RAID
15-19 aprile – Vanoise

Quest’anno, per festeggiare degnamente questo importante anniversario del Raid Sci Alpinistico, attività summa del GSA, si va in Vanoise!

Questo massiccio, che si trova totalmente nella Savoia, coincide con l’omonimo Parco istituito definitivamente solo nel 1963 come Parco Nazionale (il primo della Francia!) dopo il lungo quarantennio in cui era solo una Riserva Naturale, nata con la medesima finalità del nostrano Gran Paradiso: proteggere lo stambecco dall’estinzione.

Nel Parco oltre cento vette superano i tremila metri, un dato che la dice lunga sulla caratura alpinistica del comprensorio!

Interrompendo una certa propensione a Raid brevi, ci tratterremo ben cinque giorni, da mercoledì 15 a domenica 19 aprile.
Sebbene il confine meridionale più vicino all’Italia disti un tiro di schioppo dal Moncenisio (il Parco si “spinge” infatti vicinissimo a Lanslebourg, subito sotto il Colle del Moncenisio) l’approccio automobilistico invernale non può che avvenire tramite il Tunnel del Frejus e ci obbliga a sciropparci oltre 250 km, la stragrande maggioranza su strade ad alta velocità (ed ovviamente a pagamento).

Si costituiscono tre equipaggi, due dei quali partiranno intorno alle tre del mattino (se preferite le tre di notte) per raggiungere il primo dei quattro rifugi, l’ex Felix Faure ora Refuge du Col de la Vanoise, ad un’ora che consenta ancora di effettuare una gita…


Mercoledì 15 Aprile

Pralognan, cittadina divenuta famosa a livello mondiale grazie ai giochi olimpici invernali del 1992 (la sede principale era Albertville) aveva ospitato un torneo (allora solo dimostrativo) di curling, la “dura” disciplina della “teiera-su-ghiaccio”divenuta poi “disciplina olimpica ufficiale” solo nel 1998.
In questo periodo è una cittadina semi-deserta, non vediamo l’ora di “entrare” nel vivo della montagna e lasciarci alle spalle questo agglomerato di seconde, terze case di villeggiatura…

A Pralognan alle sette e qualcosa non c’è neppure un bar dove potersi caffettare in pace, se caffè si può chiamare il caffè francese.
Saliamo in auto poco sopra a Pralognan: la pistona invernale, più volte attraversata dalla strada asfaltata, è ormai già in fase di avanzato scioglimento e ciò ci consente di parcheggiare ad oltre 1600 metri presso Les Fontanettes, guadagnando così un 100 metri abbondanti di dislivello.

Nel solito impressionante baillamme di ammenicoli vari fuoriuscito dalle auto ci dividiamo il materiale comune costituito da tre corde, il pronto soccorso, il telefono satellitare ed altro; poiché uno dei tre rifugi non sarà gestito, Roberto si porterà anche sei buste di minestre liofilizzate….

Sci ai piedi, sugli (ancora abbondanti) residui nevosi della mega pista da sci, saliamo verso i 2517 metri del Refuge du Col de la Vanoise del CAF, operativo dal 2014 a fianco ai vecchi storici e fatiscenti edifici del Felix-Faure del 1902.

Nell’ultimo quarto d’ora di salita vediamo i tanti omini che salgono alla Grande Casse sul ripido canalone e non posso non pensare alla nostra analoga esperienza del 13 maggio 2007 che, nonostante il successo della salita (a cui va anche aggiunta la salita alla punta Mathews) vide anche una poco piacevole scivolata di un ns socio ed il coinvolgimento di un secondo che perse del materiale…

Noi oggi invece ce ne andiamo in pieno sud, verso il monte Pelve, una lunga barriera rocciosa che si erge nel bel mezzo dei ghiacciai della Vanoise (che sono tre: uno è quello del Pelve, l’altro de l’Arpont e l’ultimo de la Mahure).

Superato un primo facile ma non corto e sciabilissimo muro di 300 metri proprio di fronte al rifugio, entriamo infatti nel quasi pianeggiante ghiacciaio: la luce è accecante, il riverbero esagerato… i miei occhiali protezione quattro, sembrano fin quasi insufficienti!!!

