RADUNO
7-10 marzo – Austria-Tirolo

“IL” oltre al noto articolo determinativo è anche l’acronimo di “INNSBRUCK-LAND” ovvero uno dei nove distretti che compongono il TIROLO, terreno di gioco scelto questa volta dai nostri del GSA per le loro scorribande sci-alpinistiche.

Regione complessa dalla storia tormentata, stiracchiata tra Austria, Italia, Germania gode oggi di una discreta autonomia che sembra fatta apposta per confondere noi italioti non troppi dotti che non capiamo mai se siamo in Italia o in Austria.

Certo il tedesco la fa da padrone, ma esiste pure il ladino e l’italiano è (mal)compreso.

Alpinisticamente le Alpi sono le Retiche e Carnie e l’orografia è anch’essa complessa, tortuosa, accidentata.
Mi aspettavo un ambiente più “dolce” sul tipo Dolomiti val-di-Fassa, ampi panettoni innevati e domestici mentre i fondovalle sono stretti, un po’ cupi forse.

Tutto appare ordinato, pulito, efficiente, misurato, produttivo. Inoltrandosi su per le valli c’è più luce ma le sensazioni percepite nel fondovalle permangono.
Gli ambienti tipicamente alpini sono “garbatamente” antropizzati, nel rispetto dell’habitat e con indubbie finalità pratiche.

Vien da chiedersi se il virus da seconda/terza/quarta casa che pesantemente ha dequalificato i nostri paesaggi montani (penso ai mostruosi condomini di Pragelato, tanto per fare un banale e noto esempio, o ai disordinatissimi, anarchici sproloqui architettonici delle valli di Lanzo) qui sia mai comparso.
Evidentemente qui esiste un concetto di vivere la montagna che è forse un po’ diverso da quello vigente alle nostre latitudini.
A farla da padrone non è lo sfruttamento turistico abitativo in barba a qualsiasi scempio e logica distruttivo-consumistica ma probabilmente gli abitanti della Regione che non sono disposti per qualche soldo a svendere i loro terreni e ne godono in modo assolutamente integrato con il sistema di cui essi, noi, tutti, facciamo parte.
Da cui deliziose Gasthous e Gasthof aperte a tutti dai prezzi super-onesti e dotate di ogni comfort.
In Tirolo evidentemente c’è un concetto di fruizione dell’ambiente rispettoso, da parte di tutti, ancor prima che dalla classe politica, dal singolo cittadino che qui è, inevitabilmente, un montanaro.

Un montanaro che, se la tua auto sprofonda nella bialera troppo coperta dalla neve per essere vista, inclinandosi e adagiandosi contro il bordo strada bianco, non esita a darti una mano.
Pantaloni alla zuava e ghetta, una sola, di pelle di mucca, il volto abbronzato dal sole non riporta segni da mascherina Brico, ma è omogenea da campo agricolo.
In tre secondi recupera tegole da buttare sotto la ruota, una pala seria, in confronto alla quale le nostre misere palette da valanga si intimidiscono e con un andi che dice “Io non avrò il culo firmato Montura ed una VAM da 1000 metri all’ora, ma in dieci minuti vi tiro fuori la macchina: voi non sareste capaci eh?”.
Parole sante. Lega una corda alla macchina e ci fa cenno: prendete sta corda e fate il tiro alla fune, che tutto il resto l’ho già fatto io.
E sorride.
E siamo fuori.
E grazie.

In modo autonomo, con equipaggi pre-assemblati nelle settimane antecedenti la partenza, abbiamo raggiunto Padaun, una quindicina di km oltre il BRENNERO, e da lì, tramite una stradina asfaltata, innevata, quando non gelata nella parte alta, la Gasthof della famiglia STECKHOLZER.

Situato su un ampio ed assolato ripiano a 1600 metri di altezza, un pugno di case, alcune anche molto curate, nel nostro accogliente alberghetto, rivediamo Daniel, vecchia conoscenza (nonostante i suoi trent’anni di età) del GSA che risiedette a Torino tempo addietro durante gli studi ed ora abita a Monaco ma ha parenti ad Innsbruck.

