Cercatori di Perle

Lo sguardo di chi ha salito almeno una volta i facili pendii di Cima del Bosco è stato sicuramente attratto da una strana conca sospesa, cesellata nella parete di roccia nera sulla destra.

La parete è quella del Monte Furgon e quella conca misteriosa è chiamata da sempre La Coppa. 
Quasi a nessuno è venuto però in mente di andare a portare i propri sci fin lassù.
Quasi a nessuno, esclusi i cercatori di perle.

Sul fondo la Coppa al sole (ph Paolo Montaldo)

Siamo verso la fine dell’anno e… come concluderlo degnamente? Il 28 dicembre abbiamo fatto il Roc del Boucher con la speranza di trovare un po’ di farinella, ma il vento dei giorni precedenti aveva fatto danni. Qualche bella curva dalla punta c’è stata ma da cercare nelle pieghe del terreno e tutto sommato speravamo in qualcosa di meglio: tre stellucce non di più!

Con questa premessa avevo deciso che il giorno seguente un meritato riposo ci stava tutto. Al tardo pomeriggio il gruppo di WhatsApp fa trillare il cellulare come una radiosveglia che suona sempre fino a quando non la spegni.

Allora domani chi c’è, cosa facciamo, dove andiamo? E fra e tante idee che circolano ci scrivo anche la mia: Monte Furgon. Ci sentiamo domattina.

L’avevo adocchiato il giorno prima e mi pareva buono. Il rischio lo danno 3 marcato ma dall’ultima nevicata è passato parecchio tempo, unica incognita: cosa avrà combinato il vento prima della Coppa? Il mattino del 29 alle 8, giusto per sapere cosa combinavano, chiamo Popino:
“Allora dove andate oggi?”
“Furgon e ci troviamo alle 9”
“Bene vengo anch’io”.
A dire la verità non ne avevo molta voglia, ma vista l’allegra compagnia e gli ottimi elementi convinco la mia pigrizia. Alle 9 ci troviamo a Thures, dove di questo periodo è meglio arrivare presto per parcheggiare: se arrivi mezz’ora più tardi non trovi posto. Siamo in sette, due dei quali con la split-board ma loro son giovani e forti… Lo sono davvero Lurens e Fabrizio, oltre a essere molto simpatici. Lasciamo le baite di Thures di buon passo e, con un lungo traverso ascensionale, tagliamo i pratoni dirigendoci verso la Costa Bouchars.

Soste tecniche (ph Paolo Montaldo)

Sotto il colle Chalvet a destra di Cima del Bosco ci sono due vallette molto marcate che partono da sotto le pareti del Furgon, meglio risalire la prima e quando la pendenza aumenta e finisce la pineta portarsi sulla dorsale tra le due. Così abbiamo fatto noi, tenendo come margine di sicurezza una decina di metri tra uno e l’altro.

La strettoia con il vetrato

Fatta la traccia sul tratto ripido e delicato non ci rimane che fare il traverso con attenzione e passare uno alla volta fino all’inizio della conca chiamata Coppa. Qui si apre un bellissimo anfiteatro che si percorre andando a sbattere quasi il naso contro le rocce verticali che lo sovrastano dove come d’incanto appare un canale nascosto che concede l’accesso alla punta. Concede? Altre volte son passato sulla neve compatta con picca e ramponi dove si restringe, ma questa volta vuol farci pagare pegno!
“Il vetrato, c’è il vetrato!” dico io “Di qui non si passa e poi per scendere dovremmo fare una doppia e chi ce l’ha l’attrezzatura?”. Questa è la parte più difficile e appagante della gita. Cardonatti e Negri sul loro “Ripido” lo danno: Canale SW 300m / max 40°- 45° / 4.2 / E2.

Sul Fondo La Coppa Al Sole E La Traccia Di Fianco Al Canale

Beh noi ci giochiamo il jolly: entra in funzione il caterpillar Fabrizio che in men che non si dica gira a sinistra e fa una traccia parallela al canale con neve profonda quasi fino al ginocchio molto farinosa tant’è che ogni tanto si sente la roccia sotto i ramponi. A un certo punto gli urlo:

“Ma perché vai dritto e sulla verticale, devi girare a sinistra per l’ometto di vetta” e lui:
“Sì, ma qui c’è un cartello con scritto Furgon!?”

C’è sempre da imparare. Io per la punta alla fine del canale ho sempre girato a sinistra e trovato l’ometto relativo, si vede che qualche buontempone ha messo un cartello dieci metri più in alto.