Siamo talmente fiduciosi e pimpanti da ipotizzare di salire anche al Dome de Chassoforet, gigantesco cupolone visibilissimo dal moncenisio, la cui via normale parte da Termignon e fa tappa al Refuge de l’Arpont.
L’interminabile (ed anche un po’ noioso) progredire sul falso piano però ci sfiaccano e, giunti sulla massima elevazione sciistica del Pelve (la vera vetta oggi è rocciosa e raggiungibile solo con complicati accessi alpinistici), scattiamo la foto di rito e cerchiamo una via che consenta di ridurre la spinta sugli sci al minimo.

Tornando giù, prima di iniziare la breve parte interessante dal punto di vista sciistico qualcuno vuole ancora salire alla Réchasse, forse l’unica montagna nei pressi del rifugio (Gran Casse eslcusa, ça vas sans dire!) di interesse sciatorio.

Io preferisco, insieme a Jopoll, scendere raggiungendo Cris & Annalisa che hanno rinunciato, fin dall’inizio, all’appendice del Pelve…

Mega omelette ottima accompagnata dal birrone alla spina (in questo rifugio non manca nulla!) e poi “cazzeggio” in attesa dei nostri amici ancora sulle nevi.

Poco prima della cena, servita alle 19, ci raggiunge l’ultimo equipaggio e, ora al completo, in dodici ci mettiamo a tavola.

Meteo pour demain: bello al mattino e peggioramento nel pomeriggio.


Giovedì 16 Aprile

Piacevole ed abbondante colazione e… si parte.

Io, con Annalisa, Cris e Paul, parto un po’ prima per guadagnare terreno ma…. scendo troppo e ci troviamo, per colpa mia, in un vallone più laterale.
Così, quando guadagniamo una panoramica morena, vediamo i nostri amici, più speedy, già davanti a noi….
Pazienza, li raggiungiamo al colle, anche se le disponibili retrovie, rallentando, ci consentono di “agganciarli” con una certa facilità.

L’arrivo ai 3095 metri del colle è fatto sci ai piedi, senza ramponi: molto bello e piuttosto facile offre un panorama, dalla parte opposta, semplicemente stratosferico!
La nord della Gran Casse è sopra di noi; fa una certa impressione vedere due omini che, piccoli-piccoli, la stanno salendo.
Chissà se scenderanno da questo versante (che comunque sembra non superare i 45 gradi di pendenza) o raggiungeranno la punta per scendere dalla normale!

Ci lanciamo, sci ai piedi, nel facile ghiacciaio di Rosolin lasciando alla nostra sinistra gli imponenti ed impressionanti crepacci e giunti nel fondo valle, mille metri più in basso, cominciamo la lunga risalita che ci porterà nell’accogliente Refuge du Col du Palet, sito sotto il Colle omonimo.

Il tempo non è più quello di ieri: la visibilità è ancora buona ma stiamo decisamente andando verso il peggio.

Ciononostante cinque di noi si staccano per tenere fede al programma originale che prevedeva la salita alla Pointe de Vallaisonnay, metri 3020.
Con il resto della banda proseguo nel facile vallone fino ad arrivare al colle de la Croix des Fretes, vicinissimo al Col du Palet, da cui in un paio di minuti si arriva all’accogliente e piccolo rifugio.

Marion e Nicolas sono a nostra disposizione, simpaticamente disturbati da una masnada di marmocchi (di cui due di loro produzione) che mettono allegria all’ambiente…
Lussurioso e rigenerante piatto a base di formaggio con fette di pane intrise nel vino cotto in forno e consueta birra, ci sistemiamo nel caldo ed accogliente sottotetto, ricoprendo le vicinanze della stufa con i ns vestiti umidi…

Arrivano in breve, tutti interi, i nostri compagni di avventura dalla Vallaisonnay e ci godiamo la meritata ed abbondante cena.

Meteo per domani…. Terribile.
Ma ce lo aspettavamo.
Era in programma la variante che prevedeva la salita al Dome des Picheres ma temiamo fortemente sia compromessa.


Venerdì 17 Aprile

Previsione confermate.
Anzi sono pure comparsi altri 5-10 centimetri di neve fresca…

Lasciamo passare un po’ di tempo in attesa di un miglioramento che non arriva e poi si parte.
La visibilità, a momenti, è nulla, per cui procediamo in parte aiutati dalla sequenza di waypoint inseriti ieri grazie alla carta georeferenziata di Mike.
Lo spostamento è lungo e, fino al bivio che prevede la risalita per lo sguarnito Refuge du Mont Pourri tutto va bene; poi sbagliamo clamorosamente l’accesso al sentiero e ci troviamo a brancolare su esposte pareti di misto dove una scivolata potrebbe avere brutte conseguenze.

