Uscita 8 del 9-10 maggio – Punta d’Arbola

Morasco – Rifugio Margaroli – Punta d’Arbola – Lago dei Sabbioni – Morasco

Sabato, ore 6.

Tempo molto bello su Torino, il panorama regalato dalle torri un po’ meno. Per la prima gita finalmente a nord, che poi è anche l’ultima di questo bel corso, il ritrovo è piazzato al parcheggio McDonald.

Qualche parola, qualcuno ad inseguire i ramponi smarriti (in macchina…) e si parte direzione Val Formazza.

Ritrovo dapprima in paese, se così si può definire, poi al parcheggio del rifugio. I più lesti hanno già gli scarponi ai piedi ed ecco la brutta nuova, le auto non possono sostare, il parcheggio è per i clienti di giornata. Non ci si crederebbe ai clienti, in una giornata tanto grigia quanto la Norvegia delle presentazioni. Pare abbia anche fatto due gocce.

Poco importa, si parte imbottigliandosi al primo restringimento da cui esce una fila indiana nemmeno fosse il giro d’Italia in una tappa contro vento.

Si procede su un traverso sopra il primo lago, che fa tremare le gambe dei sofferenti di vertigini. La pendenza c’è, una scivolata ed il primo bagno di stagione potrebbe arrivare in quota. Siamo alla gita finale, il gruppo è allenato e pronto a superare ben altri ostacoli.

obe

Giunti in salvo si apre il vallone che ci porterà al colle. Gruppo sfilacciato, davanti c’è chi misura gambe e fiato. Pare di essere giunti al colle ma la scia porta altrove, più lontano.

Si continua a salire ora un dosso, ora un altro ed eccoci sotto la punta senza nome, battezzata per l’occasione “Punta Maria” (o “Punta SSA”), uno sguardo in basso ed ecco il rifugio.AR32

Scarponi nella neve, si sale uno alla volta, foto di rito sulla punta ed una nuova sensazione di vertigine, che ci accompagnerà fedele lungo tutto il weekend.

Scendiamo. La neve è “mola” e le curve ben riuscite si contano sulle dita di una mano.

Negli ultimi metri si scatena la bagarre, solo i più inesperti non sanno che le ciabatte sono risorsa preziosa. I primi vincono il modello buono, ma i meno fortunati si aggireranno per quel che resta del giorno con sandali alla tedesca, improbabili infradito (rigorosamente abbinati a calzettoni da montagna) ed ancor più improbabili ciabatte di panno.

Qualche tagliere, due birre, quattro chiacchiere e via all’esercitazione. Nodi, nodi, e ancora nodi. Tu il prusik, io il barcaiolo. Per quello lì, con asola e contro-asola non c’è speranza. Meglio rifarsi con il nodo delle guide! AR118

Assistiamo alle dimostrazioni: paranco, carrucole e allievi sospesi nel vuoto a testare la competenza degli istruttori. L’allievo pare essere a suo agio nella parte del sospeso, l’allieva molto meno.

Dopo il terzo recupero i più saggi iniziano a pellare. Gli allievi dietro.

Qualcuno lancia l’idea aperitivo, si annuisce nei dintorni. Il saggio istruttore rilancia ed infine prende in mano la situazione. Un tavolo di quattro sgabelli, una tovaglia di uno splendente color granata ed una bottiglia di bianco. Ne seguiranno altre due. Volti distesi, sorrisi rilassati. Poi il grido che tutti attendevano, la cena è servita!

Minestrone o pasta coi funghi (più buona del previsto), polenta concia e asino. Asino?? Pare di sì. Mica male però. Infine torta. Razioni da corazzieri, l’apprezzamento è massimo.

Indicazioni del direttore, si prega per la gelata notturna. Il cielo si è fatto sereno nel pomeriggio. Il sole a benedire le esercitazioni. Ora c’è speranza.

Si affievoliscono man mano le voci al pian sottostante, sono altri i suoni che giungono dalle camere da letto!

Domenica. Ore 5:30, sveglia!

Il gruppo cerca di riprendersi dal torpore. L’allieva si lamenta, i rumori notturni non le han fatto chiudere occhio, maledizioni al genere maschile in generale ed a qualcuno in particolare. La sventurata non aveva con sé i tappi, errore madornale! Sembra ci sia anche chi non abbia smesso di parlare nemmeno di notte.

