Andar per Langa  

Cinquant’anni fa nessun “caino” che si rispetti sarebbe mai andato a fare escursioni nelle Langhe. C’era la montagna e basta, la gita aveva per meta una cima o un colle, tutt’al più un rifugio d’alta quota. L’approccio culturale aveva poi fatto qualche passo avanti quarant’anni fa, grazie anche alla Rivista della Montagna buonanima; si andavano moltiplicando i giri delle montagne, i percorsi naturalistici, gli anelli tematici. Ma di collina neanche a parlarne.

Quando a metà anni settanta abbiamo cominciato a andarci, quasi tutti manifestatamente ci commiseravano. “Siete andati a Mombarcaro? Ah sì, è il posto più alto delle Langhe, 896 m”. Incuranti di ciò, negli anni a venire abbiamo fatto esplorazioni remunerative, specie negli inverni scarsi di neve.

Erano posti assolutamente vergini di turismo pedestre, era un’avventura. Si seguivano i tracciati delle vecchie vie e mulattiere indicate sulle cartine IGM, tra la curiosità della gente e la diffidenza. Andare in giro con lo zaino equivaleva ad essere considerati zingari ladri, gli scolari usavano ancora la cartella. Ci hanno pedinati, una volta pure con l’auto che andava su e giù per controllarci. Abbiamo imparato che a chiedere ospitalità alla locanda o all’alberghetto di paese bisognava lasciare lo zaino fuori, pena il diniego: “no, è tutto esaurito …” Nostri amici cuneesi sono capitati una sera al Castello di Verduno con lo zaino: “Spiacenti, non c’è posto”. Sono tornati qualche giorno dopo vestiti da festa, una donna si era pure fatta prestare la pelliccia, “Avete da mangiare e da dormire per quattro?” “Certamente, accomodatevi. No, se ce l’avete tenetevelo, noi siamo quelli dell’altro giorno …”

Andare a piedi non rientrava nelle cose normali. Chiediamo a due donne dov’è il sentiero per Bossolasco segnato sulla carta. “Ma c’è la strada e tra poco passa il bus. – Ma no, vogliamo salire a piedi per il sentiero.” Una donna tocca il gomito all’altra e le dice in langarolo: “Ma non hai capito, hanno fatto un voto”.

Una volta (si era nel ponte dei Santi e faceva freddo) in una cascina ci hanno offerto un caffè caldo. Saputo che salivamo a Murazzano, la contadina ha detto a Loretta: “Ma lei stia qui, non vada con loro, più tardi la faccio accompagnare a Murazzano da mio marito con l’auto”.

Parlare in piemontese era un lasciapassare. Potevano pensare che fossimo gente un po’ squilibrata, ma sempre meglio che zingari ladroni.

Sulle Langhe nevicava eccome e ben presto abbiamo ideato di fare traversate con gli sci e le pelli. Memorabile quella da Ceva a Alba in due distinti fine settimana del 1978: in febbraio Ceva-Murazzano- Bossolasco-Serravalle, in dicembre Bossolasco-Serravalle-Diano-Alba. I cani abbaiavano e tutti venivano fuori a vedere con gran meraviglia.

Ce ne sarebbe da raccontare. Una volta nei boschi di Murazzano abbiamo sentito il ruggito di un leone. Ognuno di noi ha pensato di avere le traveggole e non ha osato parlare, ma Loretta che era indietro ha accelerato per raggiungerci. Di lì a poco un altro ruggito poderoso e forse più vicino ci ha gelato il sangue. Abbiamo poi saputo che nei dintorni c’era un parco chiamato “Zoo Safari”.

Langa Moderna. Gita sociale TAM davanti alla cappella affrescata da Sol Lewitt. (ph E. Masuelli)

Oggi la situazione si è decisamente evoluta. L’escursionismo ha colonizzato Alta e Bassa Langa, con sentieri segnati e tabellati, traversate, trekking, anelli, logistica eccetera. Non si contano guide e cartine, agriturismi e bed and breakfast. Le gite sociali figurano nei programmi del CAI e di quant’altri. Tedeschi e svizzeri hanno acquistato lì la seconda casa e vogliono camminare.

Lo zaino finalmente spadroneggia benvenuto.

In mezzo secolo c’è stato uno stravolgimento. Ma prima era più avventuroso.

di   Marziano di Maio