In un raro momento di visibilità scorgiamo, più in basso, il sentiero e con delicato traverso tutti siamo sul sicuro percorso.

Ma la nostra è una soddisfazione di breve durata perché più volte perderemo il sentiero a causa della assoluta mancanza di tracce sul terreno.
Con il GPS e la carta georeferenziata è facile trovare il punto ma siamo pur sempre su un sentiero lungo una falesia quindi una differenza di pochi metri rende complicato il tutto…

La carta di Mike, più volte utilizzata sotto la pioggia e la neve marcia, diventa ben presto difficile da gestire nonostante le mie amorevoli cure e l’attenzione che adopero per mantenerla al meglio!
Ad un certo punto me l’accartoccio prima di infilarla sotto l’antivento…è ormai diventata una malloppa di carta pesta, siamo tutti umidi-bagnati…

Ma alla fine, dopo lunghi sali-scendi transitiamo vicino alle bergerie di Geay.

Dalla malloppa-papiro risulta che siamo a poche centinaia di metri in linea d’aria dalla nostra meta e parto, lancia in resta, verso il sito dove SPERO si trovi in rifugio.

Salendo batto traccia nel marcione, sudando come in un bagno turco.
Di fronte a me, poco più in alto, una lingua di neve testimonia con forte probabilità il tracciato del sentiero e la raggiungo.
Passo una curva e… sorpresa!
Il rifugio è lì, silenzioso, sembra una nave russa nelle silenziose nebbie del Baltico, e, comunque sia, rappresenta la fine delle nostre quotidiane tribolazioni.
La quota, 2374 metri, viene confermata dal GPS. La legna è abbondante e due fontane ci assicurano tutta l’acqua di cui abbiamo bisogno.

Marion e Nicolas ci hanno venduto questa mattina, a prezzo ridicolo, un chilo di ottimo “jambon”, un chilo di formaggio, prugne secche, tre “pain en cassette” ed una dozzina di mele; a ciò vanno aggiunte le sei buste di minestre liofilizzate che Roby ha portato fin qua.
Speriamo anche, ma rimarremo delusi, di trovare qualche appetitoso avanzo di precedenti alpinisti…

La stufa in breve, diventa una specie di altoforno.

Ingozzata di abbondante legna ci regala presto una temperatura hawaiiana, piacevolissima sensazione per le nostre ossa umide ed indispensabili a fare asciugare i nostri panni tecnici e non, marci per la giornata di oggi.

Un curioso cartello informa i visitatori alpinisti che è severamente vietato fare asciugare i panni nei pressi della stufa….

Con stupefacente efficienza teutonica ci lanciamo alla preparazione di thè, tisane, riso, orzo, minestre, riuscendo anche a lamentarci per la totale mancanza di beveraggi con un minimo tasso alcolico ma ci consoliamo pensando al prossimo rifugio.…
Domani lasceremo il Rifugio Mont Pourri in condizioni brillanti, molto meglio di come lo abbiamo trovato e pagando una quota non certo simbolica a rimborso della legna utilizzata e dell’utilizzo della struttura.

Dopo cena qualcuno gioca a dama, qualcuno re-incolla le pelli ora finalmente asciutte, qualcuno verifica l’attrezzatura.

Ci addormentiamo beati suddivisi in due caldissime stanzette….
Meteo per domani: brutto al mattino, in miglioramento a partire da midi
Speriamo.


Sabato 18 Aprile

Tirato a lucido il rifugio e rifatti gli zaini, ormai asciutti e riposati, partiamo puntando al vecchio ed ora non utilizzato Refuge du Mont Pourri, una novantina di metri più in alto.
Dovrebbe ospitare un museo, ma lo troviamo chiuso e proseguiamo la salita verso il monte Pourri, ambita meta scialpinistica di tanti skialper.

Qualora le condizioni non lo permettessero “taglieremo” dal col des Roches dove dovremmo trovare (ma non la troveremo) una corda fissa in loco.

Se le condizioni fossero state proibitive avremmo potuto anche passare da Le Gran Col, passaggio nei pressi di alcuni impianti di ARC2000, ripiego molto più facile e tranquillo, ma le previsioni meteo orientate al miglioramento ci inducono ad un cauto ottimismo.