Sarà lui il nostro vate che ci proporrà nei giorni a venire gite sempre belle ed originali!


Venerdì 7 Marzo

Partiamo subito con la….. ehm…. (qui cominciano i primi problemi! I nomi sono sempre difficili oltremodo!)
Apriamo le danze con la SAXALMWAND un “2635 metri” posizionato non molto distante dal nostro albergo distante un dieci minuti di auto; si parte da un vasto pianoro della Innervals, ora tutto innevato e che ospita una stitica pista da fondo.
La partenza è rappresentata da un poco invitante muro a 35 gradi che curiosamente ospita degli impressionanti solchi causati dai tronchi tagliati che, intenzionalmente, vengono fatti precipitare a valle.
Come nei libri di Mauro Corona.
Una verifica che i citati lavori non siano in corso e via!
Iniziamo operativamente il RADUNO con i primi passi in salita.
La neve non è tanta ma è asciutta e bella.
Il pendio appare tutto a nord ma chissà cosa ci aspetta sopra?
Raggiungiamo in breve una stradina che taglia la montagna e, dopo alcuni metri in traverso in piano, ci incuneiamo in una valle che, via via che saliamo diventa sempre più aperta.
Il gruppo è piuttosto compatto, la neve continua a mantenersi bella, complice anche una perenne esposizione a nord; che però non risulta sgradevole in quanto il sole, ormai alto, diventa nostro complice.

Un ripido e non banale pendio finale ci consente di raggiungere la massima elevazione mentre qualcuno, poco convinto, preferisce fermarsi al panoramico colle poco sotto.
La discesa si rivela “da urlo” con una neve spettacolare ed in breve tutti i pendii sono rigati dalle ns tracce!
Daniel ancora una volta evidenzia che il DNA degli austriaci è diverso da quello degli altri.
Si lancia giù ad una velocità impressionante: gli sci sembrano parte del suo corpo, fanno un tutt’uno con lui.
Ed io che l’ho conosciuto qualche anno fa non posso che avere conferma che per lui lo sci è quello che era la bicicletta per Pantani. Con una certa fatica lo inseguo nei canali più ripidi, intonsi, la neve è in condizioni ottimali, impossibile chiedere di più.
Anche in discesa nonostante le diverse andature ci ricompattiamo frequentemente e raggiungiamo in breve le auto al parcheggio quasi in ombra.

Ottimo esordio dunque ed ora…. rientro all’alberghetto della famiglia Steckholzer dove, chi non si è ancora sistemato, prende possesso delle proprie stanze e si concede una piacevole doccia.

I bambini del gruppo, nei tempi morti, prendono le slitte che sono a disposizione dell’albergo e si buttano giù dalla stradina gelata.
Dopo un primo faccia-a-faccia con il paraurti di un’auto parcheggiata, o si impara, o ci si sposta sui pendii del prato di fronte.
I faccia a faccia con gli alberelli ancora giovani non lasciano il logo stampato in fronte come le auto, sembrano convenire.
Gli scontri tra slitte non portano danni, e le gambe sono ancora intere, pronte per la prossima gita.


Sabato 8 Marzo

Rifocillati adeguatamente la sera, il secondo giorno ovvero sabato 8 marzo, Daniel ci propone la salita al Pflerscher-Pingge, gitone, lungo e faticoso da 1650 metri di dislivello.
Raggiungiamo Staflach, alla base della Innerval e proseguiamo verso ovest per la valle di Gschnitz.
A Obertal (uno dei rarissimi nomi pronunciabili in italiano) parcheggiamo le auto e risaliamo, ancora una volta, per un ripido, tenebroso bosco fino ad uscirne e godere dell’ambiente che diventa aperto e grandioso.
Transitiamo sotto il Tribulaunhutte posto a 2064 metri di quota proseguendo verso sud su ampi pendii sempre più ripidi.
Arriviamo così ad un colle battutissimo dal forte e freddo vento; su tale colle transita anche la linea di confine con l’Italia.

