Altri tempi: 50 anni fa, un 6000 in “sociale”

Come eravamo – Altri tempi: 50 anni fa, un 6000 in “sociale”

Testo di Marziano Di Maio. Foto Archivio Di Maio

Mezzo secolo fa si è vissuta la felice ma breve stagione delle spedizioni sociali ugetine (un tempo le salite su montagne extraeuropee erano “spedizioni”). Concepite dalla mente avventurosa e precorritrice di Beppe Tenti e con il supporto dell’allora presidente Lino Andreotti e di Alberto Risso, sono iniziate nel 1967 con il Kilimangiaro e continuate negli anni seguenti con i tre alti vulcani del Messico, con il Deo Tibba, in Himalaya, l’Illimani (Ande), il campo base del Lirung (Nepal) e l’Hindukush afgano.
Erano altri tempi, per esempio oggi non sarebbe più possibile a un gruppo di 49 persone pernottare a Nairobi in tenda in un giardino pubblico del centro, né sarebbe facile portarne 24 su 24 (e quasi tutti più escursionisti che alpinisti) in cima a un 6000 himalaiano. In quell’agosto 1969, diretti al Deo Tibba, i partecipanti erano appunto 24. Quasi tutti si conoscevano. Nove erano donne, sei i consiglieri della Sezione. Erano organizzati in otto cordate da tre, ognuna autosufficiente con sua tenda, viveri, materiale alpinistico, due fornelletti, pentolini ecc. Le tendine in realtà erano da due ma ci si doveva stare in tre (nei campi alti, stretti, in cinque).
In India l’aereo li ha scaricati a Delhi, poi un pullman li ha condotti in quel luogo ridente e ospitale che era Manali, ultimo paese a 1800 m nella valle di Kulu. In quattro tappe si sono portati a 4000 m, hanno piantato il campo avanzato a 5200 m sul bordo di un gran crepaccio. Da lì il giorno di Ferragosto in 8-9 ore (un’ora tra la prima cordata e l’ultima) tutti hanno toccato la cima. Un brindisi con lo spumante e via di fretta per rientrare alle tende a 5200 m prima del buio.
Ma non tutti sono rientrati. Una ragazza aveva speso tutto e non aveva neanche quel minimo di energia da tenersi in piedi. Quello che l’aveva in cordata si è dovuto arrangiare, con l’aiuto di una guida indiana, mentre le nebbie si andavano infittendo. Si è prefisso di scendere ad ogni costo fino a 5750 m dove aveva notato crepaccetti entro cui alla peggio poter trovare riparo. Ha legato insieme e sistemato sulle spalle i tre zaini, messo in sicura l’indiano con la ragazza sulla schiena, e via. Con l’ultima luce la cordata è arrivata ai crepaccetti, ma non ce n’è stato bisogno perché il freddo notturno si stava mangiando le nebbie. Da buon responsabile di cordata, quel malcapitato aveva viveri, fornelletto, pentolino e persino bombola di ricambio, forse se la sentiva. Aveva pure un giornale, conscio di quanto calore riesca a far guadagnare un foglio di carta messo sotto gli abiti.
Seduti su un rialzo, con i piedi prudentemente infilati dentro gli zaini fuori, i tre hanno atteso l’alba. La ragazza ha dormito recuperando le forze, vegliata dai due compari sotto un fantastico scintillare di stelle e il lontano brillare delle luci della grossa città di Chandigarh. Al primo chiarore e dopo un ennesimo the sono partiti, lei a braccetto, lì non c’era pericolo. Prima delle difficoltà ecco le guide indiane venire incontro, con biscotti e un thermos di the (non se n’è mai bevuto tanto). L’unico inghippo della spedizione è andato a buon fine. 50 anni hanno lasciato il segno e soltanto un terzo dei compagni può ancora raccontare (la metà sono donne, sono più longeve si sa). Una trentina di anni dopo è capitato di ripassare da Manali, rimasta nella memoria come un delizioso Breuil dei tempi di Guido Rey. Era irriconoscibile, ridotta a una Cervinia in salsa indiana, così va il mondo.