Quatti, quatti …

“Vivere senza tentare significa
rimanere nel dubbio che ce l’avresti fatta”.


La stagione delle gite sociali è terminata ma, grazie alle condizioni di innevamento che quest’anno sono veramente eccezionali, sta proseguendo senza sosta l’attività “privata” di molti.

In queste ultime settimane insieme alle classiche di fine stagione Giro del Pic d’Asti, Carro e Roncia che hanno avuto una presenza semi-sociale, i più bravi di noi hanno percorso alcuni itinerari veramente di gran classe.

Nord della Ciamarella, Rocciamelone e una insolita Est del Gran Paradiso …
Almeno quest’ultima siamo riusciti a farcela raccontare!


Giovedì 6 giugno 2013, ore 17,30 ritrovo ad un’ora un po’ inconsueta al solito parcheggio dietro il Mac Donald’s di corso Giulio.
Destinazione: Rifugio Vittorio Emanuele, a quota 2735m in Valsavarenche.

Arriviamo nel piazzale dopo neanche due ore di viaggio e messi gli sci in spalla ci incamminiamo per salire gli 800 metri di dislivello, speranzosi di potere mettere presto gli sci ai piedi.

Nella strada incontriamo tre tipi, austriaci, li rivedremo domani all’uscita dalla nord del Granpa mentre noi abbiamo in mente di salire per la normale, scendere la est in sci e risalirla per tornare poi giù dalla normale.

Arriviamo così intorno alle 21,15 al rifugio: purtroppo soltanto gli ultimi duecento metri sci ai piedi, il resto tutto a spalla, ma è stata una piacevole sgambata.

Il gestore era informato e ci viene subito servita la cena a base di minestrone con verdure, due pezzi di formaggio, pane ed anche il dolce.
E poi subito a nanna, stanza n°14 con bagno a due passi, i letti sono sei, un po’ allo stretto ma in tre ci si sta comodi. E c’è pure la luce in stanza.

La colazione delle quattro interrompe il sonno ristoratore: il gestore ha detto che regoleremo i conti al ritorno: sembra che quest’anno ancora nessuno sia sceso dalla est.
Ci dobbiamo preoccupare?

Siamo partiti per primi e, con il passare del tempo, sembra che allunghiamo le distanze dai ns inseguitori, pur non correndo.
Renato, scatenatissimo, di tanto in tanto si ferma ad aspettarci, non abbiamo l’andatura da Mezzalama e, onestamente, non mi interessa sprecare energie per corrergli dietro…

Al primo sole siamo ormai in vista della punta del Granpa e siamo a quota 3850m.
Ci fermiamo un attimo a vestirci: c’è un venticello, niente di che, ma a quella quota è sufficiente stare 30 secondi senza guanti perché Roby ed il sottoscritto ci si congeli una mano.

Ripartiamo e, a poco a poco, riprendiamo la circolazione normale.

Arrivati dove tutti lasciano gli sci, ci togliamo le pelli al sole, il vento è del tutto cessato ed anche una preoccupante nuvoletta che nascondeva di tanto in tanto la Madonnina sulla punta, si è magicamente dissolta.

Calziamo i ramponi, prendiamo una picca e via sulla bellissima traccia che “snobba” la salita classica alla Madonnina che viene lasciata sulla destra.

Ci si porta così alla base nord-ovest del torrione su cui è stata eretta la Madonnina che viene erroneamente considerata la punta e ci si trova davanti un altro torrione che, con facile ma espostissima e breve arrampicata viene superata. Insisto perché si metta una corda (del resto ce l’abbiamo!) e così Renato fa da primo e assicurato perché “non-si-sa-mai” va sù e ci assicura.

Giunto sulla piatta sommità proseguo sulla relativamente facile ma aerea e spettacolare cornice che in una ottantina di metri scende di qualche metro per allargarsi.

E’ fatta, siamo qua.
Adesso o torniamo indietro o andiamo giù.
Più in alto non si sale.

Non possiamo neppure ritirarci perché non ci sono le condizioni: tutto sembra perfetto; l’unica cosa che manca è la decisione….(forse il coraggio).
Qualcuno dice: “proviamo a fare due curve….”

“Già!” penso io, “proviamo due curve e se non ci dovessero piacere cosa facciamo? Ci togliamo gli sci su una parete a 45-50 gradi e ci mettiamo i ramponi? ….. uh! mumble, mumble…. assai improbabile…. cambiare assetto in un posto del genere…”

Il tragico poi è che lì, sulla cengia si stava comodi: larga, spaziosa, quasi pianeggiante…. e con un panorama mozzafiato!
Insomma buttarsi giù per la parete da lì… uno proprio doveva imporselo!!!

Del resto ero arrivato per primo (Renato assicurava Roberto mentre io ero già “partito” dalla sommità del Granpa) per cui ero “avanti” con i lavori ed aspettare che qualcuno partisse mi sembrava scorretto.