Ci sarebbe ancora da percorrere l’ampio ed esposto pendio terminale per giungere in punta ma il vento è terribile ed il pendio è spelacchiato: è facile intuire che le condizioni siano pessime lassù oltre che oggettivamente difficili.
Tutti d’accordo ci prepariamo veloci per la discesa approfittando subito del magnifico manto nevoso che fa la gioia di ogni sciatore!
Perse alcune centinaia di metri uno sparuto gruppetto scende direttamente alle auto mentre chi rimane si divide: ripelliamo tutti.
In quattro ci addentriamo dentro un ombroso canalone, (forse non paghi della farina incontrata) mentre altri si recano in visita al rifugio del Tribulaun (non gestito in questa stagione).
Per entrambi si tratta di una risalita di un paio di centinaia di metri.
Siamo sempre in contatto radio e raggiunti i punti prestabiliti iniziamo la discesa e ci ricompattiamo per scendere tutti insieme alle auto.


Domenica 9 Marzo

Terzo giorno, ancora sole e neve bellissima.
Con un breve briefing serale abbiamo optato per un’area non facile, che presenta due difficili passaggi; siamo nuovamente in fondo alla Innervals e partiamo da Nockeralm.
Puntuale risalita nel fitto bosco e, dopo poco, si presentano i passaggi delicati.

Via radio si sentono i primi consigli di chi apre: “chi non si sente sicuro metta i rampant”, “forse anche chi si sente sicuro potrebbere mettere i rampant”, “mettete i rampant!”.
Qualcuno si toglie gli sci salendo a piedi, qualcun altro con i coltelli ed una traccia alternativa ne viene a capo.
Chi sprofonda nella neve fino all’inguine, viene aiutato a uscirne senza lasciare sotto lo scarpone.
Chi vede il proprio rampant scivolare per il pendio, lo vede risalire in mano ad un socio.
Anche per questo si chiamano gite sociali, no?

Tutti comunque ci si ritrova al sole e pronti a continuare, con alle spalle il difficile.

E qui però ci ritroviamo i ripidi pendii ora visibili si mostrano nella loro spietata difficoltà: si parla di 40 gradi di pendenza e, in tutta franchezza, portare un gruppo di quasi venti persone con capacità sciistiche estremamente disomogenee, non mi pare una saggia idea.
Cosicché ci dividiamo: un gruppo più avvezzo alla ripidità, più piccolo e conseguentemente più rapido, proseguirà verso il Kluppen quotato 2940 mentre la maggioranza del gruppo, più tranquillo e godereccio composto da 12 elementi salirà la facile, assolata, panoramica e comunque remunerativa cima del Hohe Kirche a 2634 metri di altezza.
Poiché le due punte “si vedono” i contatti radio sono ottimi e siamo sempre in continuo contatto nonostante la notevole distanza.

Raggiungiamo le due sommità più o meno insieme e, dopo una tranquilla e lunga sosta in vetta, iniziamo la discesa guadagnando in breve il luogo della precedente separazione dove attendiamo i nostri eroi per scendere tutti insieme.
Non percorreremo la difficile via di salita ma scenderemo per un ripido ma accessibile canalone su cui si affacciano impressionanti cascate di ghiaccio che farebbero la gioia di qualche ice-climber….

Data l’ora di rientro non tarda, una volta all’albergo, ci si trattiene nell’assolato spiazzo che fronteggia il locale, in attesa della corroborante cena….


Lunedì 10 Marzo

Ultimo giorno, optiamo per una gita non lunghissima e neppure lontana, la Gammerspitze a quota 2537, posta nel vallone a nord della nostra Innervals.
Il percorso si rileva appagante, su ampi spazi fin dall’inizio e con alcuni ricompattamenti giungiamo tutti in punta per scendere nel vallone più a est compiendo così una divertente traversata.
Qualcuno è preoccupato dalla pendenza di alcuni tratti ma le difficoltà si rivelano inesistenti.
Sono piuttosto le gambe che dopo tutta questa attività cominciano a reclamare un po’ di meritato riposo.