Saliamo il ripido ghiacciaio di Geay in un’atmosfera plumbea, avvolti nelle umide nebbie, tra pareti rocciose tetre e impressionanti.
Uno scenario a cui, ben presto si aggiungono imponenti seracchi e crepacci dalle dimensioni ragguardevoli.
Ma oggi disponiamo di una traccia da seguire ed Enrico, che batte traccia in testa, sembra seguire fedelmente tale traccia, pur procedendo “a naso”…

I metri di salita si accumulano ed alla fine gli erti pendii vengono sostituiti da ad un ampio falso piano dove è ormai facile identificare a sinistra il Col des Roches 3435m, piuttosto ostico ad una prima visione e nostro punto di transito per il raggiungimento del prossimo Rifugio.

A destra, visibile ad intermittenza, il muro terminale che dovrebbe addurre alla pala finale del Mont Pourri.

Saliamo ancora di qualche metro ed abbandoniamo il materiale inutile: saliremo gli ultimi quattrocento metri il più leggeri possibile.
In giro, nonostante la notorietà, quasi oserei dire la “sacralità” del posto, non c’è nessuno.
Certo che il tempo non è dei migliori…

Ma si sa, il cielo aiuta gli audaci e, sul ripidissimo muro che adduce alla spalla, nelle foto che riesco a scattare sono sempre più frequenti squarci di cielo azzurro e intanto qualche lunga ombra comincia a delinearsi sulle immacolate pendici che saliamo.

Passato un subdolo buco dovuto alla presenza di un piccolo crepaccio, lo “marchiamo” con evidenti disegni sulla neve che ci potranno essere utili in discesa e proseguiamo la corsa dietro ad Enrico che, cento metri più alto degli ultimi, dovrebbe ormai quasi essere in punta.

A poche diecine di metri dai 3779m della vetta molliamo gli sci e proseguiamo, ramponi e picca, sul pendio finale, esposto ed aereo ma nel complesso abbastanza facile.
Il responsabile della METEO che fino ad allora aveva avuto scarsa fiducia in noi, commosso e colpito da cotanta perseveranza, quasi a volersi scusare, pulisce tutto e ci troviamo, con stupore, nell’azzurro assoluto, sopra un mare di nuvole con le nostre estetiche e solitarie tracce che per centinaia di metri scompaiono nel basso ghiacciaio di Geay, inghiottite da dense ed ormai innocue brume.

Siamo commossi; qualcuno paragona tale salita al Monte Bianco per la complessità dell’approccio, la pericolosità, la lunghezza e la ripidità, oltre che per il panorama che spazia a 360 gradi su montagne lontanissime.

Effettivamente “mettere in saccoccia” tale meta non è da tutti ed esserci arrivati tutti è fonte di grande soddisfazione!!!

Ci tratteniamo una buona mezz’ora in punta, non c’è neppure vento e poi iniziamo, cauti, la discesa fino a giungere, dopo avere recuperato i materiali, alla base del ripido Col des Roches che risaliamo con picca e ramponi.

La supposta difficoltà è minima ed in breve abbiamo ragione dell’alpinistico ma abbordabile passaggio.

Piuttosto la discesa sul versante nord (il Glacier du Gran Col) è problematica: ci hanno segnalato la presenza di ghiaccio anche se la neve caduta nella giornata precedente dovrebbe avere semplificato un po’ le cose.

Orfeo si lancia e trova il passaggio.
Nonostante i 35-40 gradi di pendenza troviamo solo un crepaccio che impone un minimo di attenzione e tutto, o quasi, fila liscio.
Annalisa infatti, spaventata dal passaggio, decide di cadere esattamente sul crepo stesso e rimane paralizzata dalla paura.
Ma non c’è motivo di temere nulla e Superman, sceso dall’alto del cielo in pochi nanosecondi, aiuta l’impressionabile fanciulla a rimettersi in pista con tutti gli altri.

Perdendo quota ritroviamo le nostre affezionate nuvole che rendono l’orientamento complicato.
Con qualche studio e qualche animato dibattito sul percorso riusciamo comunque ad individuare il minuscolo Refuge de la Turia, dove il giovane ed efficiente gestore ci attende sorridente sull’uscio.

Festeggiamo con un’apprezzatissima birra il felice raggiungimento e ci spaparanziamo nel rifugio e fuori per godere dei caldi raggi del sole che, di tanto in tanto, fanno capolino tra le nuvole di un cielo sempre incerto.

Ovviamente non si va a dormire senza avere avuto informazioni sulla meteo.
Partendo da Torino contavo molto su una solida alta pressione domenicale mentre i comunicati aggiornati sembrano, se non disastrosi, ben poco incoraggianti.
Sob!!!!