Per cui messi gli sci e controllata l’attrezzatura non una ma due volte (chiusi bene gli attacchi, scarponi serrati, lacciuoli dei bastoncini giusti, zaino ben aderente….) ho provato un po’ di dérapage… la neve era bella, davvero, mollata il giusto dal sole.
Del resto la parete è in pieno est e prende sole fin dall’alba… insomma, era solo una questione di coraggio…

La prima curva, per chi ci è passato, è sempre la più brutta….

Fatta una le altre mi sono venute spontanee: l’unica preoccupazione era non sbagliare.
Essere sicuri di non sbagliare; e del resto, perché mai dover sbagliare?
Non c’era nessun imprevisto, tutto era sotto controllo… ho persino pensato che la cosa peggiore che poteva capitarmi era che qualcuno dei miei compagni potesse scivolare e travolgermi, quello era, oggettivamente, il rischio maggiore ma se non “partivo” io non sarebbero partiti neppure loro, e poi la neve era bella!

Cercavo, magari anche con lunghi diagonali, la pendenza minore ma ho lasciato perdere ad un certo punto perché tanto in centro aumentava, di poco ma un pochetto aumentava per cui mi sono detto che non aveva senso non saltare qui per tribolare poi da un’altra parte, tanto valeva “prendere ciò che il convento passava” per cui curva dopo curva, su una neve che mi dava comunque sempre una discreta sicurezza, sono arrivato in vista della crepaccia terminale.

L’itinerario, se mai ha senso parlarne, era piuttosto ampio: solo in basso mi sono trovato un po’ obbligato a stare dentro pochi metri: a sinistra la parete era rigata dalle numerose “palle” di neve che scendevano, mentre a destra c’erano delle rocce.

Lo spazio “liscio” dove scendere era comunque di 5-10 metri ovvero un canale ampio, che consentiva di prendersi tutti gli spazi ed i tempi necessari per saltare meglio.
Non ho mai guardato l’orologio e non riesco a valutare quanto tempo sia passato, credo tra i cinque e i dieci minuti per tutta la parete.

Avrei potuto scendere ancora, la crepaccia era pochi metri sotto di me ma mi sono fermato perché, ho pensato, risalirla non sarebbe stato facile.

Dopo un po’ ho visto Roberto, qualche metro sopra di me, si è fermato in piena parete e poi è arrivato René, che però non era visibile dalla mia posizione.

Rimessi, con la massima calma i ramponi, siamo risaliti per la massima verticale e la salita è stata eterna; si trattava di battere in una neve che spesso sfondava per cui la progressione era davvero estenuante.

Avevo due picche e persino la “spinning-leash” alias quella specie di cordino con cui sono fissate le due becche all’imbrago ma una picca sarebbe stata ampiamente sufficiente.

Spesso la neve faceva zoccolo e questo rendeva ulteriormente più faticoso il salire.

Dall’alto saltuariamente provenivano schegge di neve che all’inizio mi preoccupavano ma poi era solo “polvere di neve” probabilmente mossa da qualche pezzo di cornice che in alto si staccava e smuoveva la neve sulla superficie con cui veniva in contatto.

Giunti, dopo un’ora e mezza alla cresta avevamo capito che era quasi finita!!!

Restava il passaggino della torre e la cresta, un minimo di attenzione ed avremmo raggiunto il colletto dove avremmo messo gli sci e ci saremmo concessi una barretta ed il bere.

I tre austriaci del giorno prima sono comparsi (provenienti dalla nord) anche loro sulla cresta e sono andati anche sulla punta della Madonnina, mentre noi puntavamo diretti al colletto, zona-relax.

Infatti in pochissimo tempo ci siamo arrivati ed abbracciati e commossi ci siamo preparati per la discesa, ormai divenuta un tranquillo e rilassante rientro alla base.

La neve in alto non era bella, migliore dai 3200 metri fino al rifugio.

Al Vittorio ci siamo ancora concessi una bella pasta ed un’altra birra e, pagati i conti, giù per l’ultima sciata, peraltro corta per poi rimettersi ancora una volta, gli sci in spalla e giungere all’auto nell’assolato pomeriggio.

In venti ore totali ci siamo tolti questo sassolino….. Dislivello: dai 1950 metri del piazzale ai 2735 del Vittorio fanno… boh, fatevi voi i conti.

Dal rifugio ai 4060 della punta sono più o meno 1300 a cui va aggiunta la risalita della parete che è circa trecento metri.

Alla fine di venerdì il SUUNTO segnava 1730, tutto incluso.

Tempo sempre bello, freddo il giusto, direi.

L’idea originaria di questa pazzia è di Roberto mentre Renato corre troppo sugli sci, bisogna mettergli qualche pietrone di nascosto nello zaino se uno vuole provare a stargli dietro…. io mi sono accodato.

marco

Cai Uget