Ormai il tempo stringe: Bianca deve prendere un treno a Innsbruck, Daniel rientra provvisoriamente anche lui ad Innsbruck (domani forse farà un’altra gita!).

Ceci e Luigi già questa mattina ci avevano invece abbandonato per sciare in pista a Kitzbuhel. Improvvisiamo un sostituto di “tavolino” sulle panche di un bar chiuso nonostante la bellissima giornata di sole e, consumata una parca merenda, gli equipaggi dell’andata si ricostituiscono e tutti, con tempi diversi, si fa rientro a Torino, cinquecento km di viaggio ci aspettano.


Sono stati quattro giorni in cui tutto è filato liscio come gli sci sulla neve.
A Daniel che è stato l’artefice delle favolose proposte abbiamo omaggiato uno dei nostri gilet antivento ma i ringraziamenti a lui sono infiniti.
Spero che i capigita abbiano assolto dignitosamente i loro compiti.
L’albergo è stato all’altezza delle migliori aspettative: i gestori efficienti e sempre disponibili, la lingua non è stata un problema sebbene il tedesco sia pressoché l’unica lingua parlata.

Un grazie ai capigita: Livio e Bianca hanno sempre chiuso la fila, fornendo aggiornamenti via radio sull’avanzamento della chiusura sempre “compatta e imperterrita”.

Per non parlare del sostegno alimentare-psicologico (avete mai sentito un’austriaca chiedervi “Vuoi mangiaRRRe baRRRetta?”).

Marco trottava avanti e indietro tenendo sempre un occhio sui più incerti, sia in salita che in discesa evitando di impegolarci in condizioni fuori dalle nostre capacità.
Daniel indicava le discese migliori, adattando il passo in salita a ritmo del gruppo, o almeno di parte di esso, sempre con il sorriso.
Dopo ogni gita li vedevi, con ancora gli scarponi ai piedi, ma già la testa china sulla cartina per scegliere la gita per il giorno successivo adatta a noi.
E non ne hanno sbagliata una: grandi!

Tutti i soci si sono adattati ai percorsi non sempre facilissimi ed ai dislivelli sempre rilevanti. Il primo giorno abbiamo salito 1260 metri, il secondo 1300, il terzo altri 1325 (con il gruppo più numeroso) o 1600 con il gruppo più speedy, ultimo giorno altri 1200.
Il dislivello minimo percorso supera i 5000 metri il che rende un’idea della performance realizzata.

Dislivelli assolutamente “turistici”, tanto che una partecipante, di cui rispettiamo l’anonimato, ha comunicato che dopo questa esperienza si darà alll’uncinetto come suo sport invernale: chissà se mantiene la promessa.

Abbiamo avuto una fortuna sfacciata con il tempo, sempre soleggiato, con vento quasi mai presente e la neve, anche se non abbondantissima, ovunque presente e asciutta, quasi fossimo in Gennaio!
Un plauso quindi più che meritato a tutti i soci partecipanti dai trentenni agli over seventies che, ciascuno in coerenza con le proprie capacità, non ha mai rallentato le già citate notevoli performances collettive.

Al Raduno in Tirolo 2014 hanno partecipato: Bianca, Livio, Silvia, Davide, Giulio, Lucia, Stefano, Valeria, Bruno, Cecilia, Luigi, Emilio, Cesare, Riccardo, Michelino, Cristina, Guido ed il sottoscritto, oltre a Daniel.
Era iscritta anche Annalisa che ha dovuto rinunciare a pochi giorni dalla partenza per un problema di salute al babbo.

Emmecì!

Integrazioni di Silvia, nota appassionata di uncinetto.


Fotografie di Marco Centin.

Cai Uget