriamo nel regno della moquette: la neve è compatta, uniforme, omogenea, nessuna pietra e lo strato superficiale è fuso, giusto quello che serve per lasciare le tracce… ci dilunghiamo in una serie di serpentine, in pieno sole, liberi e soddisfatti.
Stop ed attesa dei compagni che sono ancora parecchio su! Tutti comunque scendono e sembrerebbe andare tutto bene se non che… Renato perde uno sci in una banale caduta. Lo vediamo andare avanti e indietro a piedi cercando di vedere lo sci, siamo piuttosto lontani e comunicare a voce non è facile. Passano i minuti e cominciano a nascere angoscianti interrogativi: se lo sci non si trova che fare? Risalire il canale e scendere al punto di partenza o continuare la discesa fino a Valloire e da lì prendere un taxi?
Anche la ragazza francese intanto ha cominciato la discesa; evidentemente salire su un canale triturato ed ormai completamente privo di neve fresca non le interessava. Avvicinandosi a Renato li udiamo confusamente scambiarsi delle battute e poco dopo la ragazza trova lo sci e lo porge al nostro! Renato si mette lo sci e ci raggiunge in pochi secondi….
Scendiamo ancora “tenendo la sinistra” su una neve da sballo. Il livello di chi mi accompagna è eccelso: non si fa in tempo a tirare un attimo il fiato che tutti sono lì…

Arrivati a pochi metri da Plan Lachat, sopra Valloire, ripelliamo e ci apprestiamo a risalire i 750 metri di dislivello che ci porteranno in punta alla Tete Noire. Se fino all’uscita del canale il sole non aveva mai rappresentato un problema adesso lo diventa: nel cielo tersissimo, senza una nuvoletta, ci cospargiamo di “protezione cinquanta”. Maniche corte, via in salita, cercando di stare dietro a chi sembra avere preso la gita per una race all’ultimo sangue…
Siamo fortunati perché è presente una traccia. Peccato che si interrompa poche decine di metri sotto “l’uscita” al colletto che dista pochi metri dalla Tete Noire.
L’ultimo tratto decidiamo di farlo a piedi, sci in mano. Senza neanche i ramponi saliamo veloci nella traccia di Chiara e, in poco tempo, sbuchiamo finalmente sul lato di Serre Chevallier. Domanda ovvia: “Che facciamo? Andiamo in punta?” Hai fatto trenta… E via sulla punta, di nuovo ski-aux-pieds! Dove, per essere onesti, tira un leggero venticello che però a 2842 metri fa sentire i suoi effetti. In pochi minuti siamo tutti in vetta, pronti per iniziare l’ultima discesa che, nonostante siano le 13,40 ci regala ancora una neve di ottima qualità.
La copertura nevosa non è continua fino alle auto ma, sfruttando al meglio le residue lingue di neve, riusciamo a toglierci gli sci a non più di cinque minuti dalle auto…
Gitone! Ne valeva la pena! Dislivello fatto da me, che non ho raggiunto la prima vetta, 1950 metri che passano i 2000 per coloro che sono saliti sul Grand Galibier.

Ringraziamenti e complimenti a: Orfeo, Roberto, MassMass il dutur, Guido, Fabrizio, Chiara, Renato, Ernesto, Andrea, Enrico.
E bravissimi anche quelli che hanno optato per la discesa soft: Sergio, Giacomo, Mike52, Battista, Annalisa, Cristina, Loorenz e… last il nostro quadrupede alpinista Russel un quasi veterano dello skialp.

Marco Centin

Giro della Bessanese

Se vi recate al Rifugio Gastaldi, ottimamente gestito dal nostro socio Roberto Chiosso da ormai ben sei anni, troverete, tra le tante proposte di giri in zona quella relativa al Tour della Bessanese e della Croce Rossa. Lo stesso dépliant è anche disponibile presso diversi negozi in valle (di Ala, stiamo parlando delle Valli di Lanzo) nonché nei centri cosiddetti specializzati che vendono attrezzatura da montagna.
Una seria compagnia, da sinistra Tommaso, Claudio e Marco.

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Chi ben comincia è già a metà dell’opera

LaPelissier_MatteoGuadagnini
La Pellissier (foto M. Guadagnini)

Chissà se e vero? Ottobre, per chi ama lo sci e il tempo fresco, è un mese di transizione. Che permette però alcune “perle”. Quali le goulottes. Consentono di stare ad alte quote, di arrampicare non con soli mani e piedi e di toccare il ghiaccio e la neve immaginando quello che verrà. E allora l’11 ed il 24 di ottobre due goulottes: Pellissier alle Pointes Lachenal e Perroux con finale sulla Le temps est assassin al Triangle du Tacul. Leggi tutto “Chi ben comincia è già a metà dell’opera”