Due pensieri sulla discesa, ph Paolo Montaldo

Discesa. Visto che qualche cosa si toccava in salita io, per preservare le solette dei cari (in tutti i sensi) Movement ridiscendo con i ramponi fino alla strettoia; chi scende in sci se la cava comunque con qualche leggera grattatina ma senza grossi problemi. L’onore dell’integrale è salvo.

Scherzi a parte, tolti tutti i ramponi discesa da 4 stelle nella Coppa e da 5 sulla Costa Bouchars fino ad attraversare il rio, dove diventa più incassato per passare nei grandi pratoni sopra Ruilles. Tenendosi un po’ alti, sulla neve che da dura è diventata ben sciabile, senza faticare rientriamo felici all’auto sci ai piedi io e i miei sei splendidi amici Popino, Albi, Andrea, Mass, Lurens e Fabrizio.

In questa zona non esistono solo Terra Nera, Dormillouse, Giaissez ma ci sono tutt’intorno tante perle nascoste: bisogna solo cercarle.

di Orfeo Corradin

Grand Galibier, il labile confine tra scialpinismo e sci ripido

Il Grand Galibier è una montagna francese delle Alpi Cozie che quota 3228 metri. Si trova al confine tra i dipartimenti delle Alte Alpi e della Savoia tra i comuni di Valloire e di le Monêtier-les-Bains. A poca distanza dalla vera e propria punta parte, lato Valloire, un ripido canale che è meta ambita di tanti sciatori amanti dei pendii inclinati.

Grand Galibiè, il canale visto dalla Tete Noire (Ph C. Giovando)

Anche io ne avevo subìto il fascino e vi avevo pure visto alcuni francesi “sbucarne” fuori con evidente soddisfazione per la bella salita in un ambiente severo. Ciò che rende praticabile una pendenza sostenuta è più la qualità della neve che la sua ripidità. La discesa è un 4.3-E2 ovvero un po’ più difficile di un OS il che significa… abbordabile, facendo un po’ di attenzione!
L’itinerario più veloce per noi italiani è quello di percorrere la traccia per la frequentata Tete Noire svoltando nella parte alta a destra per infilarsi, con ramponi e picca, in uno stretto e ripido canale che adduce ad una piccola spianata a venti minuti dal Grand Galibier. Questa salita la percorremmo in gita sociale del GSA il 13 aprile 2014 e tutti i 32 partecipanti salirono, senza problemi, l’apparentemente ostico canalino (come testimonia la relazione della gita).
Domenica 10 Aprile 2016 siamo di nuovo qua in veste “privata”! I volti dei “runner” amici di Orfeo lasciano presagire un’andatura non troppo “meditativa”.
La meteo oggi è fantastica e le previsioni sembrano ottime. Anche la temperatura è perfetta. Assenza totale di vento. Insomma, tutto sulla carta sembra assicurare il successo!

Grand Galibier, canale di salita (ph. C. Giovando)

In undici ci avventureremo nel ripido budello mentre i restanti sette opteranno per la meno adrenalinica ma pur sempre bellissima “normale” verso Pont de l’Alpe il che è esattamente il percorso seguito nella sociale nel 2014. Sappiamo che ha nevicato venerdì notte, una spanna, anche se al sole di tale neve non c’è traccia.
Quando, uscendo dal primo canale, giungo al piccolo pianoro ad oltre 3100, i super-runner stanno già facendo ritorno, a piedi, dalla sommità del Gran Galibier. Per non perdere tempo tolgo subito le pelli e, salutati gli amici che torneranno verso Pont de l’Alpe, percorro i pochi metri che mi dividono dall’imbocco della “canala”.

Grand Galibier, ingresso nel canale.(Ph C. Giovando)

La conosco già ma valuto, come tutti, la consistenza della neve e la tenuta della stessa. Due francesi stanno per uscirne dopo averlo salito picca e ramponi: si stupiscono di trovare così tanta gente ad accoglierli (in realtà stiamo aspettando che si tolgano perché non vorremmo scaricare loro addosso della neve provocandone la caduta). Sono giovani e forti e, in breve, escono e possiamo scambiare due parole con loro sullo stato del manto nevoso.
Confermano le nostre impressioni, cioè la presenza di una spanna di neve fresca su uno strato duro. Tutti siamo già pronti per cui, dopo qualche secondo, respirone e giù nel budello. L’imbocco è ripido ma tranquillamente sciabile. Si salta, come sempre nel ripido, ma la presenza dello strato di neve superficiale mi frena agevolmente, limitando parecchio la paura che un po’ prende quando ci si imbarca in avventure sciistiche simili.
Dopo i primi 20-30 metri la pendenza aumenta parecchio e, al contempo, la presenza di due fasce rocciose laterali, restringe il canale a pochi metri di larghezza. I famosi 50 gradi devono essere qua e mi auguro che non ci siano altri tratti simili.