Domenica 19 Aprile

L’inevitabile diuresi notturna, almeno per alcuni di noi, confermando le ventose previsioni domenicali, è stata puntualmente accompagnata da gelidi scompigliamenti delle nostre folte chiome.

La levataccia delle ore cinque e trenta anziché essere prologo di gaudente ed aitante partenza diventa la prefazione di una meditativa pausa in cui richiami spirituali al dio dei venti lo esortano a rivolgere altrove le proprie attenzioni.

Orfeo, non il protagonista della mitologia greca ma il nostro infaticabile compagno di merende, infastidito dal nostro tentennare dovuto forse all’incomprensibile e recondito desiderio di riportare buona parte del gruppo a casa non ibernato, scalpita imbizzarrito, esortandoci con incomprensibile entusiasmo, all’azione!

Forse lo stesso EOLO, impietositosi nel vederlo così agitato, si dà una calmata e, con un’oretta di ritardo sulla originale tabella di marcia, abbandoniamo l’accogliente bozzolo del Turia ben riparato dalle gelide “rafales” per sfidare la sorte, e farci abbracciare dalle gelide folate.

Che però, per magia, con il passare del tempo scemano di intensità per poi lasciare spazio ad un cielo da cartolina, ricco di giocosi e coloratissimi cumuli illuminati da un divino esperto delle luci che creano un effetto da film.

A differenza di ieri qui pendii ripidi non ce ne sono, l’ambiente ricorda piuttosto le ampie aree glaciali del Cevedale, si sale lentamente, solo un breve e docile muretto iniziale ci impegna marginalmente.

Il resto lo fanno comunque la quota ed il fatto che oggi si tratta del quinto giorno consecutivo che spendiamo sulle assi!
Le batterie cominciano a volere essere ricaricate…

Per non rischiare di provocare il suscettibile regista che con così poco convincimento ci ha regalato qualche fugace finestra di bel tempo, ci accordiamo ad alta voce sul primo obiettivo della nostra scorribanda odierna: cercheremo di arrivare a quota 3200 dove è possibile percorrere una via discesa che ci consentirebbe di giungere a La Gurraz (frazione presso cui ci attenderanno due taxi) senza eccessivo trasporto degli sci in spalla, essendo la neve ancora presente a bassissima quota.

Chi prima, chi dopo, chi pimpante, chi tranfiante, nel giro di pochi minuti riusciamo nel nostro intento ed a questo punto … concordiamo che si può provare a raggiungere il Dome de la Sache, altra vetta blasonata il cui raggiungimento, sommato al successo del Pourri di ieri, ci garantirebbe l’accesso al Paradiso degli sci-alpinisti.

E senza passare dal via!

Cosa vuoi che siano 400 metri di dislivello, una sciocchezza!
Che però con i pregressi già citati e, sommati alla quota, si fanno pesantemente sentire.

Come se non bastasse qualcuno dei piani alti, per renderci l’esperienza più interessante ed in linea con quanto vissuto nei giorni passati, ammanta di nebbia la nostra vetta, rendendoci difficile la progressione.
Avanziamo a mo’ di automi, appena identifichiamo la direzione gli sci seguono quell’azimut, con la viva speranza di non trovarsi qualche insidioso buco.

Ma tutto procede per il meglio.
Ed arriviamo all’ultimo, brevissimo muretto che io affronto a piedi, usando gli sci a mo’ di piccozza, mentre il prode Enrico, per nulla intimorito dalla ripidità del passaggio, sale sci ai piedi.
Ovviamente la mia scelta si rivela la meno fortunata ma nel giro di pochi secondi siamo tutti su, insieme a Jopoll, che ha avuto il saggio ardire di salire interamente, ski-aus-pieds.
Non passano dieci minuti e tutti siamo sulla massima elevazione.

Gli onori del manovratore della meteo non si fanno attendere e tutto si pulisce regalandoci un panorama stupefacente.

Riconosciamo senza difficoltà la mitica Gran Casse con la sua parete nord e la sorellina Grand Motte che l’irriverenza umana ha parzialmente trasformato in luna park per denarosi pistaioli. Si vedono il Cervino, il Gran Paradiso, le Levanne, les Aiguilles d’Arves….
Siamo in territorio francese ma buona parte del panorama montanaro che ci viene concesso allo sguardo è un po’ “di casa nostra” e ci fa sentire quasi “chez-nous!”