Si è avverata la speranza, il sereno notturno ha ghiacciato il manto nevoso. Ramponi ai piedi, per lo spaesato allievo è cosa nuova, qualche passo ed è già senza. Una nuova giornata è appena iniziata, ci attende una lunga salita.

Ripida è la salita verso il colle, i primi scappano, dietro si arranca. In cima al primo ripido pendio si apre un pianoro con tanto di lago ghiacciato incastonato tra le belle cime, meraviglia!AR166

Qualcuno appronta gli sci, l’allievo inesperto prova anche i coltelli, sotto lo sguardo attento e benevolo dell’esperto istruttore. Il passo è rapido, il gruppo si ricompatta alle soste, poi di nuovo sfilacciato.

Si giunge al colle, saluti all’inarrestabile sci alpinista, un battesimo la priva della gioia della vetta ma non del gusto della discesa e l’ebbrezza di attraversare il lago ghiacciato in solitaria. Temeraria.

Il gruppo sale, tra colpi di tosse e vertigini.AR207

Ora han tutti gli sci a piedi, giunti sotto la vetta il pendio si è fatto ripido e ghiacciato. L’istruttore in avanscoperta con le sole pelli decreta, servono i coltelli. Tant’è.

La sfida col ripido e ghiacciato pendio è personale. Si procede un po’ a stento, misurando i movimenti, particolare attenzione alle inversioni. Ora più lenti, ma si sale. Manca poco, la neve si fa negli ultimi metri meno ghiacciata, anche la montagna sembra dare il suo placido benestare. Siamo in vetta, la nostra vetta: Punta d’Arbola.

Cibo, foto, allegria. Il panorama è mozzafiato. L’istruttore snocciola i nomi delle vette svizzere come fossero i sette nani. Il direttore richiama all’ordine, la neve è bella ora, non bisogna perdere il momento. Ultime foto, per lo più sfocate. La lite con gli smartphone è al suo culmine. Le grazie in vetta, ultimi vigorosi richiami. obe

Si scende!

Saggezza del direttore, la neve è fenomenale. Ci ricongiungiamo con l’allieva stoppata dalle vertigini. L’avranno forse fermata questa volta, ma il suo sguardo lascia presagire che l’esito sarà diverso la prossima volta.

La neve farinosa e compatta apre sui volti sorrisi come bambini a natale, basta poco per uno sci alpinista, se salire a 3200 metri con pelli, ramponi e coltelli poco si può chiamare.

La discesa è rapida. Sembra di essere su un pistone del trentino, largo e poco pendente ci porta al lago del Sabbione. I più scaltri sfruttano gli ultimi cambi di pendenza per disegnare le ultime curve con maestria.AR253

La traversata del lago è inebriante. Ripellare non è stato il massimo ma già si vede, di fianco alla diga l’ultima asperità da superare. L’acqua affiora ai bordi, si risale con attenzione, una scivolata sulla ripida sponda del lago potrebbe costare cara. L’esperienza maturata non tradisce, la diga è superata, via le pelli ultima parte di discesa.

Sciamo ora sulla neve precedentemente distaccata. Dossi e pietre rendono alcune traiettorie obbligate (come stare sulle montagne russe), altre imprevedibili. Il direttore si fa carico dello zaino della stanca ma indomita allieva. Nemmeno la lunga discesa ha potuto piegarla, quando si ricongiunge al gruppo è ovazione.

Ultima curva e..il corso è finito qui. Volti sorridenti, magnanime considerazioni sulla gita, questa sì, che è stata bella.

Sci in spalla si va verso le auto lungo il lago. Si intravede il traverso percorso il giorno prima, siamo davvero passati di lì?! Stupore, compiacimento ma soprattutto stanchezza e desiderio di una birra fresca.

Saluti a tre condottieri che vanno via prima, noi andiamo a mangiare. Il primo locale è chiuso, il secondo ha personale con tempi di reazione bradipeschi. Ma dopo una giornata così, tutto è ben accetto, anche la condivisione di un non precisato numero di porzioni di pizzoccheri.

Saluti, congedi. Si torna a casa. Il corso è giunto al termine, tanti sorrisi, qualche pensiero nostalgico. Appuntamento alla cena di fine corso, sperando di trovare un piatto di pasta per tutti.

Luca

AR236

Le foto? Vai ora allo Slidesciou