Mi sposto sul lato sinistro e procedo con un cauto “dérapage” per alcuni metri usando la mano a monte come appoggio.

Per rendere più adrenalinico il passaggio cominciano a sibilarmi proiettili di neve gelata provenienti dall’alto. I compari sono partiti e non possono certo fermare le colate di neve e tutto quello che si stacca…
“Sarà meglio muoversi e togliersi dalla linea di tiro!” penso ma il pendio è ancora tostino… i 50 gradi continuano ma appena terminati, mi sposto a sinistra per togliermi dai casini e trovo anche neve bella. Bene, qui è proprio divertente, scendo abbastanza veloce, incontrando piccole aree ghiacciate che obbligano ad una maggiore presa di lamine. Comunque sono sempre veloce a cambiare assetto e tenere gli sci paralleli ma distanti tra di loro. Mi godo il percorso, fuori dai blocchi di neve gelata che, con grande fortuna, mi passano a pochi metri ma non mi colpiscono mai.
Raggiungo così una piccola area assolata, forse l’unica del canale, e mi volto a guardare le evoluzioni di chi mi segue. È veramente raro vedere una simile truppa impegnata in un canale ma oggi va così! I miei compagni di avventura tirano giù di tutto.
Orfeo, poco più alto di me, si è stancato di prendersi in testa le continue scariche di chi sta sopra e lancia epiteti irripetibili. In questi casi il casco è d’obbligo proprio per attutire la caduta di tutto ciò che piove incessantemente dall’alto. Qualcuno mi ha fatto osservare che chi scende per primo trova la neve migliore…
Probabilmente è vero: il canale è intonso e c’è più possibilità di essere frenati dallo strato di polvere superficiale che si accumula a valle però oltre a prendersi le scariche di tutti, aprire la discesa implica sempre un po’ di incoscienza/coraggio perché le condizioni “reali” del canale sono ignote!
Scendo ancora un po’, ormai sono a metà canale (che misura sui 600 metri di dislivello) portandomi tutto a destra. Di tanto in tanto discrete colate di polvere transitano silenziose e imponenti nel centro del canale. Passarci dentro con gli sci vorrebbe dire essere trascinati via perché la massa di neve, pesante si approprierebbe della spatola dello sci e, sbilanciando il povero skieur, ne causerebbe la caduta.
Noto una figura sola salire lentamente, fortunatamente fuori dalla linea di massima pendenza. La raggiungo, sia per portarmi al sicuro che per curiosità: è una bella ragazza sola! Il padre è rimasto alla base del canale ed ora la sta osservando crogiolato al sole qualche centinaio di metri più in basso. La fanciulla si stupisce parecchio quando la informo che siamo quasi una dozzina impegnati in discesa. Dalla sua posizione non poteva vedere la parte alta del canale. È perplessa quando le comunico simili numeri e resta indecisa sul da farsi. Tipa tosta, di Villeneuve, la lascio alle sue elucubrazioni e proseguo la discesa, ormai facile e sicura.
Orfeo mi raggiunge e giochiamo per un po’ a scaricarci pendii nevosi uno addosso all’altro, ormai mancano pochi metri al sole ed all’uscita. Ci teniamo sulla sinistra dove il terreno sembra meno cosparso dalle tante piccole gobbe residui di vecchie valanghe. Dall’uscita del canale entriamo nel regno della moquette: la neve è compatta, uniforme, omogenea, nessuna pietra e lo strato superficiale è fuso, giusto quello che serve per lasciare le tracce… ci dilunghiamo in una serie di serpentine, in pieno sole, liberi e soddisfatti.
Stop ed attesa dei compagni che sono ancora parecchio su! Tutti comunque scendono e sembrerebbe andare tutto bene se non che… Renato perde uno sci in una banale caduta. Lo vediamo andare avanti e indietro a piedi cercando di vedere lo sci, siamo piuttosto lontani e comunicare a voce non è facile. Passano i minuti e cominciano a nascere angoscianti interrogativi: se lo sci non si trova che fare? Risalire il canale e scendere al punto di partenza o continuare la discesa fino a Valloire e da lì prendere un taxi?
Anche la ragazza francese intanto ha cominciato la discesa; evidentemente salire su un canale triturato ed ormai completamente privo di neve fresca non le interessava. Avvicinandosi a Renato li udiamo confusamente scambiarsi delle battute e poco dopo la ragazza trova lo sci e lo porge al nostro! Renato si mette lo sci e ci raggiunge in pochi secondi….
Scendiamo ancora “tenendo la sinistra” su una neve da sballo. Il livello di chi mi accompagna è eccelso: non si fa in tempo a tirare un attimo il fiato che tutti sono lì…