Non mi trattengo molto sulla cima, scendo veloce al nostro magazzino volante dove ho lasciato il telefono satellitare con cui chiamo la società dei taxi per confermare la nostra imminente presenza a La Gurraz che avverrà tr…bof, un’ora, un’ora e mezza forse!!!

In realtà, se la prima parte della discesa è stata veloce ed indolore, con la perdita di quota la neve comincia a “mollare” rendendo la sciata più impegnativa tecnicamente e, per chi non ha sufficiente esperienza, ben più difficile.

Un salto di rocce ed un dubbio interpretativo nel seguire la traccia fanno sì che il coeso gruppetto si sfaldi con il risultato che per una buona mezz’ora ci troviamo a mini-gruppetti e qualcuno trova particolarmente ostica la progressione su questo tipo di neve.

Riusciamo comunque a reperire alfine una piccola strada che ci porta fino alla quota di La Gurraz a metri 1600.
Incredibile ma abbiamo sceso duemila metri di dislivello con brevissimi portage!
Qualche centinaio di metri con gli sci a spalla e ci troviamo nel centro di quella metropoli che è LA GURRAZ, grazioso paesotto di poche case, alcune con ristrutturazioni magnifiche, strette intorno alla chiesetta di Saint Roch.

Carichiamo armi e bagagli sui capienti furgoni e ci riposiamo stanchi e felici sui comodi sedili per percorrere i quasi settanta chilometri che ci riportano a Pralognan, frazione Les Fontanettes, dove è iniziata questa indimenticabile avventura…

Pralognan, in questa stagione, è un mortorio e non sembrano esserci ristorantini dove terminare degnamente con una mangiata finale questi giorni di intense-ski; così scendiamo di una dozzina di km fino a BOZEL dove uno sgarrupato locale ci serve delle insalate, un paio di taglieri e qualche birra, evidentemente non attrezzati in modo idoneo a sfamare una truppa di una dozzina di persone in evidente stato denutrizionale …

Comunque terminiamo con una nostrana Colomba salutandoci in terra d’oltralpe per iniziare il lungo viaggio di ritorno.


CONSIDERAZIONI A MARGINE

Cinque giorni continuativi sugli sci rappresentano un impegno fisico ma anche psicologico.
I rifugi odierni sono certo più confortevoli di dieci anni fa ma l’assenza dell’acqua, elemento comune sia nei rifugi grandi, più organizzati e “ricchi” che in quelli piccoli costruiti in economia rappresenta un disagio a cui occorre abituarsi fin da subito.

La meteo non ci ha arriso, eccetto il bellissimo mercoledì.
Ciò nonostante è stato un grande successo essere riusciti a salire due vette importanti come il Pourri ed il Dome de la Sache a cui, alcuni possono aggiungere la Pointe de Vallaisonnay.

La relativa vicinanza di questi gruppi montuosi ai nostri confini le rende particolarmente “casalinghe” anche se il complicato approccio invernale fa sì che solo con un notevole dispendio di tempo e denaro si possa tentare di salirvi.

Il problema “quota” non è prioritario anche se il Mont Pourri è vicino ai 3800 metri, che non sono proprio una bazzecola….

Il gruppo, piuttosto contenuto, di soli dodici elementi è stato molto unito nonostante la presenza di skialper più tranquilli ed altri più frizzanti.
Non vi sono stati passaggi particolarmente impegnativi da uno stretto punto di vista alpinistico anche se il superamento di alcuni muri ed alcune ripide discese richiedessero comunque, per essere vissute con sufficiente sicurezza, una completa padronanza delle tecniche sci-alpinistiche.
Anche il portage è stato nullo o poco significativo avendo potuto beneficiare di un innevamento ancora piuttosto abbondante.

Ringrazio tutti i partecipanti, Cristina, Annalisa, Guido, Paolo, Orfeo, Enrico, Mike, Giovanni, Daniel, Davide, Roberto per avermi fatto vivere questa indimenticabile esperienza che coincide con il cinquantesimo RAID del GSA.

Menzioni particolare a Roby, l’ideatore del progetto e sempre disponibile ad aiutare chi in coda avesse problemi ed Enrico per la sua infaticabile attività di apripista quando il gioco “si faceva duro” ed un complimenti vivissimi a tutti i partecipanti!!!!

W il GSA!

Emmecì


Fotografie di Marco Centin e Michelino Giordano.

Cai Uget