Arrivati a pochi metri da Plan Lachat, sopra Valloire, ripelliamo e ci apprestiamo a risalire i 750 metri di dislivello che ci porteranno in punta alla Tete Noire. Se fino all’uscita del canale il sole non aveva mai rappresentato un problema adesso lo diventa: nel cielo tersissimo, senza una nuvoletta, ci cospargiamo di “protezione cinquanta”. Maniche corte, via in salita, cercando di stare dietro a chi sembra avere preso la gita per una race all’ultimo sangue…
Siamo fortunati perché è presente una traccia. Peccato che si interrompa poche decine di metri sotto “l’uscita” al colletto che dista pochi metri dalla Tete Noire.
L’ultimo tratto decidiamo di farlo a piedi, sci in mano. Senza neanche i ramponi saliamo veloci nella traccia di Chiara e, in poco tempo, sbuchiamo finalmente sul lato di Serre Chevallier. Domanda ovvia: “Che facciamo? Andiamo in punta?” Hai fatto trenta… E via sulla punta, di nuovo ski-aux-pieds! Dove, per essere onesti, tira un leggero venticello che però a 2842 metri fa sentire i suoi effetti. In pochi minuti siamo tutti in vetta, pronti per iniziare l’ultima discesa che, nonostante siano le 13,40 ci regala ancora una neve di ottima qualità.
La copertura nevosa non è continua fino alle auto ma, sfruttando al meglio le residue lingue di neve, riusciamo a toglierci gli sci a non più di cinque minuti dalle auto…
Gitone! Ne valeva la pena! Dislivello fatto da me, che non ho raggiunto la prima vetta, 1950 metri che passano i 2000 per coloro che sono saliti sul Grand Galibier.

Ringraziamenti e complimenti a: Orfeo, Roberto, MassMass il dutur, Guido, Fabrizio, Chiara, Renato, Ernesto, Andrea, Enrico.
E bravissimi anche quelli che hanno optato per la discesa soft: Sergio, Giacomo, Mike52, Battista, Annalisa, Cristina, Loorenz e… last il nostro quadrupede alpinista Russel un quasi veterano dello skialp.

Marco Centin

Finnmarksvidda, ovvero il pesce al cartoccio

Finnmark, contea a Nord della Norvegia. Immagine di  TUBSOpera propria 

Pesce al cartoccio? Come può venire in mente un’immagine del genere in Norvegia? Dal 24 al 29 febbraio saliamo in quattro italiani ad Alta, al nord della Norvegia, per partecipare ad una mini spedizione di 80 chilometri in autonomia, cioè con slitte e tende, unitamente ad un polacco e ad un inglese accompagnati da due guide, nel Finnmark.

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85 anni fa… le valanghe

Sfogliando la vecchia “Rivista UGET” (numeri di febbraio e di marzo 1930) troviamo, presentate col giusto risalto, due tragiche notizie relative a cadute di valanghe.

1931
Il 26 gennaio 1931, nel vallone di Rochemolles, una valanga di grandi proporzioni travolse un reparto di alpini in esercitazione. I morti, ufficiali, sottufficiali e soldati, furono 21. Fra di loro due, Emilio Carrera e Vincenzo Tassisto, erano giovani soci dell’UGET.
Sulle stesse pagine della Rivista venne ricordata la scomparsa di Ottorino Mezzalama, socio del CAI–Torino e del CAAI, considerato oggi uno degli “inventori” dello scialpinismoe ricordato a tanti anni di distanza per il prestigioso trofeo a lui dedicato. Era nato a Bologna ma risiedeva a Torino. Il 23 febbraio 1931, nel corso di una discesa in Alto Adige, venne travolto da una valanga.

Chi ben comincia è già a metà dell’opera

LaPelissier_MatteoGuadagnini
La Pellissier (foto M. Guadagnini)

Chissà se e vero? Ottobre, per chi ama lo sci e il tempo fresco, è un mese di transizione. Che permette però alcune “perle”. Quali le goulottes. Consentono di stare ad alte quote, di arrampicare non con soli mani e piedi e di toccare il ghiaccio e la neve immaginando quello che verrà. E allora l’11 ed il 24 di ottobre due goulottes: Pellissier alle Pointes Lachenal e Perroux con finale sulla Le temps est assassin al Triangle du Tacul. Leggi tutto “Chi ben comincia è già a metà dell’opera”